Nel Rione Conocal di Ponticelli non uccide solo la camorra e non si muore solo di camorra. Anche se la vittima prescelta ha solo 19 anni, ha precedenti, sta scontando una pena agli arresti domiciliari e viene ucciso da un colpo di pistola.
L’omicidio costato la vita ad Emanuele Errico detto Pisellino, avvenuto lo scorso giovedì 26 aprile intorno alle 20, racconta tanto in merito ai pregiudizi e ai luoghi comuni contro i quali i ragazzi come lui devono combattere, anche da morti. Perfino da morti.
A raccontarli è un suo coetaneo: 19 anni e la professata volontà di autocondannarsi ai domiciliari per conseguire la laurea nel minor tempo possibile. Fedina penale pulita, hobby e interessi di un ragazzo normale che pratica una vita normale, seppure abiti nel Rione Conocal di Ponticelli, quello balzato agli onori della cronaca in seguito ai video divulgati dai Carabinieri che immortalavano “le stese” dei ragazzini in sella agli scooter, quelli con i quali condivide lo spazio fisico e l’età anagrafica, ma non le scelte di vita. E ancora, il rione delle intercettazioni delle “Lady camorra” e delle 14 piazze di spaccio a cielo aperto, quello di Mariano Abbagnara, “Il divo” del docu-film “Robinù”.
Sembra scontato che anche nei contesti in balia della malavita esista “la normalità”, eppure non lo è. L’omicidio di “Pisellino” lo conferma fino al punto di spingere quello che è stato ribattezzato “il cervellone” del Conocal ad insorgere e controbattere: “Non esiste solo la camorra e la camorra non è la sola a sparare per far valere le sue ragioni, in questo rione e in tutti gli altri luoghi, non solo di Napoli, ma del mondo. Purtroppo, però, questo principio non viene mai applicato quando si spara nel Rione Conocal. Soprattutto se a morire è un ragazzo di 19 anni. Senza pensare alla dignità di un luogo e delle persone che ci vivono, i giornalisti sparano a zero. Senza conoscere, senza capire, dando per scontato che è sempre la camorra a sparare. “Ucciso come un boss”, “ucciso per un regolamento di conti”, “giovane vittima della lotta tra clan”: all’omicidio di quel ragazzo che, sia chiaro, non credo nemmeno di aver mai visto, nonostante io abiti qui, nel suo stesso rione, sono stati affrancati i soliti luoghi comuni sul Conocal, su Ponticelli, sulla camorra ai tempi di Gomorra. Questo è snervante, umiliante, mortificante, esasperante, avvilente per chi sa che dovrà lottare tutta la vita contro questo pregiudizio e non per dimostrare di essere migliore degli altri, ma solo e semplicemente uguale agli altri. Sarebbe bastato che tutti quelli che avevano intenzione di scrivere di quest’omicidio, venissero a fare un giro nel luogo in cui è avvenuto l’omicidio. Si sarebbero subito resi conto che non c’è di mezzo la camorra. Certe cose non si spiegano, non si possono spiegare: le puoi capire solo se le vedi con i tuoi occhi.”
I precedenti per spaccio, l’evasione dai domiciliari, i legami affettivi con figure-simbolo della camorra ponticellese, e soprattutto quel rione, dove è morto, dove è cresciuto, dove ha vissuto: Emanuele Errico aveva tutte le carte in regola per professarsi come l’ennesima vita bruciata dalla camorra, ma, proprio come spiega questo 19enne, fin dai primi istanti, alle persone addentrate nelle dinamiche locali, è apparso chiaro che non era affatto così. Il movente di quest’agguato non era così scontato.
Di ora in ora, con il sopraggiungere di aggiornamenti relativi alle indagini condotte dai carabinieri di Napoli e dalla dda, in effetti, appare sempre più chiaro che l’omicidio di “Pisellino” non si colloca nella faida in corso per il controllo degli affari illeciti tra i vari clan subentrati in seguito al declino dei “Bodo”, per diverse ragioni.
In primis, seppure il 19enne, nonostante la detenzione ai domiciliari, stesse continuando a spacciare, non era finito nel mirino della “camorra emergente” – il sodalizio criminale sorto in seguito ad una serie di alleanze tra diversi clan della periferia orientale di Napoli – in quanto, nel corso delle settimane precedenti, diversi segnali intimidatori a suon di “stese” sono stati inviati a personaggi a capo di alcune piazze di spaccio nel Conocal, ma sempre e solo in via Mario Palermo, mentre “pisellino” abitava in via al chiaro di luna, la stessa strada dove è stato assassinato, ben distante, quindi, dal luogo oggetto di “attenzioni speciali” da parte dei clan.
Il 19enne ha avuto una lite con un coetaneo, nel vicino comune di Volla, pochi giorni prima dell’omicidio. Un contenzioso per una partita di droga non pagata o forse “questioni tra mariuncielli” – una lite tra ladruncoli – come confermano diversi residenti in zona. Il 30enne che si trovava con “Pisellino” la sera dell’agguato, ferito ad una gamba, era originario di Volla: resta da capire se è stato colpito per errore e se c’è un nesso tra la lite avvenuta nel suo comune d’origine e la sua presenza sul luogo dell’agguato.
Secondo quanto riferito da amici e conoscenti di “Pisellino” non era raro che evadesse dai domiciliari per “andare a fare i fatti suoi”: di certo, oltre che nella circostanza in cui è stato ucciso, il 19enne ha violato le limitazioni alle quali era sottoposto almeno in un’altra circostanza, in occasione della lite avvenuta pochi giorni prima a Volla.
Gli inquirenti stanno setacciando il cellulare del 19enne, a caccia di elementi utili per risalire all’esecutore materiale dell’omicidio: si presume, infatti, che il giovane sia stato attirato in un tranello e quindi indotto a violare i domiciliari da qualcuno di cui si fidava. Non necessariamente, secondo i residenti in zona.
Qualcuno lo teneva d’occhio, questo è scontato, oltre che prevedibile, in un rione dove di ragazzi svegli, scaltri e pronti a vendersi in cambio di pochi euro, ce ne sono tanti.
Il killer entrato in azione per uccidere “Pisellino”, il Rione Conocal lo conosceva bene e sapeva come destreggiarsi tra quel groviglio di palazzoni e stradine contorte. Anche questo è un altro dato che non porta a nulla di concreto: il rione è frequentato da tantissimi personaggi contigui alla malavita e non solo. Piccoli pusher, acquirenti di droga, ma anche giovani annoiati a caccia di un posto dove riunirsi e trascorrere del tempo.
“Quale futuro per noi ragazzi, quale futuro per questo rione?”
Termina con una domanda il lungo messaggio inviatoci da un 19enne “normale” del Rione Conocal di Ponticelli, alla quale dà anche una risposta: “Questo rione, senza un intervento concreto dello Stato, non ha speranza. Perchè lo Stato non consegna le case popolari a chi possiede realmente i diritti e requisiti necessari per meritare un alloggio di questo tipo, cacciando letteralmente fuori da questi contesti quelli che li avvelenano e li distruggono? I camorristi, gli spacciatori, i malavitosi, la casa se la possono permettere eccome, non hanno il diritto di privare di questo diritto una famiglia realmente povera e bisognosa. E se lo Stato lo permette, senza intervenire, allora sceglie di essere complice della camorra. Significa che non vuole realmente salvarci e salvarsi.
Per i ragazzi che scelgono “la scorciatoia”, la storia di Emanuele Errico insegna ancora una volta che non c’è futuro. Per i ragazzi come me, condannati dal luogo di provenienza a vivere con “una marcia in meno”, l’unica alternativa si chiama “lontano da qui”.“