Nati nel verbo della camorra e cresciuti nell’ombra di un cognome che risuona quasi come una condanna alla quale, in contesti come il Lotto O di Ponticelli, sembra impossibile sottrarsi: Umberto ed Emmanuel, rispettivamente 25 e 19 anni, sono i figli di Antonio De Luca Bossa, noto negli ambienti camorristici con il nomignolo di “Tonino ‘o sicco”, un boss di primissimo piano che ha scritto alcune delle pagine più cruente della storia della camorra della periferia est di Napoli. Attualmente detenuto in Sardegna in regime di 41 bis, ‘o sicco è stato condannato all’ergastolo per il primo attentato stragista con un’autobomba in Campania, costato la vita a Luigi Amitrano, giovane nipote del boss Vincenzo Sarno, reale bersaglio dell’attentato.
Nel 2008, ‘o sicco aveva ottenuto gli arresti nella clinica ”Villa Lauricella” di Roma, continuando, così, a governare la sua cosca, inconsapevole di essere un sorvegliato speciale. Termina con una condanna definitiva al carcere a vita, la carriera criminale di Antonio De Luca Bossa, entrato a far parte, fin da giovanissimo, del gruppo di fuoco del clan Sarno con il quale entrò poi in rotta, quando tentò di fondare un sodalizio autonomo. La rottura con il clan Sarno, decretata proprio dall’autobomba esplosa in via Argine il 25 aprile 1998, scandisce la nascita di un nuovo focolaio camorristico nel ventre caldo del Vesuvio. E’ così che il ras del Lotto O di Ponticelli diventa lui: Tonino ‘o sicco.
Un padre detenuto per Umberto ed Emmanuel, cresciuti nel segno di un ingombrante falso mito legato a quella figura paterna che tra i palazzoni del Lotto O di Ponticelli conta ancora e anche tanto. Un boss dal carattere cinico e spregiudicato, un killer lucido e spietato, con una forte e naturale predisposizione a delinquere e soprattutto ad uccidere: così viene descritto Antonio De Luca Bossa dagli uomini in odore di camorra che hanno vissuto gli anni in cui ‘o sicco, a Ponticelli, era un personaggio dal quale guardarsi le spalle, perchè capace di tutto. Una figura venerata e rispettata dal “popolino” perchè quando c’era lui tante “brutte cose” non si vedevano e nel rione regnavano ordine e rigore, in virtù di quell’ipocrita calma apparente alla quale puntualmente auspicano le menti fini delle mafie.
Il destino di Umberto è stato segnato da una rissa che ha condizionato notevolmente la formazione della sua giovane anima identitaria: nel giugno del 2011, poco più che maggiorenne, mentre viaggiava a bordo di un treno della circumvesuviana diretto a Sorrento per trascorrere una giornata al mare con gli amici, accoltella un 19enne.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, sul treno della linea Napoli-Sorrento, il figlio del boss del Lotto O ha criticato un comportamento del 19enne. Gli amici che lo accompagnavano riferiranno che a scatenare l’ira di Umberto fu un peto, un atto indecoroso, fuori luogo e scurrile, secondo il suo metro valutativo: così ha prima insultato il 19enne, poi gli ha sferrato una coltellata al torace.
Per questa ragione, Umberto De Luca Bossa viene arrestato e condotto in carcere. Il regime detentivo per “un nome eccellente” della camorra sancisce un punto di non ritorno: seppure quell’episodio scaturì in un contesto del tutto avulso dal quadro malavitoso, il figlio di “‘o sicco” fu galvanizzato ed esaltato dai compagni di carcere, lasciandosi affascinare dall’idea del modello criminale che gli veniva narrato. Eppure, il primogenito di casa De Luca Bossa che porta il nome di suo nonno, non ha la stoffa del camorrista, nè ha ereditato la tempra violenta e spietata del padre. Tuttavia, il nome di suo padre se lo tatua sul collo, proprio come Christian Marfella, fratellastro di ‘o sicco. Un segnale che lascia presumere che il giovane non rinnega il passato, ma che, anzi, è pronto a rendere onore al nome del padre. Un nome che darà anche a suo figlio, nato nel marzo del 2017, nel rispetto della tradizione di famiglia: lui si chiama Umberto come suo nonno, suo figlio deve chiamarsi Antonio, come suo padre.
Umberto prova a gettarsi nella mischia nel bel mezzo dell’era post-Sarno. Ponticelli, in quegli anni, in seguito al copioso numero di arresti scaturiti dalle testimonianze rese dai collaboratori di giustizia della ex cosca del Rione De Gasperi, è letteralmente allo sbando: i clan dei comuni e dei quartieri limitrofi osservano “la preda”, mentre i relitti dei clan sopravvissuti al terremoto giudiziario provano a mettere insieme i pezzi per rifondarsi e colmare quell’enorme vuoto di potere. I D’Amico nel Rione Conocal, i De Luca Bossa nel Lotto O, nulla possono contro la forza emergente del clan De Micco che potendo beneficiare di ingenti somme di denaro e di un vero e proprio esercito, ben addestrato e militarizzato, riesce in poco tempo ad affermare la sua egemonia, anche e soprattutto a suon di omicidi. A cadere sotto la pioggia di fuoco del clan dei tatuati è anche Antonio Minichini, figlio di Anna De Luca Bossa e cugino di Umberto. La morte violenta di quel cugino poco più che 20enne, segna fortemente Umberto che ben presto, a sua volta, finirà nel mirino dei De Micco.
Una sequenza di episodi concitati, avvenuti a distanza ravvicinata, colloca Umberto nell’occhio del ciclone: l’omicidio dell’amico Raffaele Cepparulo, il boss dei Barbudos che aveva trovato protezione nel Lotto O di Ponticelli per sfuggire ai clan del Rione Sanità che gli davano la caccia, e avvenuto proprio nel circolo ricreativo gestito sotto casa dal primogenito di ‘o sicco, nel quale perde la vita anche un 19enne del rione estraneo alla camorra, al quale fa eco, a pochi mesi di distanza, l’agguato che costerà la vita a Salvatore Solla, un fedelissimo di ‘o sicco. La guerra per il controllo delle piazze di spaccio e il diniego di pagare il pizzo ai De Micco, ma anche la volontà di questi ultimi di stroncare le velleità dei De Luca Bossa, mette in cattiva luce il clan del Lotto O agli occhi dei “Bodo”. Umberto, in seguito all’omicidio Solla diventa un sorvegliato speciale: trascorre le sue giornate blindato in casa, esce sempre più di rado e puntualmente scortato.
I De Micco lo hanno puntato e sono pronti ad entrare in azione: tutti ne sono consapevoli, anche ‘o sicco che – secondo quanto riferito da diverse fonti – avrebbe architettato “la trappola” che ha fatto scattare le manette per il suo primogenito per salvargli la vita e per forgiarne il carattere, grazie alla detenzione. Queste le motivazioni che avrebbero portato il fondatore del clan del Lotto O a decretare quel destino per Umberto che, di fatto, viene arrestato a Torre Annunziata il 12 gennaio 2017, dai finanzieri del Gruppo di Torre Annunziata, capitanati dal colonnello Geremia Guercia. Umberto è stato trovato in possesso di una Beretta calibro 9×21 con matricola abrasa e colpo in canna, nascosta sotto al sedile passeggero. Alla guida della Smart sulla quale viaggiava il giovane rampollo della famiglia De Luca Bossa, un’altra figura ritenuta “di spessore” nell’ambito della “nuova” scena camorristica ponticellese, anch’egli tratto in arresto. In auto, oltre alla pistola, le fiamme gialle hanno trovato e sequestrato 445 euro in contanti, un grammo e mezzo di marijuana e tre telefoni cellulari. Due mesi dopo, mentre Umberto è in carcere, nasce suo figlio Antonio.
Nei mesi successivi all’arresto di Umberto, la scena camorristica ponticellese viene travolta e stravolta dall’ennesimo calderone giudiziario: prima l’arresto di 23 persone ritenute elementi di spicco del clan De Micco, poi l’alleanza dei De Luca Bossa – capeggiati da Giuseppe, il fratello di Antonio, tornato a Ponticelli non appena ha fiutato che il vento spirava a favore degli affari di famiglia – con “i pazzignani” del Rione De Gasperi, nonostante il vincolo di parentela che intercorre tra questi ultimi e Luigi Amitrano, il giovane che perse la vita nell’attentato con autobomba pianificato da ‘o sicco e, infine, l’arresto dei responsabili dell’omicidio Colonna-Cepparulo, tra i quali spiccano i nomi di Anna de Luca Bossa e Michele Minichini, cugino di Umberto.
In seguito al declino dei De Micco, le credenziali del clan De Luca Bossa, lievitano di giorno in giorno, complici le alleanze con altri clan di Napoli est. In questo clima di crescente esaltazione ed entusiasmo, il giovane Emmanuel, il fratello di Umberto, rimasto fino a quel momento estraneo alle dinamiche camorristiche, risponde “presente” alla chiamata alle armi. Un lavoro normale presso una struttura alberghiera di via Caracciolo, una fidanzata e una figlia, nonostante la sua giovane età: Emmanuel sembra possedere tutti i requisiti per conquistare la fama della “pecora bianca” della famiglia De Luca Bossa.
Negli ultimi mesi, invece, finisce nel mirino degli inquirenti, perchè inizia a manifestare una serie di atteggiamenti che impensieriscono e non poco le forze dell’ordine. Emmanuel si lascia ispirare da “sangue blu”, personaggio cult della terza serie di “Gomorra”, lui stesso riferirà a quegli amici che convergeranno nella sua “paranza” che nella storia di quel giovane, diventato camorrista per riscattare l’onore della sua famiglia, ha ritrovato il senso della sua esistenza e ha capito che non poteva e non doveva sottrarsi al suo destino, quello segnato dal cognome che porta. L’ascesa di Emmanuel nel contesto malavitoso ponticellese, a differenza di quella di Umberto, impensierisce e non poco gli inquirenti, fin da subito. L’ultimo rampollo di casa De Luca Bossa sembra essere l’autentico erede naturale di ‘o sicco. Simile al padre non solo nella costituzione fisica, gracile e longilinea, ma anche nel carattere e nell’indole, non solo per il fatto che ama sfoggiare abiti stravaganti e griffati. La mente criminale, cinica e senza scrupoli, sarebbe, infatti, il più marcato punto in comune con il padre.
Con la complicità della sua banda, Emmanuel mette a segno una serie di rapine, rigorosamente a mano armata: da Ponticelli a Fuorigrotta, passando per il centro di Napoli.
La ferocia con la quale la banda entrava in azione è diventato ben presto il biglietto da visita sul quale le forze dell’ordine hanno puntato i riflettori. Gli indizi in possesso degli inquirenti portavano tutti al Lotto O di Ponticelli: il bunker del clan fondato negli anni ’80 dal padre di Emmanuel De Luca.
Il giovane, armato di pistola, assieme a un complice in via d’identificazione, lo scorso 24 agosto, rapinò il ciclomotore a un passante sul corso Garibaldi e lo scorso 12 settembre aveva cercato di rapinare lo scooter ad un’altra persona che transitava in via delle Repubbliche Marinare, nel vicino quartiere Barra.
Un’estate segnata da diversi episodi, quella targata 2018, che hanno avuto per protagonista l’ultimo discendente della famiglia De Luca Bossa. Potenziali agguati sventati, pestaggi, segnali minatori e di avvertimento si sono alternati con notevole frequenza, lasciando intendere che “l’attività” messa in piedi dal 19enne risultava sgradita a qualcuno che, probabilmente, fatica a riconoscere al clan De Luca Bossa l’egemonia e il controllo delle attività illecite del territorio, dopo anni trascorsi in sordina, alla mercè del clan De Micco.
Attualmente, sono tutti dietro le sbarre, gli uomini di casa De Luca Bossa: Antonio condannato al carcere a vita, Umberto dovrebbe tornare in libertà all’incirca tra un anno ed Emmanuel, andato incontro a quello stesso destino poche ore fa.