Napoli, 5 dicembre 2008 – Antonio Metafora, 70enne avvocato civilista, viene ucciso nel suo studio.
Gli inquirenti scopriranno che l’avvocato pagò con la vita il rifiuto di una somma di denaro per stoppare un’ingiunzione di sfratto alla quale stava lavorando per conto di un cliente.
L’avvocato Metafora e il cliente per il contro del quale stava seguendo l’ingiunzione di sfratto di un garage, rifiutarono la somma di 50 mila euro in contanti che con tono definito «minaccioso» l’assassino, alcuni giorni prima dell’omicidio, gli aveva messo sul tavolo come saldo delle morosità, accompagnato dalla richiesta di rifare il contratto di affitto del garage. L’assassino, imparentato per parte di moglie con la famiglia malavitosa dei Licciardi di Secondigliano, aveva preso in affitto il locale a nome della madre, semplice prestanome, e voleva obbligare il professionista a bloccare la procedura di sfratto. Al rifiuto aveva chiesto un nuovo appuntamento, col pretesto di una nuova proposta, al quale si presentò in compagnia di un complice ed eseguì la sentenza di morte con quattro colpi di pistola.
Ucciso con quattro colpi di pistola, nel suo studio al quarto piano di corso Umberto I, in centro, intorno alle 20 di una sera di dicembre: muore così l’avvocato civilista, molto conosciuto in città e che vantava una vasta clientela. Di aspetto giovanile, ex pallanuotista, abituato a spostarsi a bordo di una Vespa, l’avvocato Metafora era stimato ed apprezzato.
L’autore dell’omicidio, Salvatore Altieri, 24 anni, era già noto alle forze dell’ordine per rapina e gioco d’azzardo.
Il presunto assassino, già in altre occasioni, aveva protestato proprio nello studio legale. Questa sera, poco prima delle 20, è ritornato e ha agito. Dopo aver bussato alla porta, ha chiesto dove fosse Antonio Metafora, è entrato nella stanza e ha esploso almeno quattro colpi d’arma da fuoco e poi è scappato. L’avvocato è morto sul colpo e a nulla sono valsi i tentativi di soccorso.
A ricostruire quanto avvenuto è stato Vincenzo, 44 anni, figlio del professionista e anche lui avvocato. E’ stato Vincenzo ad aprire la porta all’assassino del padre. A quell’ora, infatti, nello studio associato non vi erano altri clienti o collaboratori.
Altieri uccise l’ avvocato Antonio Metafora non solo perché mosso da «intento punitivo e vendicativo». Ma anche perché il giovane, imparentato per parte di moglie con la famiglia malavitosa dei Licciardi di Secondigliano, intendeva con quei quattro colpi di pistola «affermare il suo “valore” messo in discussione» dall’ anziano civilista che «nonostante gli avvertimenti e le pressioni» subite non aveva voluto «accettare le condizioni» dettate da Altieri per rientrare nella disponibilità di un garage. Per questa ragione, scrive la Corte d’ Assise d’ Appello nella sentenza che ha condannando Altieri all’ergastolo inasprendo la pena di 24 anni di reclusione decisa in primo grado, l’ avvocato Metafora «andava eliminato con un gesto eclatante e dimostrativo».
Secondo la Corte, Altieri non può ottenere le attenuanti generiche anche alla luce della «estrema gravità e riprorevolezza» della sua azione. E viene ritenuta sussistente, come già in primo grado, l’ aggravante della premeditazione.
Nel suo appello il pm aveva ipotizzato che Altieri avesse deciso di uccidere l’ avvocato «non in totale autonomia ma condizionato dalle famiglie Licciardi e Lo Russo», ricostruzione ritenuta però non condivisa dalla Corte anche alla luce di un’ intercettazione della moglie dell’ imputato dalla quale emergerebbe che la famiglia Licciardi non aveva «gradito» il delitto, ma anzi ne aveva preso le distanze. L’ assassino sparò subito dopo essere entrato nella stanza del professionista. «Tanto da far dedurre – scrive la Corte – che tra i due non venne iniziata alcuna discussione».