Lo scorso 27 gennaio un poliziotto si è suicidato sparandosi in casa. E’ successo a Roma. L’uomo, assistente capo di 57 anni, era in servizio presso il dipartimento della polizia al Viminale. Ignoti i motivi che hanno spinto l’uomo a compiere l’estremo gesto.
Sale così a 7 il numero di agenti di polizia che dall’inizio del 2020 si sono tolti la vita.
Una vera e propria strage silenziosa degli appartenenti alle Forze di Polizia che coinvolge anche i rappresentanti dell’arma dei carabinieri. Gli uomini in divisa, con il ripetersi di un gesto estremo come il suicidio, stanno lanciando un segnale che allo stato attuale risulta inascoltato.
I suicidi si susseguono con una cadenza impressionante. Una strage trasversale che interessa uomini e donne di tutte le realtà del comparto sicurezza e delle forze armate.
Nel 2019 si sono registrati 69 suicidi.
Negli ultimi 5 anni sono più di 200 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita.
Al cospetto di un numero così massiccio di casi, ricondurre le ragioni del reiterarsi di un gesto disperato ed estremo al contesto familiare o a problemi di carattere economico, appare un alibi sterile e vacillante.
Alla base di questi suicidi potrebbe celarsi un malessere più profondo e finora sconosciuto, perchè inascoltato.
Ragion per cui, dinanzi a quello che è stato ribattezzato “il virus dei suicidi”, il libero sindacato di polizia ha diramato, in più circostanze e da diverso tempo, un appello al Ministro dell’Interno, per richiedere l’istituzione di un pool di psicologi presso ogni Ufficio di Polizia dislocato sul territorio, consentendogli di lavorare a stretto contatto con gli agenti di polizia, così da consentire loro di rilevare in maniera tempestiva qualsiasi forma di malessere o turbamento, intervenendo in maniera tempestiva per frenare questa mattanza.
Tra le possibili ragioni alla base del “virus di suicidi” – secondo il Libero Sindacato di Polizia – le aggressioni subite dagli uomini in divisa che concorrono a creare un clima lavorativo teso ed ostile, oltre che di ulteriore stress in cui il rischio di vedersi accusare di eccesso di legittima difesa e di abuso di potere, si cela dietro l’angolo. Aggressioni, insulti, minacce, ai quali si aggiunge il crescente clima di avversione, fomentato dai gruppi di odio che pullulano sui social.
Un agente di polizia, inoltre, deve trasmettere sicurezza e forza ai cittadini. Non può permettersi di vacillare, non può concedersi defaillance.
Inoltre, una delle ragioni che induce un rappresentante delle forze dell’ordine a tacere in merito al suo stato di turbamento o depressione è l’articolo 48 del Dpr n. 782 del 1985 che prevede il ritiro del tesserino e dell’arma, nel caso in cui venga diagnosticata una malattia neurologica.
I poliziotti temono di vedersi affrancare l’etichetta di “pazzo”, per poi essere frettolosamente emarginati. Per smontare “il caso”, per non compromettere l’immagine della divisa.
Un recente sondaggio, facendo riferimento proprio ai suicidi tra gli operatori di Polizia, chiedeva cosa fosse meglio per militari e poliziotti, tra stipendio più alto e serenità lavorativa.
Al sondaggio hanno risposto 2455 appartenenti alle forze dell’ordine: in 1931 (79%) hanno indicato serenità lavorativa, mentre i restanti 524 (21%) hanno indicato lo stipendio. Stando a quanto denunciano gli addetti ai lavori, manca la serenità lavorativa. In tanti denunciano carenza di personale, turni sfiancanti e paura di fare la territoriale a causa del clima venutosi a creare, in seguito a recenti episodi di cronaca. L’errore di un singolo, si ripercuote sull’intera categoria con conseguenze devastanti.