La mattinata di venerdì 19 ottobre ha visto impegnata la polizia municipale della VI municipalità di Napoli in un’operazione di controllo degli alimenti in cattivo stato di conservazione e che ha portato al sequestro in totale di circa 2 tonnellate di frutta verdura.
I caschi bianchi, capeggiati dal comandante Enrico Fiorillo, sono entrati in azioni in via Curzio Malaparte, dove da diversi mesi stanziava un voluminoso chiosco adibito alla vendita di frutta e verdura e sul corso Ponticelli.
In totale sono stati elevati 3.193 verbali per un totale di circa 25.000 euro, sequestrati 2 camion e un’auto. Le violazioni contestate variano dalla guida senza documenti di circolazione e di guida alla misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa, oltre all’occupazione della sede stradale.
Il personale dell’Asia che ha supportato i vigili urbani nell’operazione ha provveduto immediatamente a disfarsi della frutta e degli ortaggi in cattivo stato. Un boom dilagante quello dei fruttivendoli on the road, lungo le strade della periferia orientale di Napoli, nonostante il consumo di frutta ed ortaggi esposti allo smog cittadino esponga gli acquirenti a rischi seri per la salute.
“La messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari e rispettare l’osservanza di disposizioni specifiche integrative del precetto”. Lo ha stabilito nel 2015 la Cassazione confermando, con una articolata sentenza (sezione terza, Pres. Teresi, relatore Ramacci, n. 6108 del 2014), la condanna inflitta ad un fruttivendolo dal Tribunale di Nola per aver detenuto per la vendita “tre cassette di verdura esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito”.
Una sentenza della Cassazione, n. 443 del 2002, aveva chiarito che questa disposizione tende a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura; aggiungendo che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza.
La giurisprudenza successiva aveva precisato che l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura; e pertanto, non è necessaria la prova di un danno alla salute ma è sufficiente accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze o che vi sia detenzione in condizioni igieniche precarie; escludendo, in proposito la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione.