Un figlio arrestato, un altro figlio scarcerato.
Gioie e dolori in casa De Luca Bossa, dove i riflettori degli inquirenti sono puntati sui figli di “Tonino ‘o sicco”, il sanguinario boss Antonio De Luca Bossa, attualmente detenuto al 41 bis e condannato all’ergastolo, e fondatore del clan attualmente capeggiato da suo fratello Giuseppe.
Se il 20enne Emmanuel De Luca Bossa è stato tradotto in carcere lo scorso 27 agosto, mentre era agli arresti domiciliari, lo scorso 12 settembre, il primogenito di casa De Luca Bossa, il 25enne Umberto, è tornato in libertà dopo 2 anni e 8 mesi. Due destini segnati dalla stessa arma: una pistola.
Nel caso di Emmanuel, quella che nel corso di una perquisizione, i carabinieri della compagnia di Poggioreale gli hanno trovato in casa, mentre stava scontando i domiciliari per rapina: una pistola a piombini completa di caricatore ma priva del tappo rosso ha decretato la carcerazione del 20enne. Nel caso di Umberto, una Beretta 9×21 con matricola abrasa, caricatore pieno e colpo in canna, nascosta sotto il sedile della Smart a bordo della quale viaggiava, alla cui guida c’era un’altra persona, quando fu intercettato dalle fiamme gialle a Torre Annunziata.
Per questa ragione Umberto – che porta il nome del nonno paterno – fu arrestato il 12 gennaio 2017.
Secondo quanto rivelato da diverse fonti, l’arresto del giovane sarebbe stato ordinato proprio dal padre, Tonino ‘o sicco, per salvargli la vita. Non è un segreto, infatti, che il giovane rampollo di casa De Luca Bossa fosse finito nel mirino dei rivali del clan De Micco e che, proprio perchè temeva per la sua incolumità, non usciva mai di casa e quando lo faceva, portava sempre “il ferro” – la pistola – con sè.
Amico e pseudo-alleato del boss dei “Barbudos” del Rione Sanità, Raffaele Cepparulo, che proprio grazie all’amicizia che lo legava ad Umberto De Luca Bossa trovò rifugio nel Lotto O di Ponticelli dopo la “strage delle fontanelle”, nei mesi precedenti all’agguato in cui persero la vita non solo Cepparulo, ma anche Ciro Colonna, 19enne estraneo alle dinamiche camorristiche, è stato avvistato spesso e volentieri in sua compagnia, non solo a Ponticelli, ma anche a Mergellina e in molti altri luoghi di ritrovo della Napoli by night. Tuttavia, è proprio la zia di Umberto, Anna De Luca Bossa, a ricoprire un ruolo determinante nell’omicidio Colonna-Cepparulo, inviando ai killer un sms in cui gli indicava che il ras dei Barbudos si trovava nel circolo ricreativo di proprietà proprio di suo nipote Umberto, nel plesso P4 del Lotto O di Ponticelli, il palazzo-bunker del clan De Luca Bossa.
Umberto De Luca Bossa, ascoltato dagli inquirenti il giorno seguente al duplice omicidio, dichiarò quanto segue: ”In occasione dell’agguato ero all’esterno del circolo, nel piazzale antistante di fianco al Centro Abbronzante “Maracaibo “. In mia compagnia mia zia DE LUCA BOSSA Anna. All’interno vi erano Colonna Ciro, che giocava a calcio balilla con una ragazza sedicenne, tale Francesca. Non conosco il cognome di quest’ultima. Seduto nei pressi della cassa vi era invece Raffaele Cepparulo … Un soggetto, vestito con un giubbino nero e con un cappuccio, con il volto chino, è entrato nel locale dicendo “Questa è una rapina, non vi muovete!”. La ragazza che era all’interno, presa dal panico ha raggiunto l’ingresso principale, avvicinandosi a noi, spaventati siamo scappati via in direzione del centro scommesse EuroBet. Dopo qualche secondo, non immediatamente dopo l’ingresso del soggetto nel locale, abbiamo sentito numero colpi d’arma da fuoco. Francesca, la minore che giocava al biliardino con Ciro, nella concitazione mi ha detto che dalla porta posteriore fosse entrato un secondo uomo… Mentre raggiungevo il centro scommesse, nel voltarmi velocemente ho notato l’assassino uscire dal locale. A piedi, da solo, ha svoltato sulla strada attigua alla chiesa, scappando verosimilmente dalla scalinata nei pressi del Sert. Dopo aver atteso qualche minuto all’interno dell‘Eurobet, ho raggiunto nuovamente il piazzale. A terra riverso con la faccia al suolo vi era Ciro. Attorno a lui c’erano tantissime persone. Quello che potuto notare era l’assenza di sangue. Tutti pensavano che fosse svenuto. Solo dopo averlo voltato ci siamo resi conto che al centro del petto vi fosse il foro di entrata di un proiettile”.
Ciro Chiarolanza, detto limone, amico di Raffaele Cepparulo, invece, fornisce un’altra ricostruzione dei fatti: ”Prima dell’agguato io stavo giocando a bigliardino con De Luca Bossa Umberto e vincevo lasciandolo a zero. Non ricordo se su mia richiesta o su quella di Umberto facemmo aprire la porta sul retro del circoletto in quanto faceva caldo. Detta porta molto più piccola di quella sul davanti, di solito era chiusa, ma uno di noi chiese di aprirla per il caldo, ora non ricordo bene chi fu. In quel frangente nel circoletto c’eravamo io, Umberto, Raffaele che giocava a carte con Ciro Ciambriello, un bravo ragazzo di Ponticelli che lavora e non ha nulla a che fare con il crimine che Raffaele frequentava nel circoletto. Finita la partita a bigliardino finii di giocare le palline rimaste con Colonna Ciro e Francesca, mentre Raffaele era dietro al bancone da solo. Ad un certo punto notai che sulla porta era presente una persona con una felpa di colore bluettone del tipo che si chiudono ed hanno gli occhiali per vedere. Questa persona aveva tutta la felpa chiusa in modo che si potessero vedere solo gli occhi e si guardava attorno mentre era sull’uscio del circoletto dove rimase qualche minuto. Non so se sono in grado di riconoscere questa persona, ma sono sicuro che avesse gli occhi chiari e forse guardando gli occhi e la corporatura potrei avere la sensazione di somiglianza. Ad un certo punto è entrata all’interno del locale dicendo “fermi tutti, questa è una rapina”. In principio pensai che fosse uno scherzo di qualcuno di Ponticelli in quanto non vidi la pistola fino a quando questi non alzò l’arma che impugnava nella mano destra. Era una pistola a tamburo cromata argento, credo una 357 o una 38 a canna lunga, preciso di conoscere le armi per cui sono abbastanza sicuro di ciò che dico. Alla vista della pistola mi defilai lungo la parete del circoletto per guadagnare le spalle del rapinatore. Mentre ero alle spalle del rapinatore ed ero prossimo alla porta principale del circoletto, riuscivo ad uscire di soppiatto ed ho sentito uno sparo. Così di corsa sono scappato e mi sono rifugiato a casa della mia ex suocera.”
Le intercettazioni ambientali, in effetti, smentiscono la versione resa da Umberto De Luca Bossa, in relazione alla posizione della zia. E’ la stessa Anna De Luca Bossa, negli attimi successivi all’agguato, a dichiarare: «Ma se invece di colpire a quello colpivano a mio nipote? Tu che fai? Improvvisamente entri e fai fuoco? Fino alla fine credevamo che l’altra vittima fosse mio nipote».
L’unico dato certo è che nei giorni successivi all’agguato, iniziò il calvario del giovane Umberto De Luca Bossa. Diversi residenti nel Lotto O raccontano di vere e proprie spedizioni punitive, autentiche incursioni armate nel rione dei De Luca Bossa, volute per scovare lui, il primogenito di “Tonino ‘o sicco”, finito per la prima volta nei guai all’età di 18 anni, quando accoltella un 19enne su un treno della Circumvesuviana diretto a Sorrento, per futili motivi. Una circostanza insorta per effetto di un malinteso che ben presto sfocia in una lite e per volere del rampollo dei De Luca Bossa, appena maggiorenne, dilaga nel sangue.
Il clan De Micco intende infliggere un colpo letale al cartello criminale nato grazie all’alleanza tra i clan De Luca Bossa, Minichini, Rinaldi e Schisa, uccidendo il figlio di “Tonino ‘o sicco” che, di certo, non dimostra di possedere la stessa tempra camorristica del padre.
Sono mesi difficili e all’insegna dell’incertezza per Umberto che, nel frattempo, si sente intrappolato nella morsa dei De Micco e se ne sta rintanato in casa. A dicembre del 2016, in effetti, “i Bodo” – questo il soprannome degli affiliati al clan De Micco- uccidono Salvatore Solla, detto “Tore ‘o sadico”, fedelissimo del clan De Luca Bossa, proprio nel Lotto O. In pieno giorno, pochi giorni prima di Natale. Solla paga con la vita il rifiuto di pagare ai De Micco il pedaggio sulle piazze di spaccio gestite nel rione. Scortato da 4 uomini, Umberto scende di casa solo per recarsi al cimitero e tributare l’ultimo saluto alla servile recluta del clan di famiglia. Da quel momento in poi, concentra le sue forze per studiare la possibile contromossa. Cerca di reclutare nuovi affiliati e giovani guardaspalle, ma tra i ragazzi in odore di malavita la sensazione che di lì a poco nel rione possa scapparci un altro morto è più che palpabile.
Troppo numerosi e ben armati i De Micco per tentare una controffensiva e al cospetto della promessa di ingenti guadagni, i giovani del Lotto O sollevano un grido: “non vogliamo morire per servire la camorra.”
Sopravvissuto ad una perquisizione pochi giorni prima dell’arresto, gli agenti della Polizia di Stato del commissariato di Ponticelli fecero irruzione in casa di Umberto De Luca Bossa per trovare quella stessa pistola che la guardia di finanza ha intercettato sotto il sedile lato passeggero della Smart sulla quale viaggiava il giorno in cui venne arrestato. Oltre alla pistola, le fiamme gialle hanno trovato e sequestrato 445 euro in contanti, un grammo e mezzo di marijuana e tre telefoni cellulari.
Il giovane De Luca Bossa, impossibilitato a beneficiare del supporto di manovalanza tra le mura amiche, si sarebbe recato a Torre Annunziata in cerca di appoggio da parte dei clan del vesuviano.
Tuttavia, il suo arresto – secondo quanto riferito da diverse fonti – fu voluto ed ordinato proprio da Tonino ‘o sicco, almeno per due buone ragioni: salvare la vita a suo figlio, forte della certezza che i De Micco erano pronti ad approfittare della prima occasione utile per ucciderlo e al contempo forgiarne la tempra, attraverso l’esperienza in carcere.
Umberto finisce così dietro le sbarre e nel corso della sua detenzione cambiano tante cose: poche settimane dopo, diventa padre di un bambino che chiama Antonio, come suo padre, nome che, da anni porta tatuato sul petto, mentre il clan di famiglia, sotto la guida di suo zio Giuseppe, inizia a risalire la china, insieme alle organizzazioni alleate.
“La camorra emergente” – il sodalizio camorristico in cui convergono i clan alleati di Napoli Est – fa sentire la sua presenza, senza cercare mai lo scontro con il clan De Micco.
A partire da quel momento, il Lotto O ha ritrovato “la gloria di un tempo”, diventando il quartier generale dei clan di Napoli est, nonchè luogo di incontri e riunioni tra i vertici dell’organizzazione.
Umberto De Luca Bossa, dunque, torna in libertà, poche settimane dopo l’ennesima carcerazione del fratello Emmanuel, giusto in tempo per “vivere in famiglia” la notizia della condanna all’ergastolo incassata da sua zia Anna proprio per aver partecipato all’omicidio Colonna-Cepparulo, in un clima completamente mutato tra le mura del Lotto O.
Gli inquirenti tengono accesi i riflettori sul rione adiacente all’Ospedale Del Mare per sciogliere un quesito ben preciso: cosa farà adesso il giovane rampollo dei De Luca Bossa? Occuperà il posto che gli spetta di diritto, in quanto figlio del boss Antonio De Luca Bossa o – come più volte decantato dai parenti – cambierà vita per fare il padre a tempo pieno?