29 settembre 1943 – Alle prime ore dell’alba, un gruppo di tedeschi, provenienti da via Censi dell’Arco, entrò su una camionetta scoperta nella Masseria Morabito. Mentre un soldato si tratteneva a parlare con le ragazze della masseria, altri soldati, forse quattro, entrarono nelle stalle e ne uscirono con un vitello. Alle proteste del marchese Achille – che durante la guerra aveva abbandonato con la famiglia la sua abitazione napoletana e si era stabilito nella masseria – immediatamente risposero minacciandolo con il fucile e costringendolo a tornare in casa.
Ma, intanto, qualcuno aveva già avvisato i combattenti di Ponticelli.
Una “ventina di partigiani”, utilizzando il camion preso ai tedeschi il giorno precedente, accorsero a via Ottaviano per affrontarli. Altri da via S. Rocco raggiunsero i luoghi della razzia attraverso la campagna.
Giunti in via Ottaviano i partigiani si divisero in gruppi.
Queste squadre affrontarono contemporaneamente i soldati che uscivano dalla masseria per dirigersi verso l’accampamento di Censi dell’Arco. Nello scontro a fuoco fu ucciso un militare germanico al quale si aggiunse anche l’uccisione di una sentinella.
La morte dei due soldati innescò una feroce reazione, costringendo i partigiani a ritirarsi e a disperdersi.
Verso Ponticelli si diresse un gruppo di militari carristi “con alla testa un tedesco alto, in divisa nera, con un teschio cucito sul petto”.
Ebbe così inizio un “massacro sistematico” di cittadini innocenti che si protrasse per l’intera giornata.
AGOSTINO NAPPO, LUIGI MALASOMMA E VINCENZO MIGLIACCIO.
Agostino Nappo, ferito nello scontro a fuoco, aveva trovato riparo nella casa di Luigi Malasomma, il quale assieme al suo amico Vincenzo Migliaccio si stava prodigando a curargli le ferite. Un’improvvisa irruzione dei soldati tedeschi determinò il tragico epilogo per i tre combattenti.
RAFFAELE PICCOLO venne ucciso nei pressi dei Censi dell’Arco.
Era uscito di casa verso le 10 per procurare del cibo alla famiglia. Fu colpito con due fucilate al petto e una alla fronte a 200 metri di distanza.
GIUSEPPE E ULDERICO LA ROCCA, rispettivamente padre e figlio, furono uccisi alle 10.30.
I tedeschi arrivarono alla loro casa non da via Ottaviano ma per un viottolo di campagna. I familiari pensarono che venissero per un’altra razzia. “Invece chilli venettero proprio p’accirere, e allora acceretteno prima a mio fratello e poi a mio padre”.
RAFFAELE PANICO era infermiere al manicomio “Leonardo Bianchi” di Capodichino. Quella mattina era uscito per andare a lavorare ma era tornato indietro perché si stava sparando e rimase in casa. Verso le 11 i tedeschi irruppero nell’abitazione e, sotto la minaccia delle armi, lo portarono nella campagna a ridosso di alcuni fabbricati poco lontani, gli tirarono una fucilata e “poiché egli si lamentava, gli spararono altro colpo all’orecchio”.
Alcuni soldati entrarono sul retro della casa di GENNARO COPPOLA, dalla campagna. Lo riconobbero, perché aveva una salumeria e qualche giorno prima aveva dato loro del pane. Si apprestavano, perciò, a rilasciarlo, quando irruppe dalla strada un ufficiale che puntò una pistola alla testa di uno dei militari minacciandolo di sparare se non l’avessero ucciso. Furono costretti ad eseguire l’ordine ricevuto: si portarono nella campagna retrostante e lo ammazzarono appena fuori della casa, sotto un albero di limoni.
Tra le 11 e mezzogiorno furono fucilati insieme, addossati ad un muro, Salvatore Manna, uno spazzino municipale che pensava di poter svolgere il suo lavoro senza pericolo, Enrico Grieco, appena tredicenne, suo cugino Mario Ferraro, di quattordici anni, prelevati con altri da un ricovero e Gennaro Cozzolino, che ritornava da Cercola.
La morte di Grieco fu atroce: “Poiché mio figlio non era ancora spirato, uno dei tedeschi, con una sciabola baionetta, gli staccò la testa dal busto”.
Erano passate solo poche ore dallo scontro con i partigiani e già si contavano 12 martiri.
Evidentemente non bastavano a placare la furia nazista. La strage andò avanti senza sosta per il resto della giornata facendo molte altre vittime innocenti.
I fratelli Carmine e Giovanni Maione, il primo carpentiere, il secondo muratore, furono prelevati da due soldati con fucile mitragliatore: “Giunti davanti al Palazzo Pirozzi, sito alla via Domenico Riccardi, mentre essi camminavano avanti, i due militari li mitragliarono alle spalle, freddandoli e lasciandoli a terra”.
Ciro Giordano ed il fratello Emilio, di dodici anni più piccolo, erano “vuttari”, cioè costruttori di botti per il vino. “Quel giorno erano usciti di casa per comprare qualcosa da mangiare, furono presi dai tedeschi ed uccisi”.
Quella mattina, verso mezzogiorno, stava ritornando con la moglie da S. Anastasia a piedi. Visti dai militari, Gennaro Lella venne preso e portato via con un mitra puntato alle spalle, nonostante la moglie implorasse l’interprete di farlo liberare. La barbara uccisione avvenne dopo che la donna si allontanò verso Cercola.
Un marinaio, “con una divisa bianca estiva, armato di una pistola a tamburo”, entrò nel palazzo di Via Ottaviano n. 45 con l’intenzione di scavalcare il muretto ed inoltrarsi nella campagna per sfuggire ai soldati che già stavano venendo da Censi dell’Arco verso Ponticelli, seminando morte. Non ci riuscì e fu ammazzato con un colpo di fucile”.
VINCENZO APREA, VINCENZO GALLINARO, RAFFAELE BORRELLI, GENNARO ESPOSITO, MICHELE CIPOLLETTI, LUCA PORRICELLI, GENNARO PUNZO, ENRICO CORTONE, UMBERTO APREA, ARCANGELO MORMILE, PASQUALE NOTARIALE, LUIGI ORTINO: tutti ammazzati barbaramente in via Ottaviano.
Alla fine di quella tragica giornata si contarono 30 vittime innocenti.