E’ terminata nel peggiore dei modi, la vicenda del piccolo Julen, il bimbo di appena due anni, caduto in un pozzo abbandonato, largo 25 centimetri e profondo più di 100 metri, nelle campagne di Totalan, alle porte di Malaga.
Una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso tutto il mondo che si è virtualmente stretto intorno ai genitori del piccolo, da quando si è appreso che alle 14.00 circa di domenica 13 gennaio il piccolo era andato incontro a quel tragico destino.
Il padre di Julen, José Roselló, ha raccontato in un’intervista al giornale Diario Sur, cos’è successo quel pomeriggio. La famiglia, composta dal papà José, la mamma Victoria Garcia e il piccolo Julen, si era ritrovata in campagna per passare un pomeriggio insieme alla cugina e al fidanzato —che hanno una figlia della stessa età di Julien — su un terreno di loro proprietà, dove quel giorno avrebbero iniziato dei lavori. Al gruppo si dovevano aggiungere poi altri cugini e un paio di amici.
Il padre di Julen racconta che stava facendo la legna mentre sua moglie ha risposto al telefono per avvisare che non sarebbe andata al lavoro. Lei era con Julen e gli aveva chiesta di guardarlo mentre telefonava. Il bambino era a quattro-cinque metri di distanza. A un certo punto si allontana ancora, il padre non se ne accorge. Era a circa 10-15 metri di distanza quando la cugina inizia a urlare: «Il bambino!», temendo che inciampasse. Lei e José corrono verso di lui, e intanto lo vedono cadere e sparire nel pozzo.
Il pozzo era stato scavato da poco, a dicembre, per cercare l’acqua nel terreno dei cugini. Il bimbo è caduto con le braccia alzate, racconta il padre, giunto sul posto appena dopo la caduta. Ha infilato il braccio fino alla spalla, appoggiando la testa per terra per raggiungerlo. Non sapeva che il pozzo era profondo oltre 100 metri. Ha cercato di togliere le pietre il più possibile, per evitare che gli finissero addosso. E infine ha mandato i cugini a chiamare i soccorsi. Nonostante non avessero trovato tracce d’accusa, il pozzo non era mai stato sigillato, ma soltanto ricoperto da sassi. Secondo il padre, Julien — inciampando nei sassi — ha facilmente potuto scivolare all’interno di quella piccola apertura.
Difficili le operazioni di salvataggio portate avanti da otto uomini della Brigada de Salvamento Minero de Hunosa, squadra di minatori specializzata proprio nei salvataggi impossibili. Il terreno è composto da materiali estremamente duri, un tipo di roccia che è riuscita a rompere addirittura la punta di un perforatore e ha costretto i soccorritori a cercare un’altra via, costruendo un tunnel. Pensavano di riuscire a raggiungere Julen nel giro di 24 ore, invece ci hanno messo 13 giorni. L’ultima fase è stata la più difficile: da giovedì si trovavano nella galleria e andavano avanti respirando il loro stesso ossigeno, rimesso in circolo grazie a bombole speciali che lo depuravano dall’anidride carbonica. Hanno dovuto far saltare alcune rocce con l’esplosivo.
Dopo 13 giorni di agonia, i soccorritori hanno trovato il corpo senza vita di Julen. I soccorritori hanno scavato un tunnel largo due metri e mezzo e hanno raggiunto il posto in cui si trovava il bambino nella notte tra il 25 e il 26 gennaio.
I lavori sono stati rallentati a causa della composizione del terreno, che in alcuni tratti è formato da roccia e ha richiesto l’intervento della Guardia Civil.
Il 22 gennaio un imprevisto aveva rallentato i lavori: i tubi che devono rafforzare e rivestire le pareti del tunnel scavato per fare passare i minatori per raggiungere il pozzo dove si trova il bambino avevano una misura sbagliata e non si adattavano al tunnel scavato.
La Policía Judicial della Guardia Civil di Vélez-Málaga ha intanto aperto un’inchiesta per fare chiarezza sulla dinamica della caduta del bimbo. In particolare, le indagini si concentrano su quel pozzo, scavato nel terreno di proprietà dei cugini apparentemente senza chiedere nessuna autorizzazione. I lavori che sono iniziati a dicembre potrebbero quindi essere illegali.