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25 gennaio 2016: ritrovato in Egitto il cadavere del ricercatore italiano Giulio Regeni, una morte che attende ancora verità

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
25 Gennaio, 2018
in In evidenza, News
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25 gennaio 2016: ritrovato in Egitto il cadavere del ricercatore italiano Giulio Regeni, una morte che attende ancora verità
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giulio-regeni-761987-e1455667314587Giulio Regeni, è un giovane ricercatore italiano, originario di Fiumicello, paese in provincia di Udine, sequestrato e ucciso in Egitto tra gennaio e febbraio 2016. Il 28enne era andato a vivere in Egitto nel settembre 2015, per motivi di studio legati a un dottorato di ricerca sui sindacati indipendenti egiziani per l’Università di Cambridge.

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II 25 gennaio 2016, giorno della scomparsa di Giulio, ricorreva l’anniversario della rivoluzione egiziana, avvenuta nel 2011. L’atmosfera era tesa in tutto l’Egitto, bastava poco per essere accusati di spionaggio e le forze dell’ordine avevano un atteggiamento ambiguo verso chiunque.
Quella sera, alle 19:41, Regeni esce di casa, la fermata della metro è a 200 metri. Deve recarsi a un appuntamento con un suo amico per una cena di compleanno, ma non arriverà mai al luogo dell’appuntamento.

Il 3 febbraio, nove giorni dopo, il cadavere del giovane ricercatore viene ritrovato alla periferia della capitale egiziana, seminudo, con visibili segni di tortura.

A partire da quella data, inizia uno sfiancante braccio di ferro di carattere politico tra le due nazioni coinvolte in quello che viene etichettato “caso Regeni”. La morte del giovane ricercatore è un groviglio di misteri e di piste investigative che aprono tanti scenari, senza portare mai ad una verità concreta né a garantire giustizia all’omicidio di Giulio Regeni.

Il 4 febbraio il vice capo delle indagini in corso, Alaa Azmi, dichiara che la morte di Regeni è stata causata da un incidente stradale. “Dobbiamo attendere l’intero rapporto degli esperti forensi. Ma ciò che finora sappiamo è che si è trattato di un incidente”, afferma il funzionario, non menzionando ustioni. Il 24 marzo le forze di polizia egiziane uccidono cinque persone, sostenendo che appartenessero ad una banda specializzata in sequestri e rapine, collegata al caso Regeni. Forti le pressioni da parte delle autorità italiane, volte a sollecitare le indagini, ma sono tanti i depistaggi e le notizie che si scopriranno essere non veritiere che, invece, si alterneranno nel corso del tempo, tant’è vero che i primi documenti agli inquirenti italiani verranno consegnati solo il 7 dicembre dello stesso anno.

Il 28 dicembre un’emittente televisiva egiziana trasmette un video registrato di nascosto dal presidente del sindacato dei venditori ambulanti egiziani, Mohamed Abdallah, che tenta di ottenere dei soldi da Giulio. Il video di quasi quattro minuti è stato trasmesso dall’emittente Sada El Balad ed è stato girato il 6 gennaio 2016, con un’apparecchiatura in dotazione alla polizia del Cairo, nascosta in un bottone della camicia di Abdallah.

Regeni frequentava gli ambulanti per realizzare la sua ricerca di dottorato all’Università di Cambridge. Arrivato al Cairo nel settembre 2015, attraverso la American University of Cairo entra in contatto con il Centro egiziano per i diritti economici e sociali. Qui incontra Hoda Kamel Hussein, responsabile dei dossier in materia di lavoro ed esperta in campo sindacale, che gli presenta alcuni venditori, tra cui Mohamed Abdallah, l’uomo che sarà il suo traditore e lo consegnerà ai suoi carnefici.

La collaborazione giudiziaria tra la procura egiziana e i pm di Roma, è caratterizzata da un andamento incerto fin dal ritrovamento del corpo, il tardo pomeriggio del 3 febbraio, in un fosso che costeggia l’autostrada Cairo – Alessandria.

Regeni avrebbe subito tre diverse fasi di tortura: la prima al commissariato, la seconda al dipartimento investigativo dove è stato picchiato e la terza nei dipartimenti di intelligence militare dove avrebbe subito le torture peggiori con le scosse elettriche.

Cinque giorni di torture in tutto. Ben tre dei quattro apparati di sicurezza egiziani sarebbero coinvolti, fino alle più alte cariche di stato: il ministro dell’Interno e il presidente al Sisi sarebbero stati al corrente della vicenda. Ma sono tutte supposizioni dell’ex ufficiale che parla per sue fonti personali. Nulla di tutto questo è stato ancora confermato.

Secondo l’ong egiziana El Nadeem solo nel 2015 ci sono stati 1.670 casi di tortura, 500 finiti con la morte, 464 casi di sparizione forzata.

Paola, la madre di Giulio, ha 57 anni ed è un’insegnante in pensione. Suo marito Claudio Regeni è un rappresentante e ha 63 anni. Giulio era il loro primogenito e unico figlio maschio. La figlia minore si chiama Irene. La famiglia Regeni non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia, con una dignità ed una compostezza esemplari, al pari della forza con la quale da due anni continuano a lottare per rendere omaggio alla memoria di un figlio, ucciso perchè si era messo sulle tracce di qualche scomoda verità.

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