Agguato in strada a Ponticelli, in uno dei rioni dove la camorra sta facendo particolarmente sentire la sua presenza: il Lotto O. Poco prima della mezzanotte di martedì 13 marzo, la camorra rompe il clima di calma apparente che si respira nel quartiere di Napoli est, dopo la raffica di stese che si sono registrate nei giorni successivi agli arresti che lo scorso novembre hanno sensibilmente decapitato il clan De Micco.
“Il morto era nell’aria”: commentano gli abitanti del rione, tutt’altro che sorpresi dall’agguato che è costato la vita a un 29enne di Ponticelli, già noto alle forze dell’ordine, seppure non sicuri che si tratti di un omicidio riconducibile alla faida di camorra in corso nel quartiere.
Gli agenti del locale commissariato dovranno far luce sulla dinamica e sul movente dell’agguato, ancora da ricostruire.
Salvatore D’Orsi, 29 anni, ferito gravemente in via Oplonti, nel Lotto O di Ponticelli, il quartier generale del clan De Luca Bossa, intorno alle 23.30 e deceduto intorno alle 9 di stamane, all’ospedale Villa Betania di via Argine.
Il 29enne era stato colpito da almeno tre proiettili all’addome e al torace, nonostante ciò era riuscito a tornare a casa dopo l’agguato ed il padre lo ha poi accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale Villa Betania, dov’è stato sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza che non è riuscito a salvargli la vita, per quanto erano disperate le sue condizioni.
Stando alle testimonianze dei residenti nel rione, ad aprire il fuoco sarebbero stati dei killer in sella ad uno scooter.
Salvatore D’Orsi detto “Poppetta” era un “volto noto” del rione, lo conoscevano tutti e sui social, così come tra i palazzoni grigi del rione di edilizia popolare in cui vivono all’incirca 7.000 persone, in molti si dicono increduli ed addolorati per quanto accaduto.
Tuttavia, la morte del 29enne, che aveva piccoli precedenti penali per ricettazione e stupefacenti, ha suscitato anche altre reazioni: in molti temono che da questo agguato possa scaturire una tanto temuta quanto probabile faida.
Il dato di fatto più indicativo che ha segnato questi mesi di “guerra fredda e silenziosa” tra la rimaneggiata compagine dei De Micco e “la camorra emergente”, ovvero il sodalizio criminale frutto di una serie di alleanze tra i clan De Luca Bossa-Minichini- Schisa- Rinaldi e non solo, va ricercato, senza dubbio nell’assenza di sentinelle e di figure-simbolo dei diversi clan che storicamente stanziavano in strada per presidiare le zone di competenza della propria organizzazione. Forte, dunque, il fiuto del pericolo, derivante dalla consapevolezza che un passo falso si sarebbe tradotto nella morte di un gregario, sul fronte o sull’altro.
Difficile comprendere se D’Orsi sia finito in questo vortice criminale, alimentato da rancori e vecchie ruggini che intercorrono da diverso tempo tra “i Bodo” e la fazione opposta che pur di scalzare il nemico in comune ha deciso di allearsi, dimenticando le acredini e i torti subiti anche da quelli che, oggi, chiamano alleati, ma che un tempo furono odiati rivali.
Pochi attimi prima di andare incontro al suo destino “poppetta” aveva pubblicato un post su facebook: “Si scende, si va al rione Traiano. Siamo arrivando”. Che sia stato proprio questo il segnale che i killer che lo volevano morto stessero attenendo? E’ ancora presto per stabilirlo, data la fase embrionale in cui versano le indagini.
Di certo, “poppetta” di post in cui faceva riferimenti ed allusioni che nel gergo di chi mastica il linguaggio malavitoso assumono un significato ben preciso, ne ha pubblicati parecchi: “Non mi fate la guerra che poi la perdete”, “Il leone è ferito ma non è morto”, “Stai senza penzier, che a tutto il resto pensa il destino”, sono alcune delle frasi che si leggono sul suo profilo facebook, accompagnate dalle “solite” emoticon. Bombe, pistole: immagini utili a rafforzare il concetto e renderlo più esplicito. Nell’era del 2.0 la malavita si fa anche così.
Qualche giorno fa, D’Orsi ha scritto: “Quando morirò non venire alla tomba per dirmi quanto mi ami e quanto ti manco, perché quelle sono le cose che voglio sentire mentre sono vivo” una frase che, oggi, risuona quasi come una premonizione.
Le indagini degli inquirenti non convergono, dunque, verso una pista bene precisa. Quindi, non è da escludere che l’omicidio possa collocarsi in un contesto estraneo alle dinamiche camorristiche del quartiere e che il 29enne sia stato ucciso per “un torto” inferto alla persona sbagliata.