La nascita del nuovo asse criminale che a Ponticelli ha segnato la scena camorristica soprattutto a suon di raid è un dato di fatto confermato anche dalle indagini svolte dalla pm Antonella Fratello che nel corso dell’udienza del processo per l’omicidio Colonna-Cepparulo ha chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati.
Nonostante la richiesta di rito abbreviato, il pm antimafia ha chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati coinvolti a vario titolo nell’esecuzione dell’agguato avvenuto il 7 giugno del 2016, esattamente tre anni fa, in cui persero la vita il boss dei Barbudos del Rione Sanità, Raffaele Cepparulo detto “Ultimo”, e un 19enne estraneo alle dinamiche camorristiche, Ciro Colonna, che stava giocando a biliardino nel circolo ricreativo in cui entrarono in azione i killer. Teatro dell’agguato un locale di proprietà di Umberto De Luca Bossa, figlio di Antonio, detto “Tonino ‘o sicco”, si trova nel Lotto O di Ponticelli, storico quartier generale dell’omonimo clan fondato proprio dallo storico boss, oggi detenuto in regime di 41 bis, alla fine degli anni 90.
L’omicidio di Cepparulo, secondo quanto emerso dalle indagini, fu ordinato per diverse ragioni e soprattutto per curare gli interessi di diversi clan di Napoli est che proprio eseguendo quel duplice omicidio hanno messo la firma sulla prima azione eclatante del sodalizio criminale, frutto di una serie di alleanze tra storici clan della zona, da tempo in declino.
Un omicidio voluto dai clan Rinaldi, De Luca Bossa, Minichini e Schisa, le cosiddette “pazzignane” del Rione De Gasperi, e perfino dai reduci del clan Sibillo, la cosiddetta “Paranza dei bambini” di Forcella: Cepparulo, il boss dei Barbudos del Rione Sanità, dopo la “strage delle Fontanelle”, avvenuta ad aprile del 2016, era finito nel mirino di troppi nemici. A volerlo morto non erano solo i rivali del clan Vastarella. Proprio per sfuggire dal mirino di questi ultimi, Cepparulo trovò rifugio ed ospitalità tra i palazzoni grigi del Lotto O. Nonostante il nascondiglio nella roccaforte del clan de Luca Bossa e gli ottimi rapporti con Umberto de Luca Bossa, Cepparulo, durante la permanenza a Ponticelli, stava intrecciando un’alleanza con i De Micco e i Mazzarella. Un’ipotesi rafforzata dalla convinzione che dietro le stese avvenute in quel periodo a San Giovanni a Teduccio che avevano come obiettivo le abitazioni del boss Ciro Rinaldi e di Cira Cepollaro, moglie di Ciro Minichini e madre di Michele, ci fosse proprio lui, il boss dei “Barbudos” del rione Sanità in esilio a Ponticelli.
L’agguato fu pianificato da Ciro Rinaldi e da Anna De Luca Bossa, la “lady camorra” del lotto O che pochi giorni dopo, sul suo profilo facebook, dedicò anche un messaggio commemorativo a Cepparulo: “Buongiorno amore mio, mi manca tutto di te fratm Rafè”. Sorella di Tonino ‘ o sicco, zia di Umberto, quando invia ai killer il messaggio che attendevano per entrare in azione, sapeva che suo nipote, in quel momento, non era nel circolo ricreativo.
Umberto De Luca Bossa, infatti, riferì di essere entrato nel circoletto proprio mentre i due sicari, sopraggiunti per uccidere Cepparulo, stavano simulando una rapina. Una circostanza che sua zia non aveva previsto.
Immediatamente nel rione si diffuse una notizia: avevano ucciso due persone nel circoletto dei De Luca Bossa. Tant’è vero che, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, Anna De Luca Bossa, temeva che i sicari avessero ucciso anche suo nipote.
Invece, ad avere la peggio, fu Ciro Colonna, 19enne del rione che mentre stava scappando perse gli occhiali da vista. Uno dei due killer pensò che fosse un guardaspalle del boss dei Barbudos, reale ed unico obiettivo dell’agguato, e che si stesse chinando per raccogliere un’arma. Quindi, non esitò a sparagli un colpo a bruciapelo che lo raggiunse dritto al petto. Sull’omicidio di Ciro Colonna c’è la firma di Antonio Rivieccio detto “Cocò”, recluta del clan Sibillo, mentre ad uccidere Cepparulo fu Michele Minichini detto “Tiger”, figlio del boss Ciro Minichini e fratellastro di Antonio, il figlio di Anna De Luca Bossa, ucciso all’età di 19 anni dai De Micco, nell’ambito di una faida di camorra.
Quel caldo ed afoso pomeriggio di giugno, i due raggiunsero il circolo ricreativo a piedi e a volto scoperto. Michele Minichini, cugino di Umberto De Luca Bossa, amava farsi guardare, quasi a voler ostentare quel livore criminale. Nonostante i tanti tatuaggi, visibili e riconoscibili, in primis, la tigre scalfita sulla nuca, Michele Minichini, quel pomeriggio di tre anni fa, andò ad uccidere Cepparulo nella roccaforte dei De Luca Bossa, a volto scoperto e a piedi, insieme ad Antonio Rivieccio.
Un carattere, eccentrico e spaccone, simile a quello di Raffaele Cepparulo detto “Ultimo”, originario delle Case Nuove e per amore confluito nella malavita del Rione Sanità alla corte del clan Genidoni. Proprio il boss Antonio Genidoni, dopo la strage delle Fontanelle gli ordinò di mantenere un profilo basso e di non farsi notare. Scampato a due agguati, in uno dei quali trovando rifugio in un commissariato di polizia, Cepparulo che sognava di emulare l’Isis bramando di decapitare tutti i clan rivali per conquistare lo scettro dell’impero del male e per questo si faceva chiamare “Ultimo”, aveva un’indole criminale tutt’altro pacata e riservata. Amava ostentare tutto: soldi, ferocia, sfarzo, motivo per il quale era mal tollerato anche dal boss Luigi De Micco che disdegnava le vistose collane d’oro che con vanto ed orgoglio sfoggiava. Una vita emblema del nuovo modello camorristico, figlio delle costose bottiglie nei privè delle discoteche più in voga della movida partenopea e della minuziosa ricerca di uno stile da emulare: la barba folta, i tatuaggi, tra i quali i nomi degli affiliati al clan di appartenenza morti per mano del nemico, oggetti di valore vistosi, orologi, collane. Questo e molto altro è la camorra nell’era dei social network e delle piazze di droga con consegna a domicilio. Un modello camorristico simile non solo nella forma, ma anche nella sostanza all’Isis: guerriglieri consapevoli di andare incontro alla morte e per questo vivono intensamente i loro 20 anni, seppur animati dalla certezza che difficilmente spegneranno le 30 candeline. Sprezzanti della morte, sfidano, sparano, uccidono, guadagnano e spendono fino all’ultimo centesimo, come se non ci fosse un domani, perché sanno che per loro non c’è domani. La storia di Raffaele Cepparulo ne è la riprova.
I due giovani killer, ai quali fu commissionato l’omicidio, fecero irruzione nel circolo ricreativo simulando una rapina, mentre Rivieccio teneva i presenti sotto tiro intimandogli di non muoversi, Minichini si avvicinò al tavolo al quale Cepparulo era seduto, intento a giocare a carte con altre tre persone e gli esplose diversi colpi di pistola al volto e alla testa: una vera e propria esecuzione.
Durante il fuggi fuggi generale, Rivieccio, meno cinico e controllato di Cepparulo, sparò a Ciro Colonna travisandone un gesto istintivo: a 19 anni, nelle terre di camorra, si può morire anche così, per raccogliere gli occhiali da vista persi mentre fuggi dal luogo di un agguato e un killer nervoso e senza autocontrollo ti spara un colpo al petto, fatale.
Dopo l’agguato, i due sicari fuggirono grazie alla complicità di un’auto che li attendeva lungo la strada adiacente al circolo ricreativo.
Un piano di morte perfetto che ha tolto la vita anche a un innocente.
Il Pubblico Ministero antimafia Antonella Fratello ha chiesto il carcere a vita per il boss Ciro Rinaldi, di San Giovanni a Teduccio, indicato come mandante, Michele Minichini e Antonio Rivieccio, gli esecutori materiali, Anna De Luca Bossa, Giulio Ceglie, indicato come specchiettista, Vincenza Maione, Cira Cepollaro e Luisa De Stefano che avrebbero fornito appoggio ai killer durante la fuga.
Il PM ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di non concedere attenuanti agli imputati, anche e soprattutto per conferire giustizia a quella vita estranea alla camorra, barbaramente trucidata per volere della camorra.