Alessandro Malapena, soprannominato “cipolla”, è un pregiudicato 20enne che gode dell’ammirazione e del rispetto dei giovani di Ponticelli: il quartiere in cui è nato e in cui ha vissuto e dove è andato anche incontro alla morte.
Un omicidio decretato dal clan D’Amico, negli anni in cui impazzava la faida con i De Micco per il controllo del territorio. In quegli anni i raid, gli atti intimidatori e soprattutto gli agguati, erano da considerarsi pratiche di ordinaria amministrazione. I “Bodo“, questo il soprannome dei De Micco, erano una forza dirompente, anche e soprattutto per il seguito di cui il clan beneficiava tra i giovani del quartiere grazie al carisma delle figure-simbolo dell’organizzazione. Oltre la giovane Marco De Micco e a suo fratello Salvatore, i fautori del sodalizio camorristico insorto in seguito al declino del clan Sarno, anche “il cipolla” era molto benvoluto dai giovani del quartiere e soprattutto per questo era uno dei pusher più quotati della cosca dei “Bodo”.
Nella tarda serata del 27 agosto del 2013, “cipolla” viene freddato con 10 colpi di calibro 7,65 mentre stava percorrendo a piedi viale Margherita, nei pressi di una telecamera fissa che immortala quelle scene di morte.
Soccorso e trasportato a Villa Betania, Malapena è giunto al nosocomio di Ponticelli, poco distante dal luogo dell’agguato, già senza vita.
Secondo quanto riferito dalla Polizia, Alessandro Malapena era già stato vittima di un ferimento il 24 agosto, quindi tre giorni prima dell’agguato rivelatosi mortale. In quella circostanza, il 20enne giunse a Villa Betania con una ferita d’arma da fuoco al polpaccio. Agli agenti riferì di essere stato vittima di un tentativo di rapina dello scooter subìto nel pomeriggio, intorno alle 18 di quel giorno, mentre percorreva via Argine.
Malapena, a dispetto dei suoi 20 anni, era una figura emergente del clan De Micco e per questo è finito nel mirino dei sicari che oggi sappiamo essere appartenenti al clan D’Amico.
L’indagine giunse rapidamente a un punto di svolta. Tre elementi cruciali, infatti, hanno sancito un punto di svolta nelle indagini volte a risalire ad esecutori materiali e mandanti dell’omicidio Malapena: l’identificazione dei presunti responsabili attraverso le immagini sfocate della telecamera di viale Margherita, il pentimento di Giovanni Favarolo, ex nuova leva del clan D’Amico, e a seguire quello di Gaetano Lauria. Il primo si era avvicinato ai “Fraulella” da poco, dopo essere stato minacciato da alcuni esponenti del clan De Micco. “Stai con noi o no?”, gli avevano chiesto i “Bodo” a muso duro. “Perché ricordati, chi non sta con noi è contro di noi”.
Il 1 ottobre 2013 Giovanni Favarolo, alias “Giuan ’o boss”, nuova leva del clan D’Amico di Ponticelli, si accusa dell’omicidio Malapena e tira in ballo Giuseppe D’Amico, Gaetano Lauria e il giovane Vincenzo Aprea, minorenne all’epoca dei fatti, ma per quest’ultimo il Gip respinse l’ordinanza di custodia cautelare.
Le dichiarazioni rese da Giovanni Favarolo, detto “Giuan ’o boss”, chiamato così perché fin da piccolo aveva un atteggiamento da duro, sono state ritenute molto utili dai pm della Dda nel concorrere a far luce sull’omicidio Malapena: «Il giorno dell’omicidio – di Alessandro Malapena, ndr – ci siamo incontrati a casa di Nunzia D’Amico, io, “Peppino fraulella” che sarebbe Giuseppe D’Amico, Gaetano Lauria e “Pisellino” di cognome Aprea, figlio di Gennaro Aprea, Salvatore Ercolani e Giacomo D’Amico. Ci vedemmo per decidere cosa fare nei confronti di Gennaro Volpicelli, Salvio “Bodo” che sarebbe Salvatore De Micco, Enea De Luca, Omar di cui non ricordo il cognome, il figlio del “Mio-babbo”, Roberto Boccardi e“Cipolla”, Alessandro Malapena. Il loro gruppo infatti, voleva farci chiudere le piazze di spaccio al Conocal e le bancarelle di sigarette, e ci voleva ammazzare. Nel corso della riunione decidemmo di vendicarci. Quella sera siamo scesi io, D’Amico, Lauria e Aprea. Siamo scesi con l’idea di ammazzare qualcuno. Quando stavamo sopra si parlava di fare qualcosa contro questo clan, di prendere provvedimenti, di ammazzare. Era una cosa precisa quella che si diceva. Io guidavo lo scooter sul quale viaggiava D’Amico. Quando arrivammo davanti a quei ragazzini, io rallentai, D’Amico era alzato sui pedalini. Con la mano sinistra si appoggiava alla spalla e con la mano destra sparava. Ha mirato a sinistra, perchè i ragazzi stavano alla nostra sinistra, e ha sparato. Ma non sapevamo se avevamo ucciso qualcuno. Solo verso l’una di notte un mio amico mi disse che era morto Malapena.»
L’omicidio, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, deve considerarsi la replica del clan D’Amico ad un’incursione armata compiuta dai De Micco.
Per l’omicidio di Alessandro Malapena Giacomo D’Amico e Salvatore Ercolani – marito della defunta donna-boss Annunziata D’Amico – sono stati condannati a 20 anni di reclusione. La giustizia non ha fatto sconti nemmeno ai pentiti: Giovanni Favaloro è stato condannato a 14 anni e 2 mesi, Gaetano Lauria ha rimediato 5 anni e 4 mesi, anche se Lauria si era accusato del delitto, il contributo reso con le sue testimonianze non era stato determinante per il prosieguo delle indagini che invece erano già cristallizzate.
Quello che resta di Alessandro Malapena, oggi, a Ponticelli, è il ricordo che amici e parenti continuano a mantenere vivo attraverso un gruppo su facebook: “Alessandro Malapena vive” nel quale pubblicano foto del 20enne e gli dedicano frasi e messaggi, commemorandolo come un martire caduto in guerra. In effetti, nelle terre di camorra come Ponticelli, i giovani che scelgono di vivere una vita da recluta, vivono nella cinica consapevolezza che quello è il destino più probabile al quale andranno incontro: a riprova di ciò, vi è il fatto che, nonostante avesse ricevuto un “avvertimento” tre giorni prima dell’agguato in cui ha perso la vita, Malapena continuava indisturbato a vivere la sua vita, senza cambiare le sue abitudini, senza temere la trappola mortale dei rivali. “Cipolla” è morto da soldato fedele e devoto al clan e per questo ha conquistato un posto di rilievo nel cuore e nei ricordi dei giovani di Ponticelli.
Una morte che ha scosso tutti, sia i “buoni” che i “cattivi”, come puntualmente accade al cospetto di una giovane vita crivellata dai colpi mortali della camorra. L’omicidio di Alessandro Malapena potrebbe considerarsi a tutti gli effetti la replica del clan D’Amico al duplice omicidio di Gennaro Castaldi e Michele Minichini, avvenuto nel rione Conocal – il quartier generale dei “fraulella” – nel gennaio dello stesso anno. In quella circostanza, persero la vita due ventenni: Gennaro Castaldi, uomo dei D’amico e reale obiettivo dell’agguato ed Antonio Minichini, estraneo alle dinamiche camorristiche, seppur fratello del killer Michele Minichini e figlio di Anna De Luca Bossa – la lady-camorra del Lotto O – e il boss Ciro Minichini. Quest’ultimo omicidio aprì, a sua volta, un’insanabile ferita tra il clan De Micco e il clan De Luca Bossa, che tutt’oggi non vuole saperne di rimarginarsi.