Il 19 luglio del 1992 in via D’Amelio a Palermo si consuma un attentato mafioso che ha scritto una delle pagine più dolorose della storia italiana e nel quale persero la vita Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.
Quella domenica, alle ore 16:58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4) telecomandata a distanza, esplose in via Mariano D’Amelio, 21 a Palermo, sotto il palazzo dove all’epoca abitavano Maria Pia Lepanto e Rita Borsellino, la madre e sorella del magistrato, presso le quali il giudice quella domenica si era recato in visita.
Lo scenario descritto da personale della locale Squadra Mobile giunto sul posto parlò di «decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati». L’esplosione causò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti. Sul luogo della strage, pochi minuti dopo il fatto, giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze.
Gli agenti di scorta dichiararono che la via D’Amelio era considerata una strada pericolosa in quanto molto stretta, tanto che, come rivelato in una intervista rilasciata alla Rai da Antonino Caponnetto, era stato chiesto alle autorità di Palermo di vietare il parcheggio di veicoli davanti alla casa, richiesta rimasta però senza seguito.
Gli agenti della scorta di Paolo Borsellino sono stati tutti insigniti della Medaglia d’Oro al Valor Civile per aver assolto il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere, pur consapevoli dei gravi rischi cui si esponevano a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia.
Agostino Catalano era il capo scorta, aveva 43 anni e tre figli avuti dal matrimonio con Maria Pace, morta per un tumore. Si era sposato da poco con Maria Fontana. Solitamente era assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge. Il giorno della Strage di via d’Amelio era in ferie, ma per una tragica fatalità era stato chiamato al fine di raggiungere un numero sufficiente di uomini per la scorta del giudice Borsellino. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare, dinanzi alla spiaggia di Mondello.
Walter Eddie Cosina era un agente scelto, nato a Norwood, in Australia, da una famiglia di origine triestina emigrata nel dopoguerra, tornata in Italia a metà degli anni Sessanta. Orfano di padre a soli 21 anni, nel 1983 era entrato nella Digos e a partire dal 1990 nel nucleo anti-sequestri e poi presso la divisione anticrimine. Era sposato. Dopo la Strage di Capaci vennero richiesti agenti di scorta in tutta Italia e Cosina aveva accettato di spostarsi da Trieste a Palermo. Il giorno della strage era di servizio al posto di un collega che avrebbe dovuto sostituirlo come agente di scorta del giudice Paolo Borsellino.
Claudio Traina dopo aver svolto il servizio militare nell’aeronautica, aveva deciso di entrare in polizia. Dopo aver frequentato il corso di formazione presso la scuola di Polizia ad Alessandria, era entrato a far parte della squadra volanti a Milano per poi essere trasferito, su sua richiesta, a Palermo. Nel 1990 si fece assegnare all’ufficio scorte. Aveva solo 27 anni ed era sposato e padre di un bimbo di solo undici mesi, Dario, che ora vive in Brasile. Suo fratello Luciano, agente della Squadra Mobile di Palermo, ora in pensione, dopo la strage fece parte del pool di poliziotti che catturarono il boss Giovanni Brusca.
Emanuela Loi fu la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia. Entrò nella Polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Fu trasferita a Palermo due anni dopo. Tra i diversi incarichi le furono affidati i piantonamenti a Villa Pajno a casa dell’allora parlamentare Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano (vedova di Libero Grassi) e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Dopo la strage di Capaci, nel giugno del 1992 venne affidata al magistrato Paolo Borsellino. Aveva 24 anni quando cadde nell’adempimento del proprio dovere, era una ragazza solare, sempre sorridente con un’aria sbarazzina e spensierata. Sognava di tornare presto nella sua Cagliari, proprio per questo aveva richiesto di essere trasferita lì. Lasciò i genitori, una sorella e un fratello e il fidanzato con il quale sperava presto di sposarsi. Le sono state dedicate scuole, vie, piazze e giardini in numerose città italiane.
Vincenzo Li Muli amava le moto e le auto da corsa, ma da sempre il suo sogno era quello di diventare poliziotto. Ci riuscì nel 1990, e nella primavera del 1992 fu assegnato alla Questura di Palermo. Era fidanzato con Vittoria, con cui voleva sposarsi e costruire una famiglia. Guardando le immagini della strage di Capaci in televisione, pianse amaramente davanti alla vigliaccheria di chi sceglieva il tritolo e non permette di difendersi e di lottare. Fu in quel momento che prese la sua decisione e nonostante i rischi che sapeva di correre, si fece assegnare alla scorta del giudice Borsellino. Aveva solo 22 anni ed era il più giovane della squadra.
Antonino Vullo fu l’unico sopravvissuto di quel giorno è l’agente Antonino Vullo. Si è salvato perché stava parcheggiando l’auto. Così racconta quel giorno: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.