Don Silverio Mura, il prete pedofilo che molti anni ha soggiornato a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, continua a far parlare di sè.
Malgrado le reiterate denunce da parte di una delle vittime alla curia, alle autorità civili e a dispetto della forte risonanza mediatica che la notizia ha sortito, don Silverio Mura non solo resta in servizio, ma continua anche ad insegnare nelle scuole, a contatto con minori.
Una storia che ha inizio nel 1987 in una scuola di Ponticelli, la vittima, un bambino di 11 anni adescato a scuola dal sacerdote che lo invita a casa, fuori dall’orario scolastico. Ben presto il ragazzino si rende conto di non essere il solo al quale il prete dedica le sue morbose attenzioni: sono almeno in 7 le vittime del “prete-orco”.
Le violenze si protraggono per anni, ai quali si aggiunge il tempo necessario a quel ragazzino, nel frattempo diventato un uomo, un marito e un padre, per elaborare le violenze di cui è stato vittima in tenera età. Proprio quel
prete ha celebrato le sue nozze e ha anche battezzato i suoi tre figli. La forte fede in Dio lo porta ad entrare in conflitto con il trauma subito ed elaborare quella violenza si tramuta ben presto in una pratica dolorosa che tutt’oggi si ripercuote sulla sua serenità.
Diverse mail e missive vengono inviate dalla vittima e dai suoi familiari alla curia, ma non ottengono nessun tipo di riscontro.
Quando è lo psicologo che lo ha in cura a scrivere al Vescovo Lucio Lemmo, la Diocesi invia a casa dell’uomo due giovani che si presentano con una busta contenente 300€, a nome della Caritas, sottolineando, che non vi saranno altri aiuti.
L’uomo non ha mai chiesto soldi, la sua unica preoccupazione sono i minori a rischio e da anni si batte per evitare che altri bambini possano subire le sue stesse violenze. Deluso dall’atteggiamento della Chiesa, si reca alla Stazione dei Carabinieri di Ponticelli e il 22/06/2010 sporge regolare denuncia, alla quale non ha mai fatto seguito un’indagine, un processo.
Ex parroco della parrocchia Santissima Annunziata di Pollena Trocchia (diocesi di Napoli), insegnante di religione nell’istituto alberghiero “C. Russo” di Cicciano (diocesi di Nola) nell’anno scolastico 2012 – 2013, Don Silverio Mura viene periodicamente trasferito, ma non ha subito alcuna conseguenza, nonostante le numerose e continue denunce della giovane vittima.
Si erano perse le tracce del prelato, ma grazie alla segnalazione di alcuni studenti che avevano visto le foto segnaletiche che erano state divulgare da alcune associazioni, viene rintracciato come docente di religione, presso una scuola media di Napoli.
Quindi il sacerdote decide di interrompere l’insegnamento e di lui si perderanno le tracce sino al novembre 2016, quando viene segnalato presso una comunità per sacerdoti con problemi in provincia di Perugia. Don Silverio Mura smette di insegnare e si trasferisce a Perugia, non per schivare le accuse di pedofilia, ma per stare accanto all’anziana madre che accudirà fino alla morte che risale a poco più di un anno fa, proprio in concomitanza con il suo incarico a Montù Beccaria dove, nel frattempo, ha cambiato nome in don Saverio Aversano, acquisendo quindi il cognome della madre.
Un’altra inquietante novità emerge dalla testimonianza di una delle vittime di Don Silverio Mura: il prete si serviva dei ragazzini come corrieri.
Se Diego Esposito – la vittima adescata a scuola all’età di 11 anni – racconta che il Don disponesse di un considerevole quantitativo di soldi che gli permetteva di acquistare auto lussuose abbastanza frequentemente, ben più grave è il quadro disegnato dalle dichiarazioni fornite da un’altra vittima: il prete, due volte a settimana, gli dava incarico di trasportare a Pollena Trocchia, – comune dell’entroterra vesuviano – con la sua bicicletta, una cartella o uno zaino nel quale erano contenute – a dire del sacerdote – bibbie e libri del catechismo che andavano distribuite presso case o circoli.
La vittima racconta che, durante il tragitto, più volte si fermò per “sbirciare” in quelle cartelle e vi scorse delle armi – pistole automatiche e revolver – chiuse in asciugamani a mo’ di pacchettini, oltre a confezioni contenenti sostanze stupefacenti.
Una testimonianza forte, al pari delle gravi accuse mosse al prete, che Diego Esposito ha divulgato attraverso i social, pochi giorni dopo “l’ultimatum” indirizzato a Papa Francesco e alla curia di Napoli.
L’intento di Diego è quello di avviare una protesta civile e non violenta chiedendo semplicemente che don Silverio Mura sia processato. Diego rivendica giustizia per quello che ha dovuto subire, perché dopo tre inchieste insabbiate, otto anni di attesa, dopo aver visto riconfermato il cardinale Sepe, grande insabbiatore del suo caso, dopo aver fatto due scioperi della fame e non aver ottenuto alcuna risposta, dopo aver scoperto che il suo abusatore da un anno esercitava sotto falso nome insegnando il catechismo ai bambini di Montù Beccaria, proprio come quando adescò lui, Diego Esposito vuole legittimamente e civilmente reclamare i suoi diritti costituzionali, a lui sottratti da uno Stato estero.
Diego Esposito ha dato 15 giorni di tempo alla Santa Sede per dare una risposta concreta su un caso sul quale tace da otto anni. Diego annuncia che se anche stavolta la risposta della Chiesa sarà il silenzio, al termine del tempo prestabilito, inizierà la sua protesta civile e non violenta, incatenandosi davanti alla diocesi.