Prima di essere uccisa, Victoria Marinova, giornalista bulgara di 30 anni e madre di un bambino, è stata violentata e brutalmente picchiata. Il corpo è stato ritrovato nei pressi di un molo lungo il Danubio, tra fitti cespugli.
Di recente, Victoria era finita sotto i riflettori per il ‘GP Gate’, un’inchiesta che ha portato alla luce diversi, eclatanti illeciti finanziari in merito ad una società che si occupa di edilizia di vario genere, distribuzione di risorse naturali ed altre attività lucrose. Secondo quanto riportato dalla giornalista, i suoi dirigenti avrebbero utilizzato contro la legge alcuni ingenti fondi provenienti dal governo bulgaro e dalla UE. La stessa inchiesta era stata pubblicata da un centro di ricerca giornalistico a firma di due giornalisti, finiti in manette per accuse non specificate, mentre il direttore aveva ricevuto minacce di morte. La giornalista bulgara ha affermato che il 30-40% dei finanziamenti ricevuti da un gruppo di società è stato perso per corruzione e tangenti. A fine settembre, aveva intervistato due giornalisti che lavoravano alla storia, poi arrestati dalla polizia bulgara, a quanto riferisce ‘Progetto di report’ su criminalità organizzata e corruzione.
Victoria conduceva un programma televisivo d’inchiesta e nell’ultima puntata, andata in onda lo scorso 30 settembre, aveva parlato proprio della questione dei fondi europei, riferendosi a quanto era stato scoperto dai centri di giornalismo d’inchiesta Bivol e Rise Moldova.
Secondo le statistiche di Giornalisti senza Frontiere (Rsf), la Bulgaria è al 111mo posto al mondo nella classifica sul rispetto della libertà di informazione, nonché fanalino di coda dell’Unione Europea. Secondo l’organizzazione, “la diffusa corruzione, la scarsa chiarezza sulla proprietà degli organi di informazione, i sospetti di collusioni tra giornalisti, politici e oligarchi hanno reso il giornalismo obiettivo una vera corsa a ostacoli”.
Gli inquirenti fanno sapere che le indagini sono in corso per accertare eventuali collegamenti tra il brutale omicidio della 30enne e il suo lavoro di giornalista.
Era una bella donna, Victoria. E questo, suo malgrado, la porta ad essere doppiamente vittima, prima delle atroci violenze subite e poi di un becero pregiudizio che puntualmente attribuisce alla stessa vittima una sorta di responsabilità di colpa, sminuendo così la gravità dell’accaduto, oltre che una morte violenta.
Era una bella donna, Victoria, come se questo possa giustificare la morte orribile che le è stata riservata o conferire un comodo alibi a chi ha abusato di lei, l’ha massacrata e poi l’ha soffocata.
Era una bella donna, Victoria, come se questo potesse incidere in qualche modo sulla sua professionalità e sul suo talento di giornalista.
Era una bella donna, Victoria, come se il suo viso, il colore die suoi capelli, la sua fisicità o la taglia del reggiseno potessero sottrarre o aggiungere qualcosa alle verità che stavano emergendo, grazie al suo impegno giornalistico.
Era una bella donna, Victoria, ma era anche e soprattutto una brava giornalista investigativa.
Il sessismo, in una società apparentemente civile ed evoluta, ma retrograda nella sostanza e nella concreta pratica quotidiana, seguita a denigrare la dignità delle donne lavoratrici che per affermare degli ideali o per portare avanti battaglie in cui credono, assumendo dei ruoli scomodi e poco graditi a chi vive nell’ombra del malaffare, troppo spesso, perdono la vita e, nella maggior parte dei casi, vedono svilire la loro persona, proprio come sta accadendo a Victoria Marinova: una bella donna, troppo bella per fare la giornalista d’inchiesta e per pretendere che perfino il suo brutale assassinio venga preso sul serio, riconducendolo, senza indugi e bigottismi, alla sua attività giornalistica.
Un assassinio che innalza a tre il numero delle giornaliste uccise nell’ultimo anno, colpevoli di aver raccontato verità scomode e di aver illuminato quel genere di loschi affari che per beneficiare di una lunga vita necessitano di navigare nell’ombra. Ai nomi di Daphne Caruana Galizia e Jan Kuciak, si aggiunge quello di Victoria Marinova.
La morte della giornalista Victoria Marinova sottolinea quanto sia ancora lunga e tortuosa la strada da percorrere per preservare e rivendicare la libertà d’informazione.
La morte della donna Victoria Marinova sottolinea quanto sia ancora lunga e tortuosa la strada da percorrere per affermare la parità dei sessi, non solo nella forma e nelle intenzioni, ma nella pratica concreta dei fatti, in tutti gli ambiti e soprattutto tra le fila di una società sempre più facile da plasmare a immagine e somiglianza delle volontà dei poteri forti.
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