Sta facendo molto discutere quanto accaduto lo scorso martedì 21 maggio, nell’aula del Tribunale di Napoli dove si svolgeva l’udienza del processo a carico dei fratelli Nicola e Antonio Spina, rispettivamente di 24 e 19 anni, accusati dell’omicidio del 18enne Emanuele Errico detto Pisellino, avvenuto ad aprile del 2018 nel Rione Conocal di Ponticelli, luogo di residenza sia della vittima che degli imputati. I due sono accusati anche del tentato omicidio del 30enne Rosario Denaro, rimasto ferito nello stesso agguato in cui venne ucciso Emanuele Errico.
Mentre era in corso il processo, i carabinieri hanno raggiunto l’esterno dell’aula e hanno arrestato il padre dei fratelli Spina per un provvedimento pendente.
Ripristinata la calma, dopo gli attimi concitati consequenziali all’arresto, il pm Woodcock ha chiesto 30 anni di carcere per i fratelli Spina.
Niente ergastolo, dunque, per i due fratelli accusati dell’omicidio del 18enne.
Seppure siano state contestate le aggravanti della premeditazione, dei motivi futili e abietti e con l’uso delle armi illegalmente detenute, a far propendere per questa richiesta di condanna sono state diverse attenuanti.
In primis, la giovane età degli imputati. In secondo luogo, secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri che hanno ricostruito la dinamica dell’omicidio e le circostanze in cui è maturato, quell’evento giunse al culmine di una serie di contrasti tra i giovanissimi, per dissidi legati alla spartizione dei proventi di alcune rapine. Il giorno precedente all’agguato, infatti, lo scooter dei fratelli Spina venne incendiato. I due imputati risalirono all’identità degli autori del raid incendiario visionando i filmati del circuito di videosorveglianza di una attività commerciale ubicata nei pressi della loro abitazione, luogo in cui era parcheggiato lo scooter quando fu dato alle fiamme. L’omicidio di Pisellino e il ferimento di Rosario Denaro, quindi, vengono interpretati come una conseguenza, una replica dei fratelli Spina al danno subito il giorno precedente. Schiaccianti le prove che inchiodano i due fratelli: fu la madre di Emanuele Errico a riferire di aver riconosciuto i due mentre uccidevano il figlio a colpi d’arma da fuoco.
In un rione come il Conocal, le notizie viaggiano veloci e i fratelli Spina, consapevoli di avere le ore contate, non potendo beneficiare dell’omertà di una testimone oculare tanto inattaccabile, si diedero alla fuga per sottrarsi all’arresto. Iniziarono così a rifugiarsi in diverse zone della Campania, per poi spostarsi a Scalea dove stavano pianificando la fuga in Germania.
Proprio mentre erano nascosti a Scalea vennero bloccati dai carabinieri che ne arrestarono la corsa conducendoli in carcere.
Una richiesta, quella del pm, che divide il rione Conocal, teatro dell’accaduto, oltre che il luogo dove i tre giovani hanno vissuto, fino alla sera dell’agguato.
Secondo alcuni amici e conoscenti di Emanuele Errico, il fatto che il pm abbia alleggerito la posizione dei due dinanzi alla legge, oltraggia la memoria della vittima e al contempo rischia di conferire una sorta di “senso di impunità” ai giovani interpreti della malavita che non si farebbero scrupoli ad emulare le gesta dei fratelli Spina.
Sull’altro fronte, invece, c’è chi trova giusto non infliggere una condanna troppo severa a due giovani che hanno sbagliato, seppur pesantemente, ma proprio perché hanno ancora una lunga vita davanti, possono disporre del tempo necessario per redimersi e riabilitarsi.