Un clamoroso colpo di scena ha segnato l’estate 2019 rendendola ancor più rovente: il pentimento di Tommaso Schisa. Un evento tanto inaspettato quanto temuto che ha sancito un punto di non ritorno destinato a ridisegnare le sorti dei clan di Napoli est e dell’entroterra vesuviano.
A distanza di un anno, le dichiarazioni rese alla magistratura dal figlio dell’ex Sarno Roberto Schisa e della “pazzignana” Luisa De Stefano, continuano a tenere con il fiato sospeso gli elementi di spicco della malavita ponticellese e mariglianese, iniziando a sortire i primi effetti, uno su tutti, l’arresto del sindaco di Marigliano Antonio Carpino. Ad accendere i riflettori sul primo cittadino del comune vesuviano, le dichiarazioni rese da Schisa e da altri due collaboratori di giustizia, Cristiano Piezzo e Massimo Pelliccia.
Carpino, avvocato penalista e sindaco in carica del Comune di Marigliano, è accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” ed anche di “corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso”, insieme a Luigi Esposito, detto “lo sciamarro”, stimato essere il reggente del cosiddetto clan dei mariglianesi e attualmente detenuto in regime di 41 bis, nonchè ex suocero di Schisa.
Un preambolo che lascia intuire che la magistratura sta setacciando le dichiarazioni rese dal giovane addentrato nelle dinamiche malavitose di Marigliano, ma più che ben informato anche sugli intrecci camorristici che hanno segnato la scena ponticellese, dall’era post-Sarno fino ad oggi.
A temere le rivelazioni del giovane rampollo di casa Schisa, in primis, i De Luca Bossa: il clan fondato negli anni ’90 da Antonio De Luca Bossa, dopo la rottura con il clan Sarno che segnò una sanguinaria stagione di fuoco, terminata in un vortice di pentimenti ed arresti che ha generato un vuoto di potere, colmato dalla rapida e spietata ascesa del clan De Micco. La consacrazione criminale della cosca dei tatuati ha gettato il clan del Lotto O in un lungo periodo di magra, fatto di umiliazioni e stenti. Nuovamente tornati alla ribalta, anche e soprattutto grazie all’alleanza con la famiglia Schisa e gli altri clan in declino di Napoli est, in seguito al maxi-blitz che ha tradotto in carcere gli elementi di spicco del clan De Micco e che, di fatto, ha decretato la fine di un’era camorristica con i De Luca Bossa e company subito pronti a voltare pagina per scrivere una nuova stagione, nata nel segno di “stese” e raid intimidatori per rivendicare l’egemonia territoriale della nuova potenza di fuoco della periferia orientale partenopea.
Un ritorno alla ribalta conseguito a fatica e stroncato sul nascere dall’arresto di 8 figure-simbolo del sodalizio camorristico, tutte condannate all’ergastolo per l’omicidio del boss dei Barbudos del Rione Sanità Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna.
Tra gli otto destinatari della condanna al carcere a vita, spiccano i nomi della madre di Tommaso Schisa, la “pazzignana” Luisa De Stefano, oltre ad Anna De Luca Bossa, sorella di Tonino ‘o sicco e Michele Minichini, detto ‘o tigre, figliastro dei quest’ultima e “fratello acquisito” di Tommaso Schisa.
Sono proprio questi i tre nomi legati a filo doppio alle sorti che le dichiarazioni rese da Tommaso Schisa andranno a determinare nell’ambito della scena camorristica di Ponticelli, unitamente all’esito dell’appello di quella condanna che se confermata condannerebbe lo zoccolo duro dei clan alleati al carcere a vita.
Anna De Luca Bossa, in tempi non sospetti e prima di Tommaso Schisa, aveva manifestato la volontà di passare dalla parte dello Stato. Avrebbe perfino reso delle dichiarazioni, per poi ritrattare prontamente convinta dai familiari a fare un passo indietro. Al cospetto di una condanna definitiva al carcere a vita sarebbe ben più difficile per i De Luca Bossa riuscire ad avere la meglio sulla vacillante volontà di servire la camorra “fino alla morte”, seppure in grado di garantire un tenore di vita “da boss” anche in cella alla Lady-camorra del clan.
Al cospetto dell’ergastolo anche la fedeltà delle altre figure-simbolo dell’alleanza potrebbero vacillare fino a capitolare.
“‘O tigre” Michele Minichini, a dispetto di quella fama da “bad boy” costruita a suon di tatuaggi “cattivi” ed azioni criminali cruente, non è un’anima nera. Con un passato da venditore di panini dal carattere timido e docile, temprato dai dolori della vita che lo hanno indotto ad assecondare la chiamata alle armi – in primis, l’omicidio del fratello Antonio Minichini – ‘o tigre è tra gli interpreti della malavita di Napoli est più provate dal pentimento di Tommaso Schisa, un giovane con il quale ha condiviso gesta criminali e momenti di vita, in cui forse ha rivisto quel fratello che la camorra gli ha scippato a suon di spari. Non se lo aspettava proprio, ‘o tigre, che quel “fratello di sangue” cresciuto a pane e camorra, avrebbe potuto rinnegare il codice d’onore della malavita. Proprio lui che ha provato sulla sua pelle le sofferenze inferte dalle dichiarazioni rese dai fratelli Sarno che inguaiarono suo padre, Roberto Schisa, che incassò la condanna da uomo d’onore, senza “fare l’infame”. Un vortice di eventi che ha costretto Tommaso Schisa a crescere senza un padre, cresciuto dalla “pazzignana” Luisa De Stefano che fin da subito ha ereditato le redini del clan, gestendo per conto della famiglia gli affari necessari a tirare avanti, lo spaccio di droga in primis. Una vita di stenti, trascorsa in attesa di un nuovo ed agognato momento di gloria, durato pochissimo e stroncato prima dalla condanna al carcere a vita e poi dal pentimento di quel figlio, simbolo della malavita 2.0 che avanza.
Minichini avrebbe perfino litigato in carcere con un altro esponente della mala ponticellese che gli avrebbe fatto notare e “pesare” il pentimento di quell’amico fidato che ‘o tigre considerava un fratello. Di tutta risposta, Minichini lo avrebbe pestato selvaggiamente, motivo per il quale sarebbe stato trasferito dal carcere di Secondigliano nel quale era detenuto fino a poco tempo fa.
‘O tigre condanna quella scelta, ma continua a difendere l’amico di sempre, non prendendone le distanza, ma abbracciando le cattive maniere pur di difenderne la credibilità.
A supporto del possibile pentimento di Minichini, vi è anche un altro elemento ben preciso: nell’ambito del processo per l’omicidio di Vincenzo De Bernardo, si è dissociato dai suoi trascorsi di malavitoso ed è riuscito così clamorosamente ad evitare un’altra condanna all’ergastolo. De Bernardo, fu ucciso nel novembre del 2015 a Somma Vesuviana per una vendetta trasversale maturata nell’ambito della faida tra i Mazzarella e i Rinaldi. La Procura aveva chiesto l’ergastolo per Minichini che forte della nuova ed imprevedibile strategia ha ottenuto una condanna di 17 anni di reclusione nel processo di primo grado celebrato con rito abbreviato.
Laddove dovesse essere confermato l’ergastolo per l’omicidio Colonna-Cepparulo, oltre a Minichini, anche Luisa De Stefano potrebbe capitolare. Con il figlio passato dalla parte dello Stato e la figlia entrata nel programma di protezione riservato ai parenti dei collaboratori di giustizia, la “pazzignana” potrebbe scegliere di seguire la famiglia, anzichè servire la camorra per il resto della vita, accettando il fine pena mai senza battere ciglio.
Ragion per cui, a temere di finire nuovamente dietro le sbarre, a distanza di un anno dalla ritrovata libertà, è soprattutto Umberto De Luca Bossa, primogenito di Tonino ‘o sicco sul quale si è subito concentrata l’attenzione degli inquirenti, fin dai primi passi mossi fuori dal carcere, in quanto – secondo quanto riferito da diverse fonti – avrebbe preso il posto di Giuseppe De Luca Bossa – fratello di Antonio e quindi zio di Umberto – ed attualmente a capo del clan di famiglia.
Seppure di recente siano giunte buone notizie dal fronte giudiziario: è di pochi giorni fa la notizia dell’ennesima scarcerazione di un giovane ritenuto contiguo al clan del Lotto O. Si tratta di Francesco Punzo, finito dietro le sbarre il 5 novembre del 2018 ed accusato di appartenere al gruppo di rapinatori violenti che con l’aggravante del metodo mafioso, seminò il panico tra Napoli e provincia nel corso dell’estate dello stesso anno. Al 20enne sono stati concessi i domiciliari, ragion per cui ha lasciato il carcere di Secondigliano ed attenderà tra le mura della sua abitazione l’esito dell’appello.
Una magrissima consolazione per Umberto De Luca Bossa che ha valide ragioni per temere l’imminente arresto che potrebbe arrivare da un momento all’altro, quale conseguenza diretta dei riscontri investigativi scattati in seguito alla dichiarazioni fornite da Schisa, più che ben informato sulle mosse attuate dall’organizzazione camorristica della quale anche sua madre era parte integrante.