La scoperta del senso profondo della maternità, che giunge solo dopo una lunga serie di errori e solo dopo aver stretto tra le braccia la propria bambina: è la storia di Marta, protagonista dello spettacolo “Run Baby Run“, intenso monologo scritto e diretto da Mirko Di Martino in scena al Teatro Tram da venerdì 17 a domenica 19 gennaio. Il testo, che ha vinto il Premio Tragos alla drammaturgia (Milano, 2019) ed è ispirato a un episodio di cronaca degli ultimi anni, ha debuttato lo scorso marzo durante la stagione teatrale 2018/2019 del Tram e torna oggi con la stessa carica emotiva.
A interpretare la protagonista, Marta, l’intensa Titti Nuzzolese, tra le fondatrici del Tram e impegnata negli ultimi anni tra palcoscenici teatrali e set televisivi e cinematografici: oltre alla periodica partecipazione in “Un posto al sole”, tornerà a breve sul grande schermo in una pellicola diretta da Gabriele Muccino, “Gli anni più belli”, in uscita il 13 febbraio.
“Run Baby Run” è la storia di una fuga che diventa maturazione: fuggire significa cercare la propria strada, anche a costo di sbagliare.
Il ritmo parte quasi sussurato, ma è solo l’inizio: Marta ha appena partorito, è ancora in ospedale; si prende cura della sua bambina, la allatta, la accarezza, ma non sa per quanto tempo potrà ancora farlo. La guarda, non sa se le somiglia, ma sa di cosa ha bisogno di sentirsi dire una madre, di cosa ha bisogno di essere: una madre diversa dalla propria. Per il Tribunale dei Minori, però, non è adatta a prendersi cura di sua figlia, non è quello che può definirsi una “buona madre”. Nel suo passato la tossicodipendenza, i furti, la vita da sbandata, un fidanzato assente: la piccola non può crescere con lei, sarà affidata a una casa di accoglienza. Ma, per Marta, la bambina che tiene in braccio è soltanto sua, nessuno può portargliela via.
E così fugge: il ritmo del monologo cresce mentre inganna le infermiere, esce dall’ospedale con la bambina in braccio, si mette in macchina e scappa via. Lascia Milano e viaggia verso Sud, verso il paesino sperduto che aveva abbandonato con la famiglia tanti anni per inseguire i suoi sogni. Di quei sogni, oggi, non resta più nulla: solo una bambina senza un padre, una bambina che è così bella e indifesa, così pura e innocente. La Polizia è partita al suo inseguimento: non importa che la piccola sia sua figlia, si tratta comunque di rapimento. Marta corre: non le importa di essere in fuga, non le importa di essere una criminale. Nessuno potrà toglierle sua figlia.
Una madre che scappa per tenere con sé sua figlia può essere accusata di rapimento? È giusto togliere alla madre la figlia appena nata, se la madre è ritenuta inadeguata al suo ruolo? E chi decide se è davvero inadeguata? Queste le domande che Mirko Di Martino, autore del testo e regista, si è posto nel mettere una dietro l’altra le parole-macigno che compongono il monologo. Temi delicati e quasi intoccabili, quelli che riguardano le madri e i bambini.
“Lo spettacolo racconta una donna che scopre un po’ alla volta il significato della maternità – spiega Di Martino -: Marta, infatti, comprende cosa vuol dire essere madre non quando mette al mondo sua figlia, ma solo dopo che ha dovuto fare delle scelte per lei, per il suo futuro, confrontandosi con il suo passato. Perché ogni madre è anche una figlia, e ogni madre deve confrontarsi con la madre che ha avuto e vedere in sua figlia la figlia che è stata”.