Svolta nelle indagini avviate dal pool anticamorra della Procura di Napoli per far luce su alcuni video pubblicati in rete dalla nostra redazione, in cui gli ex camorristi Giuseppe Sarno e Patrizia Ippolito, oggi collaboratori di giustizia, interagivano con amici e parenti durante una diretta facebook.
Una sequenza di gesti e frasi surreali e tutt’altro che confacenti allo status di collaboratore di giustizia, quelle ritratte nei video risalenti allo scorso gennaio, Giuseppe Sarno e sua cognata Patrizia Ippolito detta ‘a patana moglie di Vincenzo Sarno, da un bar della località dove vivevano sotto protezione, come un fulmine a ciel sereno fecero irruzione nelle vite dei ponticellesi servendosi delle dirette su facebook.
Seduti al bar, complici e giocherelloni, due figure di spessore del cartello criminale più sanguinario della storia di Ponticelli, interagiscono con estrema disinvoltura con gli utenti che li contattano, spiazzati ed increduli per quello che sta accadendo.
“Ciao, vi ricordate di noi!? Siamo sempre noi! Guardateci, non siamo mai falliti, eh!?” .
Galvanizzato dalla diretta, Peppe Sarno continua a provocare gli utenti, lanciando messaggi espliciti anche a coloro che a posteriori verranno a conoscenza della sua apparizione virtuale: “Ciao per tutti quelli che ci vogliono bene…chi non ci vuole bene…” e termina la frase facendo il segno della croce con la mano, simbolo di morte.
E ancora: “Mo’ chiamano le guardie, – consapevole dell’incompatibilità di quell’apparizione virtuale con lo status di collaboratore di giustizia sotto protezione – dicono: guardate, andate a vedere.. a Patan, o’ Pepp’”.
Questa frase, in particolare, comprova che i due fossero consapevoli di compiere una violazione delle limitazioni imposte dal piano di protezione di cui beneficiano. Ciononostante deridono e scherniscono lo Stato, sicuri di beneficiare dell’impunità, anche stavolta, perchè di lì a poco avrebbero cancellato i video.
Così, però, non è stato.
Quei video sono stati salvati da diversi utenti che li hanno poi inoltrati alla nostra redazione.
In seguito alla diffusione in rete, sul canale YouTube della redazione di Napolitan, dei video delle dirette facebook di Giuseppe Sarno e Patrizia Ippolito, il messaggio diramato dai due ex boss di Ponticelli ha assunto tutt’altri toni, totalizzando più di 40mila visualizzazioni, raggiungendo quindi molte più persone rispetto alla cerchia di amici e parenti che figurano nell’elenco dei loro amici virtuali. I due avevano probabilmente ipotizzato che bastasse rimuovere i video per cancellare ogni traccia di quella “bravata”. Della loro incursione virtuale nelle vite dei ponticellesi sarebbe rimasto solo un rumors di popolo che avrebbe dato il via ad un eco di voci che si sarebbero susseguite incessantemente per riportare i contenuti della loro conversazione.
Il video, invece, è diventato oggetto di indagini da parte di un pool di magistrati della procura partenopea che ha voluto accertare se e in quale misura ci fossero state effettive violazioni del piano di protezione da parte dei due e durante il pomeriggio di domenica 14 ottobre si è giunti ad un’importante svolta: l’ex boss di Ponticelli Giuseppe Sarno è stato tratto in arresto ed è stato trasferito al carcere di Torino, mentre sua cognata Patrizia Ippolito è stata ammonita e formalmente diffidata dal seguitare a palesare nuovamente quella condotta.
Giuseppe Sarno detto ” ‘o mussillo” è stato un vero e proprio generale della camorra. Capo dell’omonimo clan di Ponticelli, ambiva ad estendere il più possibile l’egemonia della sua organizzazione criminale. Dal bunker del rione De Gasperi, i Sarno, a partire dagli anni ’80, hanno conquistato Cercola, Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, spingendosi fino al quartiere Mercato con l’alleanza dei clan Misso, Formicola e Ricci.
Dopo l’arresto dei fratelli Ciro e Vincenzo, Giuseppe Sarno subentra a capo della cosca e sembra determinato a tenere ben strette tra le mani le redini del clan fondato dalla sua famiglia.
Latitante dal gennaio del 2009, il 4 aprile dello stesso anno viene arrestato in un appartamento di Trastevere. Sprezzante del pericolo, per il suo cinquantunesimo compleanno organizzò una festa con i familiari, nel suo nascondiglio all’ultimo piano di via Trastevere al civico 148 a Roma. Ai carabinieri è bastato seguire i familiari per raggiungere “la tana del lupo”: quando fecero irruzione nell’appartamento in cui il boss si nascondeva, “o mussillo” cercò di fuggire sui tetti, ma il boss non era abbastanza agire per riuscire a sottrarsi alla cattura.
Il carcere, però, si rivelò ben presto una pena troppo dura da patire e il boss di Ponticelli prese la decisione che ha sancito la fine dell’impero del male fondato dai Sarno: diventò collaboratore di giustizia.
Un pentimento che perfino i parenti contigui alla malavita non gli hanno mai perdonato e che valse fin da subito pesanti intimidazioni e minacce ad Anna Emilia Montagna, la moglie dell’ex boss, per indurre il marito a ritrattare le dichiarazioni già rese e a non spingersi oltre, fornendo altri elementi agli inquirenti. Dopo il pentimento dello storico capoclan Giuseppe Sarno, è stato accertato che i suoi fratelli ed altri esponenti del clan avevano ripetutamente minacciato la moglie, Anna Emilia Montagna. Dalle indagini, infatti, è emerso che la decisione di Giuseppe Sarno ha provocato un autentico terremoto negli equilibri della criminalità organizzata napoletana, oltre ad un’irreversibile rottura dei rapporti con i fratelli, con i quali per anni aveva condiviso le responsabilità derivanti dalla gestione del clan di famiglia. In seguito al pentimento dell’ex boss, alcuni suoi familiari ed altri esponenti della cosca si sono recati più volte a casa della moglie, minacciandola di morte per indurre il marito a interrompere la collaborazione con la giustizia. Ad Anna Emilia Montagna sarebbe stato intimato, tra l’altro, di abbandonare il coniuge e la casa di famiglia, nel caso in cui Giuseppe Sarno non avesse ritrattato quanto già detto ai magistrati. Anche il figlio Salvatore, detto ‘Tore ò pazzo’, minacciava di morte sua madre per questo motivo. Il figlio di Giuseppe Sarno ha sin da subito intrapreso la carriera camorristica, tra le maglie del clan di famiglia e quando giunse la notizia del pentimento, puntò il dito contro la madre e le assicurò che sarebbe morta, se non si fosse impegnata, affinchè quell’uomo che rinnegò come padre terminasse la collaborazione con la giustizia. A casa della madre, Salvatore ci andava molto spesso, accompagnato dagli zii e dai cugini: ai carabinieri non risulta comunque che la donna sia stata anche oggetto di violenze fisiche.
Giuseppe Sarno non ritrattò, anzi, fornì agli inquirenti preziose e minuziose informazioni, dalle riunioni in barca in mare aperto per non essere disturbati, fino ai tanti elementi utili a ricostruire intrighi ed omicidi che hanno segnato gli anni in cui era il clan del Rione De Gasperi a tenere sotto scacco Napoli e provincia.
Per i crimini commessi, grazie al repentino passaggio dalla parte dello Stato, Giuseppe Sarno non ha mai scontato una pena detentiva, cosa che, invece, paradossalmente, accadrà per quella diretta su facebook.