Napoli, 31 gennaio 2005 – I killer, a caccia di Massimo Bevilacqua, elemento di spessore del clan degli scissionisti, non trovandolo decidono di uccidere i genitori dei boss, probabilmente perchè non riescono ad arrivare direttamente al loro bersaglio.
Nel mirino dei killer, quindi, finisce Vittorio Bevilacqua, padre di Massimo, vittima di una vendetta trasversale che impazza a Napoli Nord negli anni della cosiddetta “faida di Scampia”.
Vittorio Bevilacqua, un pensionato di 64 anni, con precedenti per truffa, viene ucciso alle 9.30 del mattino all’interno di una salumeria, dove si era recato a fare la spesa con la moglie. L’agguato si consuma nel rione don Guanella, tra Miano e Scampia.
Prima di Vittorio Bevilacqua erano stati uccisi, perchè genitori di esponenti di spicco degli scissionisti, Crescenzo Marino il 2 gennaio scorso a Secondigliano, padre di Gennaro, e Carmela Attrice, il 15 gennaio, madre di Francesco Barone.
Senza logica nè pietà, la camorra uccide in pieno giorno, tra la folla, con il rischio di coinvolgere più persone. Omicidi che non coinvolgono soltanto i diretti familiari di persone implicate nella faida, ma anche chi abbia avuto rapporti anche solo indiretti di conoscenza con personaggi appartenenti alle due fazioni in lotta.
Il killer ha avvicinato Vittorio Bevilacqua al banco del pane, ha estratto il revolver e gli ha sparato un colpo secco alla tempia.
Nel complesso, quel killer esplode sei proiettili che bucano buste di latte e confezioni di pasta, solo per caso non raggiungono altre persone presenti in quel negozio, tramutato in un attimo nella scena del crimine, teatro di un agguato di camorra. Poi l’ assassino fugge nel traffico dell’ora di punta: nessuno lo ha visto in faccia, nessuno sarà mai in grado di descriverlo, complice la visiera del berretto che indossava, abbassata sul volto o il solido scudo protettivo dell’omertà, la sostanza dei fatti non cambia: nessuno lo ha visto, nessuno è in grado di veicolare le indagini degli inquirenti verso un identikit.
L’ omicidio si consuma in un mini centro commerciale, sotto gli occhi di massaie, a pochi metri da una scuola. Bevilacqua si accascia accanto alla moglie Teresa. Ma neanche lei, condotta negli uffici della squadra mobile, è in grado di fornire «indizi utili».
Bevilacqua appare fin da subito la vittima di un’altra vendetta trasversale voluta dal gruppo di fuoco del clan di Paolo Di Lauro, un altro genitore incolpevole, descritto come un uomo onesto che aveva smesso di bere e di fumare perché voleva fare una buona vecchiaia. L’ uomo viene ucciso solo perché doppiamente legato a una delle cosche in guerra: era il padre di Massimo Bevilacqua, considerato un gregario dei cosiddetti “scissionisti”, recentemente arrestato e poi scarcerato per insufficienza di indizi; ma era anche il suocero di Ciro Nocerino, un luogotenente della stessa organizzazione.
I loro familiari erano in pericolo e lo sapevano. Lo stesso Massimo Bevilacqua aveva terrore di finire nel mirino dei killer, mentre era detenuto agli arresti domiciliari, parla al telefono con la sorella Maria, moglie di Ciro Nocerino, e le confida i suoi timori: «Non posso restare qua, rischio la vita. Voglio andare a casa di mamma, mi sento più sicuro». S’ era perfino fatto ricoverare, pur di sentirsi in un luogo sicuro. «Era talmente agitato – scrivevano i giudici – che non riusciva più a dormire». E lo stesso Massimo commentava con sua madre la notizia che un altro padre impaurito, Crescenzo Marino, padre di quel Gennaro cui gli stessi killer dei Di Lauro davano la caccia, «ormai non usciva più di casa: per paura di essere ammazzato».