Poteva essere un duro colpo al cuore del clan De Luca Bossa di Ponticelli ed, invece, è la cronaca di uno sventato agguato, l’ennesimo mandato in fumo dall’intervento di una pattuglia della polizia del commissariato di San Giovanni a Teduccio che, mentre era impegnata nella consueta attività di controllo del territorio, intorno alle 2 di martedì 11 settembre, ha intercettato due persone in sella ad uno scooter modello Sh di colore grigio.
Il passeggero aveva in mano un oggetto non identificato, i poliziotti presumono che si trattasse di una pistola e così hanno ingaggiato un inseguimento.
Tuttavia i due sono riusciti a scappare, lasciando perdere le loro tracce.
Teatro dell’accaduto: il Lotto O di Ponticelli.
In quella circostanza, gli agenti sorpresero due individui dopo che avevano compiuto una “stesa” e anche in quest’ultima circostanza l’ipotesi più accreditata da parte degli uomini in divisa è che i due stessero per compiere un agguato.
Tutto lascerebbe presumere che potrebbe trattarsi dell’ennesimo raid che s’incastona nell’infinita sequenza di “stese” che si stanno registrando frequentemente a Napoli est, in virtù della guerra tra i Mazzarella e i Rinaldi, questi ultimi alleati alla cosca dei ponticellesi De Luca Bossa-Minichini-Schisa.
Non sarebbe questa la pista da seguire, invece, secondo alcuni residenti nel bunker dei De Luca Bossa che hanno scelto di rompere il muro dell’omertà per raccontare quello che sanno, stanchi di vivere attanagliati nella morsa della paura che gli impone di barricarsi in casa al calar del sole.
Gli abitanti del Lotto O raccontano che qualche ora prima dell’incursione di quello scooter nell’arsenale dei De Luca Bossa, uno dei rampolli di quest’ultima famiglia si era cacciato “in un brutto guaio”, mettendo la firma su un violento pestaggio. Avrebbe fatto uno sgarro alla persona sbagliata, in sostanza, e quelle due persone avrebbero fatto irruzione nel rione-bunker della sua famiglia per vendicarsi e dargli la lazione che meritava.
Dal racconto di chi vive quel contesto dove la presenza della camorra rende l’aria irrespirabile, il giovane poco più che ventenne, forte della copertura che gli deriva dall’impiego in uno dei tanti Hotel situati sul lungomare Caracciolo di Napoli, in realtà, sarebbe pronto ad ereditare le redini del clan di famiglia per riportarlo al tanto agognato “antico splendore”.
A riprova di ciò, si fa chiamare “Sangue blu”: questo il soprannome di uno dei personaggi della terza serie di “Gomorra”, nella cui storia e nelle cui gesta tanti giovani in odore di camorra non riescono a fare a meno di immedesimarsi, innescando un pericoloso fenomeno emulativo dove la realtà e la finzione si fondono, portandoli a perdere completamente il contatto con la realtà, la percezione di quello che accade e la conseguenza delle loro azioni.
Il “sangue blu” del Lotto O si fa fregio e vanto del cognome che indossa e che si sente cucito addosso, facendo leva su di esso per incutere timore e pretendere rispetto e consensi. Spadroneggia, sfida, provoca, minaccia, si atteggia a camorrista per dimostrare di “essere all’altezza” e per urlare al mondo intero che i De Luca Bossa sono tornati e che di loro, adesso, c’è da aver paura. La camorra che gli scorre nelle vene diventa un titolo nobiliare che ne legittima le gesta e che lo autorizza a vivere quel set improvvisato nella vita reale senza freni e senza filtri.
Nella fiction, i seguaci di “Sangue Blu” vengono soprannominati “i talebani”, appellativo singolare volto a ricordare non solo le barbe tipiche dei gruppi di fondamentalisti islamici, ma anche la violenza propria di quei gruppi di fondamentalisti ben diversi dai talebani veri e propri ma che la cultura popolare, con la complicità dei mass media, ha voluto invece fondere insieme nell’immaginario collettivo di una “violenza barbuta”.
Nella vita reale, la storia del “sangue blu” del Lotto O, è ambientata nello stesso scenario in cui ha trovato la morte il boss dei “Barbudos” Raffaele Cepparulo, per volere del cartello criminale De Luca Bossa-Minichini-Schisa-Rinaldi, dove i giovani vengono cresciuti ed indottrinati nel rispetto e nell’adorazione di figure del calibro di Antonio De Luca Bossa, Christian Marfella, Michele Minichini.
Nella fiction, sangue blu è il nipote di un camorrista che aveva saputo imporsi in un passato glorioso, finito poi in cenere, ragion per cui prova a riaffermare il valore della sua famiglia. Nella vita reale è esattamente questo ciò che sta accadendo tra i palazzoni del Lotto O di Ponticelli, grazie all’aiuto in regia di vecchi e temprati camorristi.
In questo scenario si colloca il violento pestaggio compiuto da “Sangue blu” durante il tardo pomeriggio di lunedì 10 settembre e che poteva costargli la vita, in virtù dell’ossequioso rispetto delle regole dettate da una fiction e che ha portato i giovani interpreti della camorra a vivere “dentro Gomorra”.