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Camorra Ponticelli, lo chiamano “il nuovo clan” egemone, ma in realtà di nuovo non c’è nulla

Luciana Esposito di Luciana Esposito
28 Giugno, 2019
in Cronaca, In evidenza
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Camorra Ponticelli, lo chiamano “il nuovo clan” egemone, ma in realtà di nuovo non c’è nulla
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15146610672_2f47e7d598_b-1Viene definito “il nuovo cartello camorristico” che comanda a Ponticelli.

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In realtà, analizzando nomi e storie dei clan che convergono nell’alleanza che ha messo il sigillo sul controllo delle attività illecite del quartiere della periferia orientale di Napoli dopo la resa del clan De Micco, si giunge alla conclusione che di “nuovo” non c’è davvero nulla.

Una scelta dettata dalle esigenze, quella di convergere in un unico, grande sodalizio, per curare gli interessi comuni e ritrovare il lustro di un tempo: questa l’unione di intenti che ha portato i Cuccaro-Aprea di Barra ad allearsi con i Minichini-De Luca Bossa.

Il clan nato dalla dissociazione dal clan Sarno di “Tonino ‘o sicco”, ovvero Antonio De Luca Bossa, dopo l’arresto di quest’ultimo e della mamma, “donna Teresa”, ha vissuto lunghi momenti bui. Anna De Luca Bossa, la sorella di Tonino ‘o sicco, ha curato gli interessi della famiglia, avviando una proficua collaborazione con i D’Amico del Rione Conocal in termini di spaccio di droga, insieme alla figliastra Martina Minichini, sorella del killer Michele e per questo tratta in arresto prima ancora che le indagini in corso svelassero il ruolo che ha ricoperto nel determinare la morte del boss dei Barbudos, Raffaele Ceppparulo e dell’innocente Ciro Colonna.

Una famiglia “caduta in rovina” quando il clan De Micco ha preso il sopravvento a Ponticelli, schiacciando in un angolo i ras del Lotto O e, per giunta, infliggendogli una ferita indelebile che ha lasciato una profonda cicatrice in entrambe le famiglie, De Luca Bossa e Minichini.

E’ il 29 gennaio del 2013 quando in via Arturo Toscanini, nel Rione Conocal, bunker del clan D’Amico, due giovani vengono giustiziati in un feroce agguato.

A cadere sotto i colpi dei killer Gennaro Castaldi, di 21 anni e Antonio Minichini, di 19 anni. L’agguato è avvenuto intorno alle 20, sotto casa di Castaldi. I due giovani vengono immediatamente trasportati all’ospedale Loreto Mare, dove il 21enne muore poco dopo il ricovero, mentre il 19 enne spirerà all’alba del giorno dopo, in seguito ad un disperato e delicato intervento chirurgico.

Antonio era il figlio di Anna De Luca Bossa e del boss Ciro Minichini, quindi fratellastro di Michele e Martina Minichini.

Estraneo alle dinamiche camorristiche, il figlio della lady camorra del Lotto O, fu ucciso solo perché nel momento in cui i sicari entrarono in azione per eliminare Castaldi, unico obiettivo dell’agguato, si trovava in sella al suo scooter.

A partire da quel giorno, le due famiglie camorristiche, legate a filo doppio, non hanno mai smesso di tramare vendetta ed ambire a riconquistare il controllo dei traffici illeciti a Ponticelli.

A raccontare lo stato di indigente difficoltà in cui versava il clan è proprio Anna De Luca Bossa, nel 2013, durante un colloquio in carcere con il fratellastro Christian Marfella, figlio di Teresa De Luca Bossa e il boss di Pianura Giuseppe Marfella.

«Antonio ha scritto una lettera… – spiega al fratellastro, parlando di suo fratello, Antonio De Luca Bossa – Non abbiamo capito se si uccideva o si buttava (intendeva diventare collaboratore di giustizia). Ha detto: io sono stanco, non ce la faccio più, ho perso la dignità… sono stato un mese senza soldi…. Vedo quelli scemi fuori alla cella che dicono prenditi un po’ di mangiare in più’. Ha
detto che sta facendo tante figure di merda. Ci siamo riuniti tutti quanti a casa. Abbiamo parlato… Diamo 150 euro al mese.
Adesso facciamo 50 euro ciascuno al mese… Io metto 50… Rosaria 50… Nanà e Alfonsina danno pure loro 30 euro a testa.. Raccogliamo sei, settecento euro al mese
».

christian-marfellaChristian Marfella, finito dietro le sbarre per un tentato omicidio e un’incursione a mano armata all’interno di un circolo di scommesse, episodi consumatisi entrambi nel 2013 nella fase iniziale della faida tra i De Micco e i D’Amico, in Antonio De Luca Bossa vede molto di più di un semplice fratellastro. Un idolo, un esempio da seguire, un modello da imitare, tant’è vero che quel soprannome, “Tonino ’o sicco”, se lo fa tatuare sul collo, come un collier indelebile da esibire con vanto ed orgoglio.

Una fama, quella costruita a suon di azioni camorristiche cruente ed eclatanti, che “Tonino ‘o sicco” non poteva permettersi di perdere, né dentro né fuori dal carcere. Tant’è vero che tra i palazzoni del suo bunker, il Lotto O, anche la gente comune fu chiamata ad aderire alla colletta per supportare economicamente il boss in carcere, quasi a volerne consolidare i sentimenti di rispetto e fedeltà, oltre alla fama di boss al quale obbedire e sottostare.

Anna De Luca Bossa, negli anni in cui fu a capo dell’omonimo clan, fu protagonista di due momenti storici cruciali della storia camorristica di Ponticelli: l’adesione al “clan al femminile”, insieme a Martina Minichini, messo in piedi dalle sorelle D’Amico e l’omicidio Colonna-Cepparulo, avvenuto a giugno del 2016, nel circolo ricreativo di proprietà del figlio di Tonino ‘o sicco, Umberto De Luca Bossa. Fu lei ad indicare ai sicari, inviandogli un sms, la presenza della vittima sul posto. In quel raid, perse la vita anche un 19enne, originario del Lotto O, estraneo alle dinamiche camorristiche.

In seguito all’omicidio Colonna-Cepparulo e all’arresto della donna-boss del Lotto O, il clan De Luca Bossa ha beneficiato di una serie di eventi propizi: la scarcerazione dei fratelli Bruno e Salvatore Solla – quest’ultimo uscito rapidamente di scena, pagando con la vita, nel dicembre del 2016, il diniego al pagamento del pizzo ai De Micco sulle attività di spaccio nel rione, mentre il primo è finito in manette un anno fa – il ritorno a Ponticelli di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio, ritenuto l’attuale reggente del clan che, dopo un periodo trascorso a Salerno, apparentemente disinteressandosi degli “affari di famiglia”, è ritornato a prendere possesso del suo appartamento nel Lotto O e, infine, l’arresto di 12 figure di spicco del clan De Micco che ha sancito il declino della cosca dei “Bodo”.

Legata a filo doppio ai De Luca Bossa è anche la figura di Roberto D’Ambrosio, detto “a’ ciaccarella”, capoclan del rione Caravita, frazione del vicino comune di Cercola, uscito di scena all’incirca un anno fa, quando ha ricevuto due ordinanze di custodia cautelare nel giro di un paio di giorni, accusato di estorsione e rapina aggravata.
Il gruppo criminale capeggiato da D’Ambrosio aveva approfittato del vuoto di potere generatosi in seguito alla resa dei De Micco, per mettere le mani sui comuni confinanti con Ponticelli, Cercola e Pollena Trocchia, nella fattispecie. Anche questo cartello criminale era confluito nell’alleanza con i Minichini-De Luca Bossa di Ponticelli, i Cuccaro-Aprea di Barra e i Rinaldi-Reale di San Giovanni a Teduccio, giungendo a tessere legami anche con gli Anastasio, egemoni tra Volla, Sant’Anastasia e Pollena Trocchia.

Il cartello criminale, principalmente dedito alla pratica delle estorsioni, oltre alle attività legate allo spaccio di sostanza stupefacente ed all’usura, imponeva a molti spacciatori, non legati all’egemonia criminale, a pagare delle quote ai vertici del nuovo sodalizio. Le attività usurarie venivano supportate anche attraverso minacce, mentre la vendita di stupefacenti, oltre che al minuto, veniva anche eseguita all’ingrosso e fuori dal Comune di Napoli. Il clan aveva deciso di imporre con le cattive maniere il pagamento del pizzo ai commercianti e si presentavano nelle attività commerciali a riscuotere i soldi a nome degli “amici di Cercola”.

Gli stessi commercianti hanno riferito agli inquirenti che D’Ambrosio e i suoi affiliati riferivano di essere diventati “una cosa con quelli di Bartolo Longo” – strada che costeggia il Lotto O e che quindi vuole riferirsi al clan De Luca Bossa – così come confermano i nomi degli arrestati, perché protagonisti della pratica estorsiva attuata ai danni dei commercianti dei comuni vesuviani: oltre a Luca Concilio, il nipote di D’Ambrosio, finirono in manette Bruno Solla, detto “Tatabill”, fedelissimo dei De Luca Bossa, e suo nipote Luca Concilio, e soprattutto Fiorentino Eduardo Mammoliti, residente in via Vera Lombardi a Ponticelli e protagonista della rovente estate di ribellione del 2017, quando i focolai camorristici che osteggiavano i De Micco, iniziarono a palesare i primi segnali di dissenso dichiarandogli guerra, rifiutandosi di pagare il pizzo sulle piazze di droga. Tant’è vero che ad agosto del 2017 riuscì fortunosamente a salvarsi da un agguato, con i killer che entrarono in azione a bordo di un’auto e con il volto trafugato da maschere, mentre “Fiore” – questo il soprannome di Mammoliti – si trovava nei pressi della villa comunale di Ponticelli. Raggiunta dal provvedimento anche una donna, Mariarca Baldassarre detta “a’ masculona”.

Questo sodalizio può definirsi la prima flotta alla quale i De Luca Bossa si erano avvinghiati per ritornare sulla cresta dell’onda. Il lavoro delle forze dell’ordine operanti sul territorio ha però stroncato sul nascere le velleità di questo focolaio camorristico e così i De Luca Bossa hanno trovato negli alleati di Barra e San Giovanni a Teduccio la spalla forte in grado di fornire appoggio e supporto, curando al contempo gli interessi condivisi, in primis l’incontenibile desiderio di tornare alla ribalta.

 

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