“Gomorra”, la seguitissima serie di Sky Atlantic, alterna fatti realmente accaduti ed altri di pura fantasia, creando un continuo intreccio tra realtà e finzione che molto spesso ha suscitato vive polemiche.
La vera storia di Vincenzo Pirozzi, l’attore che nella serie interpreta “Lelluccio”, il figlio di Annalisa Magliocca, la cinica “Scianel”, donna-boss spietata e calcolatrice, personifica quell’epilogo diverso, assente in “Gomorra” e perennemente oggetto di polemiche e disappunto da parte di chi vorrebbe veder figurare anche dei personaggi positivi tra gli spietati camorristi, ormai diventati delle vere e proprie celebrità.
Figlio di un boss non solo nella serie: il padre di Vincenzo Pirozzi è infatti il boss Giulio Pirozzi, braccio destro di Giuseppe Misso e reggente del clan durante la sua detenzione, arrestato mentre era in vacanza da latitante a Gaeta nel 2008. Condannato all’ergastolo con il 41 bis, Giulio Pirozzi trascorrerà il resto della sua vita in regime di carcere duro.
Vincenzo ha invece deciso di scrivere un destino diverso nel suo futuro, dissociandosi dalle scelte del padre per privilegiare “la bellezza” dell’arte. Oggi è un giovane attore e regista di successo che vanta collaborazioni prestigiose, da Servillo a Sorrentino, oltre ad un ricco curriculum.
Da regista ha diretto il film satirico sulla malavita organizzata napoletana “Sodoma… l’altra faccia di Gomorra”, mentre nel 2008 fece discutere la sua presenza nel cast della serie «Il coraggio di Angela» andata in onda su Raiuno e ispirata alla vicenda di Silvana Fucito, commerciante di vernici e proprietaria di un negozio a San Giovanni a Teduccio che venne dato alle fiamme per punire il rifiuto della donna di piegarsi alle richieste estorsive della camorra. La donna, che trovò il coraggio di opporsi ai suoi taglieggiatori portando all’arresto di una dozzina di malavitosi, divenne un simbolo nella lotta contro il pizzo a Napoli ed in tutta Italia. Da allora vive sotto scorta e costantemente impegnata nella lotta al pizzo e presidente dell’Associazione “San Giovanni a Teduccio per la legalità”.
Le critiche mosse in quella circostanza ruotavano intorno a due quesiti in particolare: quanto fosse opportuno, in una fiction dedicata a un’eroina dell’anticamorra, peraltro finanziata dalla Regione Campania, far interpretare quel ruolo al figlio di un noto capoclan e ancor più ci si interrogava sul messaggio che quella fiction avesse consegnato agli abitanti del Rione Sanità, quartiere in cui il boss Pirozzi fu attivo, quartiere nel quale l’attore e regista Pirozzi vive ancora oggi. Tant’è vero che nel 2013, a Vincenzo Pirozzi fu affidata anche la direzione del teatro della Sanità. Un incarico che accettò di buon grado, animato dalla speranza di riuscire ad imprimere nel futuro di altri giovani del quartiere, lo stesso destino che, grazie alla bellezza dell’arte, aveva delineato nella sua vita.
A quelle critiche, l’attore replicò così: «Sono stufo di queste polemiche. Pura astrazione. È da quando avevo 12 anni, ora ne ho trenta, che ho fatto una scelta precisa: il teatro, il cinema, la recitazione. Tra le prime esperienze anche il film di Capuano “Pianese Nunzio”. Il regista non conosceva affatto la mia storia. Mi ha scelto per le capacità attoriali. Punto. Ho vinto un premio a Saint Vincent con il cortometraggio “Spara” ma ho preferito non farne pubblicità per evitare polemiche, pensa un po’».
A difendere a spada tratta l’attore, anche Silvana Fucito,l ‘eroina che con le sue gesta ispirò la fiction: “se c’è buona fede nel ragazzo scelto per la fiction e nel regista che l’ha voluto sul set non vedo dove possa sorgere il problema. Del resto, sarebbe ingiusto – dichiarò Silvana Fucito – emarginare i figli per le colpe dei padri, fermo restando che l’allontanamento dal mondo dei boss e della malavita dev’essere palese e acclarato, testimoniato da un nuovo stile di vita.”
Una carriera iniziata in salita per Vincenzo Pirozzi, che ha sudato e faticato per scrollare il peso e i pregiudizi insiti nel suo cognome. Eppure, l’attore diventato celebre nei panni di “Lelluccio”, non si è limitato a fare questo: è riuscito a riabilitare quel cognome, iniettandogli una linfa ben più genuina ed ammirevole che, oggi, tra i vicoli del Rione Sanità, non è sinonimo di camorra, ma di bellezza.
La dimostrazione felice che “oltre Gomorra” c’è molto altro…