Napoli piange la morte di uno dei suoi figli più illustri ed autorevoli: Luciano De Crescenzo.
Avrebbe compiuto 91 anni esattamente tra un mese, il 18 agosto, lo scrittore partenopeo nato nel 1928, ha avuto una vita ricca. Era stato allievo del matematico Renato Caccioppoli laureandosi in ingegneria elettronica; ha lavorato in ufficio facendo carriera fino a diventare dirigente alla Ibm. Un lavoro sicuro che lascia a metà degli anni Settanta per dedicarsi alla scrittura.
L’esordio, nel 1977, con Così parlò Bellavista, pubblicato da Mondadori come tutta la sua opera a seguire. Sarà un romanzo destinato a diventare un bestseller e da cui sarà tratto anche un film omonimo, diventato un cult del patrimonio cinematografico partenopeo ed italiano.
Fin da subito lo scrittore alla vocazione di romanziere affianca con successo quella di divulgatore con opere quali i due volumi de La storia della filosofia greca (1983 e 1986), prima e dopo Socrate, che raggiungono il grande pubblico. Ed è proprio l’affetto dei lettori a non essergli mai mancato in carriera facendo di lui uno degli autori più venduti in Italia e all’estero.
Con l’ultimo lavoro, Napolitudine (2019) firmato con un altro partenopeo doc, Alessandro Siani, De Crescenzo, irresistibile istrione, inventa il modo, seduto al tavolino di un bar della Capitale, di catturare l’attenzioni dei giovanissimi, una scolaresca di bambini in gita. In quelle pagine, per raccontare il profondo rapporto con la città natale De Crescenzo, che viveva Roma, scriveva: «A me Napoli manca sempre, persino quando sono lì!».
Con De Crescenzo muore un pezzo di Napoli, raccontato in maniera magistrale, senza mai sfociare nella banale retorica, che mancherà non solo ai napoletani, ma a tutti gli affezionatissimi lettori dello scrittore che ha incantato diverse generazioni di sognatori e liberi pensatori.