Nei giorni immediatamente successivi al ritrovamento del cadavere di Vincenzo Ruggiero, fatto a pezzi e occultato all’interno di un garage nel rione “Lotto 10” di Ponticelli, quartiere in cui l’omicida Ciro Guarente era nato ed ha vissuto per molti anni, molte persone avevano riferito proprio al nostro giornale dei dettagli che, nel corso della sua recente testimonianza, l’assassino reo confesso avrebbe confermato.
Dettagli riferiti da molti ponticellesi che raccontarono di ricordare che Guarente, in età adolescenziale, avesse avuto una lunga relazione con una ragazza del quartiere. Una relazione che l’uomo avrebbe interrotto quando ha dovuto fare i conti con la sua vera identità sessuale: in tanti, all’indomani del feroce omicidio, raccontano che quel ragazzo, gracile ed apparentemente innocuo, ha lasciato la sua ragazza dell’epoca per fuggire con un uomo.
Secondo quanto riferito da diverse persone, si sarebbe trattato di un prete che avrebbe svestito l’abito talare per vivere quella relazione e, proprio per mettere a tacere quella che in questi contesti viene definita “una doppia vergogna”, la famiglia avrebbe cercato di nascondere la vera identità sessuale di Ciro. Sembrava una leggenda metropolitana, seppure in molti riferissero che la relazione tra Guarente e quel prete era un fatto noto che all’epoca destò non poco scalpore.
Un segreto di Pulcinella, in sostanza, conosciuto e chiacchierato da tutte le persone che vivono in quel rione, il Lotto 10, in cui abitano anche i genitori del 35enne che ha scelto di nascondere proprio lì i resti del cadavere del giovane attivista LGBT.
Assassino reo confesso, ma anche presunta vittima di un prete pedofilo e, non di un prete qualunque, ma di Don Silverio Mura, il sacerdote di Ponticelli sul cui capo già pendono reiterate accuse di pedofilia: questo è quanto emerso dalle ultime confessioni di Guarente.
Sulla costruzione di questo profilo psicologico si basa la difesa del 36enne Ciro Guarente, in carcere da quasi 11 mesi per l’omicidio del 25enne attivista gay Vincenzo Ruggiero, avvenuto ad Aversa, nell’appartamento della compagna di Guarente, e proseguito nel garage di Ponticelli.
Guarente ha ucciso Ruggiero sparandogli diversi colpi, mentre il giovane era inginocchiato davanti a lui, probabilmente lo implorava di non ammazzarlo e poi ha fatto a pezzi il corpo, nascondendone delle parti nel garage che aveva preso in affitto nel rione di Ponticelli dove vivono i suoi genitori poche ore prima di compiere l’omicidio, a riprova della premeditazione che ha segnato il cinico piano criminale, studiato nei minimi dettagli. I resti del cadavere erano stati occultati sotto un massetto di cemento, ricavato all’interno del garage.
Il 36enne, che da ex marinaio è poi divenuto dipendente civile della Marina, ha ricevuto l’avviso di conclusione indagini dalla Procura di Napoli Nord a fine maggio, insieme all’altro indagato Francesco De Turris, accusato di aver ceduto al presunto omicida la pistola calibro 7,65 utilizzata per uccidere Ruggiero.
Secondo quanto trapelato dalle indagini difensive di Cuomo, Guarente, quando era minorenne, sarebbe stato vittima di don Silverio Mura, che in quel periodo – fine anni ’80 e inizio anni ’90 – era parroco proprio nella chiesa di Ponticelli frequentata da Guarente.
Cinque le testimonianze raccolte, sia di vittime dirette del sacerdote che di persone che sapevano delle violenze subite da Guarente che non ha mai denunciato gli abusi subiti, ma quel trauma se lo sarebbe portato dentro negli anni come un macigno, fino ad esplodere nel raptus omicida che armò la mano dell’ex marinaio la sera del 7 luglio 2017, dopo aver studiato il piano omicida nei minimi dettagli, attese che Ruggiero tornasse nell’appartamento in cui viveva da qualche tempo insieme alla transessuale Heven Grimaldi, nonchè compagna di Guarente, per poi ucciderlo.
Proprio in quella coabitazione va ricercato il movente dell’omicidio, in quanto Guarente era ossessionato dalla gelosia ed era convinto che tra i due vi fosse una relazione.
Guarente avrebbe descritto un modus operandi molto simile a quello ricostruito dalle altre vittime di Don Mura.
Gli incontri che si consumavano presso l’abitazione del sacerdote, 2 o 3 volte a settimana, i regali costosi che Don Silverio avrebbe fatto a Guarente, proprio come riferiscono anche le altre presunte vittime: molte, in sostanza, le analogie tra il racconto del presunto assassino di Ruggiero e gli altri suoi coetanei che denunciano di aver subito abusi da parte del sacerdote di Ponticelli quando erano ancora bambini.
Un trauma subito in giovanissima età da Guarente e che, secondo la difesa, spiegherebbe come e perchè un incensurato, lavoratore con contratto a tempo indeterminato e proveniente da una famiglia benestante, abbia improvvisamente ucciso con tale violenza e accanimento il suo presunto rivale in amore, sfogando una rabbia tale da arrivare a tagliare a pezzi il corpo, a cospargerlo di acido e occultarlo in un garage dello stesso quartiere dove avrebbe subito abusi in tenera età.
Tuttavia, in tanti, in queste ore, a Ponticelli, ribadiscono che la relazione che intercorreva tra il giovane Guarente e “un prete” era un fatto noto e vissuto alla luce del sole. Il nome di Don Silverio Mura resta, però, un tabù. Una verità che concorre ad infittire il mistero intorno alla figura di uno dei sacerdoti più chiacchierati d’Italia.