Dopo due anni sono giunte ad una svolta cruciale le indagini sulla morte di un tunisino che nel giugno del 2015 fu ucciso e poi gettato in una discarica nel napoletano.
Durante la giornata di mercoledì 6 dicembre, è stato arrestato l’uomo del clan Mazzarella che, dopo aver sparato due colpi alla testa, ha fatto a pezzi quell’uomo, lo ha chiuso in una busta e bruciato, per poi nascondere il cadavere in una discarica
Si tratta di Salvatore Sembianza, 37enne napoletano delle Case Nuove, già destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nel giugno 2017 per i reati di omicidio, tentato omicidio e associazione di tipo camorristico.
Il provvedimento restrittivo fu eseguito dalla Squadra Mobile l’11 luglio scorso nei confronti di Gennaro Catapano, Raffaele Micillo, Domenico Di Perna e Salvatore Maggio, tutti scissionisti del clan Mazzarella, operante in diversi quartieri del centro cittadino e della periferia, entrati in contrasto con il sodalizio di appartenenza per il controllo delle attività illecite, gestite nelle aree cittadine di Piazza Mercato, Porta Nolana, Soprammuro e Case Nuove. Sembianza venne arrestato in un B&B di via Nuova Poggioreale, dove si nascondeva, mettendo così fine alla sua latitanza.
Il cadavere del tunisino fu ritrovato su un cumulo di rifiuti scaricati abusivamente l’8 giugno del 2015 a Napoli, in via della mongolfiera, una strada sterrata nel quartiere di San Pietro a Patierno. I carabinieri della Sezione Investigazioni Scientifiche, durante esame autoptico riuscirono ad estrarre una impronta digitale leggibile.
Dalla ricerca scaturita dall’impronta sono venuti fuori due nomi e due età riconducibili alla stessa persona, l’algerino appunto, verosimilmente irregolare sul territorio italiano, identificato e registrato in due diverse occasioni, sempre a Napoli, con due identità diverse: Chafai Abdelmadjid, 38 anni, e Bouldjaje Mohamed, 37 anni.
La vittima aveva i piedi legati con una corda e segni di corda sono stati rilevati anche intorno al collo.
Nel rione tra piazza Mercato e Case Nuove, una delle zone più popolari di Napoli, le mamme avevano avvertito i propri figli che giocavano a pallone in stradadi stare lontani da quell’uomo. Perché oramai era diventata convinzione popolare, basata anche sul racconto fatto da un minore ai genitori, che il tunisino Abdelmadij Chafai avesse violentato un ragazzino. Quella voce aveva fatto il giro del quartiere e giunse anche alle orecchie degli uomini del clan Mazzarella.
La sentenza di morte per il tunisino fu emessa nel giro di poche ore dai boss. E il compito di ammazzarlo fu assegnato a Salvatore Sembianza, arrestato dopo due anni di indagini grazie all’altro killer del clan, che nel frattempo è diventato collaboratore di giustizia e ha permesso di far luce sul contesto in cui maturò l’omicidio del 38enne tunisino.
Alla sfilza di reati che già pendono sul capo di Salvatore Sembianza, si aggiungono l’accusa di omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco, distruzione e soppressione di cadavere. Il magrebino, nel giugno 2015, fu attirato da Sembianza in un’abitazione del quartiere di Poggioreale. E in quell’appartamento, fu ucciso con due colpi di pistola alla testa. Poi il cadavere fu fatto a pezzi, chiuso in una busta e bruciato. Quel che restò del corpo del tunisino, fu poi abbandonato in una discarica a San Pietro a Patierno.
Già detenuto per altra causa, Salvatore Sembianza è ritenuto responsabile, in concorso con un esponente del clan Mazzarella, attualmente collaboratore di giustizia, dell’omicidio del cittadino tunisino Chafai Abdelmadij.