Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, fin dall’epoca del post-terremoto, è uno dei teatri di camorra più turbolenti e concitati della città.
Diventato celebre come il quartiere di residenza del clan Sarno, l’organizzazione criminale che per circa un ventennio ha saputo imporre la sua egemonia criminale ai comuni del vesuviano, arrivando a prendere possesso anche dei quartieri del centro cittadino, attraverso una serie di alleanze con gli altri clan, Ponticelli, in seguito al declino della cosca del Rione De Gasperi, per effetto del pentimento dei fratelli Sarno e di altre figure di spicco dell’organizzazione, ha vissuto una lunga e sanguinosa faida, scoppiata per colmare il vuoto di potere che si era generato.
Su un fronte i D’Amico, i cosiddetti “fraulella” del Rione Conocal, nati da una costola del clan Sarno, sull’altro i De Micco, anche soprannominati “Bodo”, trainati dalla mente del giovane Marco De Micco che, seppure appartenente ad una famiglia estranea alle dinamiche camorristiche del quartiere, decise di intraprendere la scalata al potere, con l’aiuto dei fratelli Salvatore e Luigi: quando queste due compagini avverse iniziano a perseguire il medesimo obiettivo, il quartiere vive anni di fibrillazioni. I raid armati, le azioni violente e soprattutto gli agguati, si susseguono e si alternano, su entrambi i fronti, senza risparmiare giovani vite innocenti.
Con l’omicidio della donna-boss Annunziata D’Amico, avvenuto nell’ottobre del 2015, i De Micco impongono la loro supremazia ai fratelli Fraulella, tutti detenuti, ai quali non resta da fare altro che piangere la morte della sorella, subentrata al vertice dell’organizzazione camorristica della famiglia, sia per controllare il business delle 14 piazze di droga del rione Conocal, sia per contrastare l’ascesa criminale del clan rivale.
L’egemonia dei De Micco dura ben poco: nel novembre del 2017 è un blitz della polizia di Stato che si traduce nell’arresto delle figure di spicco del “clan dei tatuati” a sancire l’inizio di una nuova era camorristica a Ponticelli.
La reazione dei clan rimaneggiati dalle dichiarazioni rese dagli ex boss del clan Sarno passati dalla parte dello Stato e poi messi all’angolo dai De Micco, non tarda ad arrivare: poche ore dopo gli arresti di boss e fedelissimi del clan, “le pazzignane” del Rione De Gasperi, manifestano la viva volontà di non pagare più il pedaggio sulle piazze di droga ai De Micco. E’ il primo di una numerosa serie di eventi riconducibili al sodalizio criminale nato grazie ad una serie di alleanze strategiche tra diversi clan in ombra, non solo di Ponticelli, ma dell’intera periferia orientale di Napoli.
Inizia così una nuova faida tra i fedelissimi del clan De Micco e i clan di Napoli est alleati per ritrovare la gloria di un tempo.
Una faida, quella che ha segnato principalmente il 2018, contraddistinta soprattutto dal carisma, dalla ferocia e dalle leggende che avvolgono alcuni interpreti di entrambe le compagini coinvolte nella faida.
Michele Minichini detto “Tiger” o “o tigre” e Tommaso Schisa, ad esempio, entrambi “figli d’arte” di padri detenuti per reati di camorra, entrambi capaci di “onorare” il cognome e dimostrare fedeltà alla famiglia, mettendo la firma su efferati crimini e, soprattutto, entrambi venerati ed osannati dalle giovani leve della camorra e dai ragazzini che seguono con fascino e curiosità le vicende camorristiche del quartiere, che in loro vedono delle figure da rispettare e da acclamare, riconoscendoli come le vere star che ispirano le gesta di “Gomorra”, in un complesso intreccio tra realtà e finzione, con l’ignoranza e quel pathos emotivo che concorre a creare un forte senso di esaltazione intorno ai camorristi in certi contesti, che rendono impossibile marcare una nitida linea di separazione, provvidenziale in casi come questi, per sventare l’insorgenza di “nuovi mostri culturali”.
Se i veri “eroi” della camorra, le cui gesta finiscono nel copione di “Gomorra” possono definirsi “gli influencer della camorra”, ben altra reazione suscitano, invece, altre figure camorristiche attualmente in voga a Ponticelli.
E’ il caso di “XX”: il camorrista così soprannominato per il timore che incute. L'”innominato” della camorra ponticellese, in sostanza, gode della fama del criminale spietato e senza scrupoli, tutt’altro che a caccia di visibilità e popolarità, al quale è meglio non pestare i piedi.
Una figura che ha conquistato la ribalta proprio nel corso della concitata faida tra i clan alleati e la carcassa del clan De Micco, capeggiata dalla famiglia De Martino, affiancata da giovani reclute. Molti giovani “fedelissimi” ai De Micco sono passati con i rivali del cartello Minichini-De Luca Bossa-Schisa, sicuri del fatto che sull’era del clan dei tatuati stessero ormai scorrendo i titoli di coda.
E’ in questa concitata fase in cui si alternano raid intimidatori, stese e agguati che tra i rumors di quartiere si fa spazio la figura di “XX”: un killer spietato secondo alcuni, una testa calda secondo altri. Un nome che è meglio non pronunciare a voce alta e per questo contrassegnato con due “X” che nell’omertoso alfabeto della camorra assumono un significato tutt’altro che dall’incerta interpretazione: quel nome non s’ha da fare.
Mistero e leggende metropolitane si alternano, così, da mesi, intorno alla sagoma di un innominabile interprete della camorra che in sella a una moto possente si destreggia tra il rione Incis, il rione Fiat e il Lotto 10, roccaforti del clan De Micco, l’organizzazione camorristica di appartenenza di “XX” che secondo molti “appassionati” della materia, starebbe tentando l’ascesa, quindi di avere la meglio sui clan affiliati, non per conto dei “Bodo”, ma per iniziare una nuova era camorristica, nel segno della temibile scia che avvolge la sua reputazione.
Sarebbe proprio lui il bersaglio scomodo finito nel mirino dei clan alleati che, al momento, detengono il controllo del territorio. Per questo motivo, nella notte tra il 26 e il 27 giugno è stato oggetto di un inquietante raid intimidatorio, nei pressi della villa comunale di Ponticelli, in presenza di centinaia di cittadini in cerca di svago e refrigerio.
Secondo quanto riferito dai testimoni, un uomo gli avrebbe puntato contro le due armi per poi allontanarsi. Alcuni cittadini che hanno assistito all’inquietante scena, raccontano anche che l’uomo avrebbe estratto il caricatore da una delle armi in suo possesso, con il chiaro intento di dimostrare al rivale che non si trattava di giocattoli e che per giunta quelle armi erano pronte per l’uso.
Una vicenda dai macabri risvolti che, fin qui, rappresenta l’unico sonoro sussulto di una guerra che si sta combattendo in maniera silenziosa e che per questo lascia intravedere scenari ben più temibili, come la storia insegna.