Lazzaro (Reggio Calabria), 21 febbraio 1996 – Francesco Giorgino viene ucciso nella sua officina per un litro d’olio non consegnato al boss del momento, Giovanni Scappatura.
Quel litro d’olio Francesco non lo aveva e il boss, indignato per il rifiuto, impugnò la pistola e andò personalmente ad affermare la sua autorità e a riscattare l’offesa subita con la violenza, uccidendolo.
Francesco venne raggiunto da diversi colpi di pistola calibro 7.65, mentre riparava un’auto dentro la sua officina. Era pugliese, originario di Cerignola in provincia di Foggia e aveva quaranta anni di cui gli ultimi quindici vissuti in Calabria, terra di cui amava il mare e che lo aveva accolto quando, dopo avere conosciuto a Milano sua moglie Domenica, se ne era innamorato al punto da seguirla fino a qui e con lei farsi una famiglia. Era stato già trafitto alle spalle da alcuni proiettili, prima di essere girato con il piede e colpito mortalmente al petto. Come spesso accadeva Domenica stava andando in officina a trovare il marito. Quel pomeriggio con lei c’erano anche i suoi figli. Erano da poco trascorse le ore 18 quando in prossimità dell’officina, notarono confusione.
A nulla servirono i tentativi del suo aiutante, Vincenzo Benedetto, che venne scaraventato contro i cassonetti e che una settimana dopo, nonostante le minacce subite per non farlo, fornì gli elementi per ricostruire la vicenda; anche la sua vita è cambiata e oggi vive lontano, forse in un altro continente.
Giovanni Scappatura, per altro sorvegliato speciale, stava lavorando con una motosega presso la sua abitazione, in prossimità dell’officina, quando si rese necessario un po’ di olio per lubrificarla. Mandò Benedetto per due volte a chiederla a Francesco Giorgino che però, non avendola, non poté soddisfare la sua richiesta. Un rifiuto obbligato che però costò la vita allo stesso Giorgino.
Nonostante si conosca l’identità del colpevole in questa vicenda di dolore e violenza, la storia di Francesco Giorgino, non riserva un epilogo giudiziario compiuto. Il responsabile è infatti ancora oggi latitante e con lui anche la madre, Angelina Iaria, che ne avrebbe favorito la fuga e la latitanza. Solo nel 2010 è stato arrestato il pescatore Marco Bruno De Salvo, con l’accusa di avere favorito queste latitanze, gestendo il conto corrente della madre, anche lei datasi alla clandestinità con il figlio, ad oggi condannato all’ergastolo, ma tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia.