Ministro Salvini,
mi chiamo Luciana Esposito e credo che il mio nome non le dirà nulla, anche se sono la stessa giornalista che appena due mesi fa è stata erta ad “eroe nazionale”, grazie ad un post divulgato in rete da alcuni suoi sostenitori che riprendeva una lettera che scrissi a Roberto Saviano due anni fa.
In quella lettera ho raccontato le difficoltà che incontra e con le quali si scontra una giornalista che vive e racconta la camorra e che, a differenza dello scrittore, sceglie di restare per seguitare a farlo sul “campo di guerra”.
Ponticelli, “il mio campo di guerra”, si estende per circa 9 chilometri ed accoglie più di 70.000 abitanti, è la periferia più estesa e densamente popolata di Napoli: allo stato attuale, accoglie 313 piazze di droga e almeno una dozzina di clan, impegnati da diversi mesi in una faida per la conquista dello scettro dell’impero del male.
Il mio lavoro da “cronista di guerra” mi è valso due aggressioni fisiche, mentre ho perso il conto delle intimidazioni e delle minacce che ho collezionato. Non è stato necessario assegnarmi una scorta, perché gli agenti del commissariato di Ponticelli, capitanati dal sostituto commissario Vittorio Porcini, sono stati ritenuti in grado di preservare la mia incolumità e, in effetti, nessuno sarebbe in grado di farlo meglio di loro.
Intorno alle 2 di notte di lunedì 27 agosto, due camorristi hanno sparato contro quegli stessi poliziotti che per poco più di mille euro al mese, escono di casa tutti i giorni per rendere più sicura la mia vita e quella degli abitanti del mio quartiere.
Quei due hanno fatto irruzione in uno dei tanti rioni di edilizia popolare adibiti ad arsenali della camorra esistenti a Ponticelli per mettere a segno una “stesa”, ovvero, esplodere una raffica di colpi di pistola in cielo o verso l’abitazione di un “obiettivo sensibile” a scopo intimidatorio; mentre quei poliziotti si trovavano lì per prestare soccorso ad un giovane al quale era stato rubato lo scooter. Gli agenti hanno udito il fragore degli spari e in un lampo hanno visto materializzarsi il motorino a bordo del quale viaggiavano i due malavitosi, entrambi armati, che senza la minima esitazione, gli hanno sparato contro diversi colpi. Li hanno seguiti, ingaggiando un conflitto a fuoco e costringendoli ad abbandonare lo scooter per fuggire a piedi. Quei due camorristi sono riusciti a svignarsela perché un poliziotto, per schivare un colpo di pistola, è caduto.
A Ponticelli, poche ore fa, la camorra ha sparato contro lo Stato, sperando di infliggergli un colpo mortale e lo Stato non può restare a guardare. Il fatto che in queste ore non ci vediamo costretti a piangere “un eroe”, l’ennesima vittima innocente di una guerra senza senso e senza fine, non può e non deve costituire l’alibi che vi porterà a relegare rapidamente la vicenda nel dimenticatoio.
Il suo spot elettorale per eccellenza è stato e continua ad essere “prima gli italiani” e quanto accaduto a Ponticelli, in maniera molto fragorosa, le ricorda che non esistono solo i migranti e che mentre tenta di frenare il loro ingresso nel nostro Paese, sta consentendo ad un esercito di barbari di spadroneggiare, tenendo in ostaggio le vite degli italiani onesti, costretti a vivere in balia della malavita.
Moltissime persone, consapevoli dei rischi che corro quando mi addentro nei rioni della camorra per fare il mio lavoro, scendono in strada e mi scortano.
La mia scorta civile, in una periferia abbandonata e degradata come Ponticelli, ha scelto di togliere la maschera della connivenza e dell’omertà e di fare la sua parte, ma all’indomani del gravissimo episodio avvenuto l’altra sera è tornata a barricarsi in casa, perché vede vacillare la forza dello Stato, dinanzi all’impeto violento del verbo criminale.
I cittadini di Ponticelli invocano, reclamano ed attendono un intervento dello Stato che consegni alla camorra un messaggio inequivocabile: lo Stato esiste ed esiste un solo Stato, quello basato sulle leggi della Costituzione e non sul codice d’onore della malavita.
E, insieme ai cittadini di Ponticelli, invocano, reclamano ed attendono un intervento risolutivo dello Stato, gli abitanti di tutte le periferie italiane in balia delle mafie e del malaffare, stanchi di vivere attanagliati nella morsa del terrore.
Solo dopo aver vinto la guerra che si combatte nelle “trincee di periferia” d’Italia potrete dire di essere “il governo del cambiamento”, smentendo, inoltre, con i fatti, lo stesso Roberto Saviano che le ha affrancato l’etichetta di “ministro della malavita”.
Diversamente, sarete colpevoli e responsabili al pari di chi, nel corso degli anni, ha consentito al verbo della malavita di prendere il sopravvento.