Ergastolo, isolamento diurno per un anno e risarcimento di danni alla famiglia della vittima pari a 100 mila euro, ma solo in via provvisoria, in attesa del risarcimento che sarà richiesto in sede civile: questa la sentenza emessa a carico di Francesco De Turris, il pregiudicato di Ponticelli che fornì la pistola calibro 7,65 con la quale Ciro Guarente uccise Vincenzo Ruggiero, 25enne attivista LGBT.
Medesimo verdetto, dunque, per il complice di Ciro Guarente, l’ex militare che uccise Ruggiero per motivi di gelosia, sorti quando il 25enne divenne il coinquilino della sua compagna, la transessuale Heaven Grimaldi, condannatoall’ergastolo nel settembre del 2018, nonostante il rito abbreviato. Guarente, probabilmente per tentare di alleggerire la sua posizione dinanzi alla legge, ha dichiarato di aver subito abusi sessuali da parte di Don Silverio Mura, il sacerdote di Ponticelli già accusato di pedofilia da altri uomini che all’epoca dei fatti erano suoi alunni o frequentavano la sua parrocchia. Il ruolo che Francesco De Turris ha ricoperto nell’omicidio di Vincenzo Ruggiero è stato ricostruito durante il dibattimento in corte di Assise. Tra le prove più schiaccianti, alcune intercettazioni telefoniche registrate tra il 6 e l’8 luglio, quindi nei giorni in cui era stata denunciata la scomparsa di Vincenzo Ruggiero.
Guarente, infatti, approfittando del fatto che la sua compagna, Heaven Grimaldi, era fuori Napoli per motivi di lavoro, aspettò che Ruggiero rientrasse nell’appartamento di Aversa dove da qualche tempo viveva con Heaven, al termine della giornata lavorativa. Il giovane, infatti, lavorava come commesso in un negozio al Centro Commerciale “Campania” di Marcianise.
La gelosia, dunque, il movente che ha portato Guarente a commettere il delitto: secondo quanto emerso dall’autopsia, Vincenzo Ruggiero ero inginocchiato davanti a Guarente, quando quest’ultimo gli ha sparato diversi colpi al torace. Probabilmente, Vincenzo lo implorava di non ucciderlo, cercando di portarlo a ragionare, mentre, probabilmente, cercava riparo per schivare quei colpi che, invece, si sono rivelati letali. Vincenzo e la transessuale Heaven Grimaldi, infatti, erano legati da una forte e sincera amicizia, mentre Guarente, che in passato aveva ripreso anche in pubblico Vincenzo, perché infastidito da quel legame speciale, era convinto che tra i due ci fosse dell’altro. La sua gelosia ha raggiunto l’apice quando il giovane attivista LGBT, originario di Parete, si era trasferito a casa della Grimaldi.
Guarente aveva deciso che doveva liberarsi di quello scomodo rivale in amore e quindi lo ha ucciso nell’appartamento della sua compagna, ha poi caricato il cadavere in auto – così come dimostrano le riprese di un sistema di videosorveglianza che riprende l’ingresso del palazzo – per trasportarlo in un garage abusivo che aveva preso in affitto il giorno precedente, nel rione “Lotto 10” di Ponticelli. Qui, ha fatto il corpo a pezzi, li ha sciolti nell’acido e li ha sotterrati in un fondo ricavato nel box, poi ricoperto con indumenti e cemento.
Guarente ha cercato di cancellare ogni traccia di quel rivale in amore, provvedendo a disfarsi anche degli oggetti personali di Ruggiero, chiudendoli in una valigia e gettandoli in mare.
Da quel giorno, Guarente ha raccontato a tutti che Ruggiero aveva incontrato un uomo di cui si era innamorato alla follia, decidendo di mollare tutto per andare via con lui. Una versione che non ha mai convinto amici e parenti che, invece, hanno immediatamente allertato le forze dell’ordine denunciando la scomparsa del 25enne.
Guarente si recò perfino a casa della madre di Vincenzo per rassicurarla. Aveva calcolato tutto, Guarente, tranne che il proprietario di quel garage in cui aveva occultato il corpo del giovane per poi sparire, allertato dal cattivo odore che fuoriusciva da quel vano, avrebbe allertato i carabinieri.
Infatti, il 31 luglio del 2017, non appena comprese che di lì a poco i militari dell’arma avrebbero scoperto il “garage degli orrori” in cui aveva nascosto i resti del 25enne, Guarente si recò spontaneamente dalle forze dell’ordine, raccontando che nell’ambito di un litigio avvenuto nell’appartamento di Aversa della sua compagna, sfociato poi in una colluttazione, aveva spinto accidentalmente Vincenzo che si era ferito battendo la testa. Spaventato per quello che era accaduto, si era disfatto del corpo gettandolo nelle acque di Varcaturo. Proprio in quella zona, infatti, Guarente possiede una casa.
Tant’è vero che gli inquirenti passarono immediatamente al setaccio i fondali della zona indicata, senza però risalire a nessuna traccia del cadavere. Poche ore dopo, dal garage di Ponticelli, emerse tutt’altra verità, anche se il riferimento al capo ferito, probabilmente, non era un’indicazione casuale, in virtù del fatto che la testa di Vincenzo Ruggiero non è mai stata ritrovata. Il pm ipotizza che sia stata spappolata a colpi di fucile a pallettoni che l’avrebbe sminuzzata in più parti.
Proprio in quei giorni, tra il 6 e l’8 luglio, i tabulati telefonici forniti dalla procura di Napoli Nord, registrano decine di scambi tra Ciro Guarente e Francesco De Turris, in particolare nel giorno in cui Vincenzo era scomparso.
Poco prima, Guarente avrebbe detto a De Turris: «Devo litigare con uno che sta dando fastidio alla mia fidanzata, anzi lo devo proprio ammazzare».
Inoltre, Guarente era già in possesso di una calibro 22, fu proprio De Turris ha dirgli che con quel piccolo revolver poteva uccidere solo «le lucertole». Così, De Turris prese la calibro 22 e diede a Guarente una 7,65, l’arma della quale si è servito per uccidere Ruggiero.
Dopo aver compiuto l’omicidio, Guarente riconsegnò la pistola a De Turris e quest’ultimo la smontò gettando i pezzi nei cassonetti della spazzatura.
Francesco De Turris, 53 anni, un “cane sciolto”, con fare arrogante e modi assai bruschi, uno spacciatore di cocaina, mai autorizzato ad agire per conto proprio dai De Micco, il clan dei tatuati che proprio nel Lotto 10, il rione dove Guarente ha occultato il cadavere del 25enne, dopo averlo fatto a pezzi, annovera uno dei suoi bunker. Uno sgarro, quello che De Turris fece ai De Micco, gestendo autonomamente l’attività di spaccio, pagato con un violento pestaggio, al culmine del quale gli fu spezzata una gamba. Uno dei tanti personaggi che orbitano intorno al contesto camorristico, senza mai effettivamente entrare a farne parte, abituati a vivere di espedienti e di reati, sempre sicuri di riuscire a farla franca.
In effetti, De Turris, liberandosi della pistola prestata a Guarente per compiere l’omicidio, pensava di aver eliminato ogni traccia, ignaro del fatto che il suo telefono cellulare lo avrebbe tradito.
L’avvocato difensore di De Turris aveva chiesto ai giudici l’assoluzione perché il fatto non sussiste, mentre il pm e l’avvocato della parte civile hanno chiesto l’ergastolo e così è stato.