La polizia ha sequestrato a Napoli una società di ristorazione riconducibile al boss catanese Salvatore ‘Turi’ Cappello, capo dell’omonima cosca e storica rivale della ‘famiglia’ Santapaola, condannato all’ergastolo e detenuto in regime di 41 bis. Il provvedimento, eseguito dalla Divisione anticrimine e dalla squadra mobile di Catania, riguarda la pizzeria ‘I 2 vulcani’, in via Alessandro Volta, nella zona di Sant’Erasmo ed è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania, dopo una proposta d’applicazione di misura di prevenzione reale a firmata da procuratore e dal questore del capoluogo siciliano.
Confiscati anche un immobile, sempre a Napoli, al figlio, Salvatore Santo, e un motociclo alla compagna di Cappello, Maria Rosaria Campagna. Il valore dei beni è stimato in circa 100 mila euro. Il decreto dispone inoltre per il boss l’aggravamento di un altro anno della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
Obbligo di soggiorno per tre anni per Maria Rosaria Campagna che nel 2017 è stata già condannata per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti negli sviluppi dell’operazione ‘Penelope’.
La storia criminale di “Zio Turi” Cappello, figlio di fiorai, comincia con un colpo messo a segno da giovanissimo, quando strappa un crocefisso d’oro dal collo dall’arcivescovo di Trapani, dopo aver simulato di essere stato investito dall’auto sulla quale viaggiava il prelato. Tanto gli bastò per imporsi come un giovane “capace” agli occhi dei boss catanesi.
Cappello è l’erede di Salvatore Pillera, detto Turi Cachiti, personaggio storico della mafia catanese che in seguito alla detenzione lasciò in mano le redini della cosca proprio al giovane boss rampante.
Nel 1988 il giovane boss venne tratto in arresto in compagnia ad altri personaggi di spicco della mafia locale, ma alla prima occasione utile si diede alla latitanza. Fu responsabile di una sanguinosa faida. Tale guerra vide trionfare il boss Cappello, ma i rivali, in seguito all’arresto di Turi, usarono una vendetta trasversale uccidendo il fratello di quest’ultimo, Santo Cappello totalmente estraneo alla malavita catanese.
In carcere, Turi Cappello sancisce un’alleanza tra la mafia catanese e la ‘ndrangheta di Franco Coco Trovato, uno dei capi più potenti delle cosche calabresi.
Cappello, all’età di 35 anni, viene arrestato a Napoli l’8 febbraio del 1992, dove si trovava per incontrare don Carmine Alfieri, detto anche “o’ ntufato” (l’arrabbiato), boss di Piazzolla di Nola, capo indiscusso della Nuova Famiglia, il sodalizio criminale insorto per osteggiare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Latitante da tre anni, fu bloccato alla guida di una Citroen ZX a San Giovanni a Teduccio, alla periferia di Napoli. In auto, al suo fianco, c’era la sua donna, quella che secondo le cronache di allora, aveva conosciuto su un autobus durante una delle trasferte napoletane.
Nella città partenopea, Cappello doveva trattare grossi affari, forse l’acquisto di partite di armi come il carico di mitra Uzi spedite proprio da Alfieri in Sicilia e bloccato dai carabinieri agli imbarcaderi di Villa San Giovanni.
Di Maria Rosaria Campagna, la donna del boss, si torna a parlare tredici anni più tardi, nel luglio del 2005. La Campagna fu bloccata dai poliziotti della Mobile di Catania, appena sbarcata nel capoluogo etneo dal traghetto proveniente da Napoli. Per gli investigatori la donna teneva vivi i rapporti tra il capomafia al 41 bis nel carcere di Viterbo e gli esponenti della cosca.
Maria Rosaria Campagna, la moglie di zio Turi, nel 2017 è stata arrestata nell’ambito dell’operazione “Penelope” che ha decapitato la cosca Cappello-Bonaccorsi. La donna, ancora una volta, è risulta essere l’anello di congiunzione tra il boss Turi Cappello, il suo storico compagno da oltre 20 anni al 41 bis, e i vertici operativi a Catania. Dalla sua cella, “zio Turi”, continuava a ricoprire il ruolo di capo indiscusso della cosca grazie all’ausilio fedele compagna.
Secondo gli investigatori della squadra mobile di Catania, era la donna del boss che da Napoli, dove è per l’appunto titolare della pizzeria sequestrata, dettava di persona gli ordini del suo uomo ai referenti catanesi della famiglia.
In passato, gli investigatori avevano scoperto che Cappello mandava ordini ai suoi affiliati attraverso fotomontaggi realizzati al computer. Il metodo usato dal boss era emerso nel corso delle indagini su un traffico di cocaina gestito da mafia e ‘ndrangheta. Gli inquirenti ricostruirono il sistema di comunicazione utilizzato da Cappello per dettare le strategie del clan, per far sapere ai suoi picciotti quali fossero le attuali alleanze, ma anche per comunicare le nomine ai vertici del clan. Realizzava i suoi fotomontaggi con un computer e una stampante di cui poteva disporre in carcere.
Era poi la sua compagna che li faceva pervenire all’esterno come cartoline augurali o corrispondenza ordinaria. Le immagini superavano i controlli carcerari perché apparivano come semplici scherzi a chi non conoscesse il codice per interpretarle. Tra i fotomontaggi acquisiti dagli investigatori, uno in cui Cappello ha manipolato una foto di gruppo del team della Ferrari, sovrapponendo la sua faccia a quella del pilota Michael Schumacher, e incollando i volti di due boss suoi alleati, Giuseppe Garozzo e Ignazio Bonaccorsi, entrambi detenuti.
Zio Turi è una delle figure di maggiore rilievo della mafia catanese. Portano la firma di zio Turi molti dei centocinquanta omicidi della guerra di mafia che ha insanguinato Catania tra l’86 e i primi anni Novanta. Tra le sue gesta più spietate, l’uccisione dei due ladri che gli avevano rubato la macchina a Torino e il raid nell’agosto del ’90 in una macelleria del quartiere di Canalicchio.
Un’ascesa inarrestabile che ha permesso a Cappello di guidare uno dei clan più agguerriti della storia della mafia siciliana. Una posizione di potere che, sulla base delle indagini, non si è esaurita neanche dopo oltre 20 anni di carcere duro.
Un’egemonia impostata con le armi e mantenuta anche negli anni di detenzione anche grazie a Maria Rosaria Campagna, la fedele compagna che ha continuato a esercitare il potere del boss guidando la cosca e curandone gli affari milionari, assicurandosi, così, uno stipendio di 10.000 euro al mese. Questa la busta paga del capomafia Salvatore Cappello, condannato in via definitiva all’ergastolo e detenuto a Napoli, ma pur sempre il capo indiscusso della sua cosca.
Non è stato adottato alcun provvedimento cautelare a suo carico in quanto il boss Cappello è detenuto in espiazione di condanne definitive all’ergastolo.
Un boss che beneficia del supporto canoro di Niko Pandetta: cantante neomelodico catanese, nonchè nipote del boss, balzato più volte agli onori della cronaca, i cui video collezionano migliaia di consensi, i suoi fan si moltiplicano di giorno in giorno.
Il “cavallo di battaglia” del cantante catanese è proprio il brano dal titolo “Dedicata a te”: un inno/tributo proprio allo zio detenuto al 41 bis, in cui ne tesse le lodi e ne osanna le gesta.