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Ponticelli, un anno di camorra: gli episodi più salienti del 2019

Luciana Esposito di Luciana Esposito
29 Dicembre, 2019
in Cronaca, In evidenza
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Ponticelli, un anno di camorra: gli episodi più salienti del 2019
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10622748_704063789671057_8206881894093037635_n-294x300-294x300 Quello che sta per volgere al termine, a Ponticelli è stato un anno che, sul fronte camorristico, ha fatto registrare  un’inversione di rotta rispetto ai precedenti.

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Il 2019 è stato un anno senza omicidi ed orfano di azioni violente eclatanti, ma principalmente segnato da importanti successi delle forze dell’ordine e della magistratura e non privo di clamorosi colpi di scena.

Fin dai primi giorni di gennaio, infatti, nel quartiere si è ben presto diramato il presagio che lo Stato avrebbe collezionato una serie di successi significativi che avrebbero stroncato sul nascere i sogni di gloria del sodalizio camorristico egemone e frutto di una serie di alleanze strategiche tra diversi clan in rovina di Napoli est. 

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio, nove persone vengono raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di omicidio e tentato omicidio aggravati da metodo e finalità mafiose. Le persone raggiunte dal provvedimento sono 3 affiliati al clan Mazzarella e 6 affiliati al clan Rinaldi. Tra le persone raggiunte dal provvedimento, spiccano i nomi del boss del Rione Villa Ciro Rinaldi detto ‘Mauè’ e Michele Minichini, uomo-simbolo della “camorra emergente” di Napoli est, in quanto figliastro di Anna De Luca Bossa e figlio naturale del boss ergastolano, detenuto in regime di 41 bis, Ciro Minichini e di Cira Cipollaro, oltre a Luisa De Stefano e Vincenza Maione, le ‘pazzignane’ del Rione De Gasperi di Ponticelli, tutti già accusati dell’omicidio del boss Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna.

Pochi giorni dopo, altre 8 persone finiscono nel mirino degli inquirenti, perchè ritenute responsabili a vario titolo di detenzione, porto in luogo pubblico di arma comune da sparo e violenza privata commessa da più di cinque persone con l’uso delle armi, con l’aggravante del metodo mafioso. A finire in manette, i responsabili delle “stese” e di diversi raid armati che dal novembre del 2017 animarono la faida tra i De Micco e i “clan rivali” capeggiati da Michele Minichini, anche in questa circostanza figurante tra i destinatari del provvedimento di custodia cautelare.

A febbraio, dopo 3 mesi di latitanza, i Carabinieri della sezione “catturandi” di Napoli catturano il boss latitante Ciro Rinaldi, capo del sodalizio camorristico tra i clan di Napoli est.

Il mese di marzo è segnato da un’operazione lampo: pochi giorni dopo una “stesa” avvenuta in piazza Trieste e Trento sei persone vengono raggiunte da un provvedimento di fermo, perchè accusati di detenzione e porto illegali d’arma da fuoco, spari in luogo pubblico e danneggiamento, reati aggravati da metodo e finalità mafiose per aver commesso il fatto avvalendosi della forza d’intimidazione del clan camorristico dei Minichini-De Luca Bossa e per mostrare superiorità nei confronti del clan Mariano.

I mesi successivi trascorrono nel segno di una guerra fredda e silenziosa, tra il clan “XX”, ovvero le rimaneggiate reclute del cartello De Micco-De Martino e il clan Minichini-Schisa-De Luca Bossa, con questi ultimi ritornati in auge, dopo diversi anni trascorsi alla mercè dei “Bodo”. La cosca del Lotto O, d’intesa con i Cuccaro-Aprea di Barra, domina la scena camorristica, in particolare sul fronte delle estorsioni, così come comprova l’arresto maturato a giugno nei confronti di Carmine Bosso,  54 anni, gravemente indiziato di estorsione e tentata estorsione aggravate dal metodo mafioso. Bosso, ritenuto contiguo al clan Aprea-Cuccaro di Barra, si era reso autore delle classiche estorsioni di Pasqua e Natale nei confronti dei commercianti di Ponticelli. Giugno è anche il mese di un clamoroso colpo di scena nel corso del processo per l’omicidio del boss dei Barbudos, Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna: la lady camorra del Lotto O, Anna De Luca Bossa e “le pazzignane” Luisa De Stefano e Vincenza Maione, leggono in aula una lettera in cui confermano la volontà di uccidere Cepparulo e chiedono scusa alla famiglia Colonna per aver provocato la morte di un innocente.

Un’estate particolarmente rovente per gli interpreti della malavita ponticellese, quella che si consuma tra i banchi delle aule di tribunale: gli affiliati ai “clan satelliti” dei Mazzarella operanti nel vesuviano vengono condannati ad oltre 4 secoli di carcere. Tra i condannati spiccano i nomi di Michele Minichini e di Tommaso Schisa. Nel caso del primogenito della “pazzignana” Luisa De Stefano e dell’ex affiliato al clan Sarno Roberto Schisa, l’ennesima condanna a 13 anni di carcere lo induce a prendere una decisione clamorosa: diventare un collaboratore di giustizia. Il giovane subisce notevoli pressioni da parte dei familiari che mirano ad indurlo a ritrattare. Gli stessi familiari prenderanno le distanze dalla sua decisione, arrivando a rinnegare il rampollo della famiglia Schisa, quando la notizia del suo pentimento finirà sui giornali. 

Luglio è anche il mese in cui un altro autorevole clan di Ponticelli riceve una sonora condanna: boss e affiliati al clan D’Amico vengono condannati ad oltre 5 secoli di carcere. Nelle settimane successive, gli inquirenti chiudono il cerchio intorno alle indagini relative all’omicidio di una figura-simbolo proprio della cosca del Rione Conocal: furono i fedelissimi del clan De Micco Antonio De Martino e Flavio Salzano ad uccidere Annunziata D’Amico, la donna-boss a capo del clan in seguito agli arresti dei fratelli. Poche settimane dopo, gli inquirenti rivelano anche che nell’estate del 2014, fu un baby-killer a sparare ad Anna De Luca Bossa: Gaetano Carranno, giovane contiguo al clan De Micco. 

Settembre è anche il mese in cui il tribunale emana un altro importante verdetto: ergastolo per tutti gli imputati detenuti responsabili, a vario titolo, dell’omicidio Colonna-Cepparulo. Una sentenza che infligge un duro colpo ai clan alleati di Napoli est e, in particolare, alle “pazzignane” del rione De Gasperi di Ponticelli.

Tra i grigi palazzoni del Lotto O, intanto, il giovane Emmanuel De Luca Bossa, figlio di Tonino ‘o sicco, viene arrestato mentre sconta una pena detentiva ai domiciliari. Nell’ambito di una perquisizione, i carabinieri trovano il giovane – accusato di aver messo a segno una serie di rapine – in possesso di una pistola giocattolo priva del tappo rosso. Poche settimane dopo, suo fratello Umberto, primogenito del boss al 41 bis Antonio De Luca Bossa, torna in libertà dopo un breve periodo di detenzione. Una scarcerazione festeggiata con fragorosi fuochi d’artificio nel fortino del clan attualmente egemone a Ponticelli.

Poche settimane dopo, un’altra scarcerazione viene festeggiata con un fragoroso spettacolo pirotecnico: quella che riporta in libertà i fratelli Casella. 

Gli imputati, accusati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti nonché di spaccio di stupefacenti, possesso di documenti di identità falsi e lesioni aggravate, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, sono stati assolti dal Giudice per le udienze preliminari. A supporto del quadro accusatorio, i dati emersi dalle intercettazioni ambientali raccolte in fase di indagini, dalle quali trapela nitidamente la responsabilità dei tre fratelli Casella in relazione all’omicidio di Gianluca Cardicelli, oltre ad altre prove inconfutabili in relazione ad altri reati: dagli ordini impartiti agli affiliati alla distribuzione dei soldi, oltre alla meticolosa cura rivolta all’attività di confezionamento e vendita della droga.

A determinare il clamoroso esito del verdetto, a dispetto delle schiaccianti prove raccolte, vi è il fatto che il pm aveva richiesto le autorizzazioni per intercettare il telefono, la casa e le auto dei sospettati, ottenendo però l’autorizzazione solo per le intercettazioni telefoniche. Di contro, gli avvocati dei 14 imputati hanno fatto leva sul difetto di procedura, riuscendo ad ottenere l’assoluzione dei loro assistiti per non aver commesso il fatto.

Lo spaccio di droga intanto continua a confermarsi il business più prolifero per le organizzazioni camorristiche e per questa ragione le forze dell’ordine operanti sul territorio risultano perennemente impegnate in attività di prevenzione e contrasto alle attività di spaccio che spesso si traducono in arresti e sequestri di ingenti quantitativi di stupefacenti. Tra le operazioni più eclatanti, in tal senso, si registra quella che ad ottobre ha portato all’arresto di quattro persone, ritenute a capo di una piazza di spaccio attiva nel Rione De Gasperi di Ponticelli e sorprese in più circostanze a spacciare anche in presenza di minori. 

Ottobre è il mese in cui scattano le manette per altre due persone accusate di aver tentato un’estorsione sui lavori al Palavesuvio di Ponticelli. Salvatore Belpasso e Antonio Assante, ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione e, in concorso, di violenza privata, avrebbero agito per elargire le casse del cartello criminale Aprea – De Luca Bossa -Minichini della periferia orientale di Napoli che al momento rappresenta la forza camorristica dominante a Ponticelli.

Il 2019 volge al termine sulla stessa scia: due uomini, ritenuti contigui al clan De Luca Bossa, vengono arrestati con l’accusa di concorso in usura aggravata ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Secondo quanto emerso dalle indagini degli inquirenti, i due imponevano tassi usurari fino al 720%. A carico degli arrestati figurano gravi indizi di colpevolezza che proverebbero in maniera schiacciante i reati commessi, oltre al legame con il clan De Luca Bossa, attualmente egemone a Ponticelli. I due, proprio per conto della cosca del Lotto O, avrebbero prestato denaro a tassi usurari annuali compresi tra il 50 e il 720% ai danni di alcuni commercianti. Il denaro veniva poi estorto minacciando le vittime di morte e avvalendosi della forza intimidatrice del clan.

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