A Ponticelli, durante la notte tra giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre, si è registrato il terzo agguato di stampo camorristico nell’arco di 3 giorni.
2 stese e un agguato: questo il bollettino sul fronte di guerra più caldo di Napoli est in chiave camorristica, scaturito in seguito al blitz che ha portato all’arresto di 23 persone ritenute contigue al clan De Micco.
Dopo le due stese a distanza ravvicinata avvenute durante la notte di martedì 28 novembre e il tardo pomeriggio di mercoledì 29 novembre nel Rione De Gasperi, il terzo raid si è consumato nel cuore della notte tra giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre nel rione Conocal.
Poco prima delle tre, un ragazzo di 19 anni, Ciro Rigotti, figlio di un noto pregiudicato, Silvio Rigotti, classe 1977, affiliato al clan D’Amico e poi finito a “simpatizzare” per i De Micco, attualmente detenuto, è giunto al pronto soccorso dell’ospedale Villa Betania con una ferita da colpo d’arma da fuoco alla gamba destra.
La vittima, incensurata, è stata medicata dai sanitari e dimessa con dieci giorni di prognosi. Ai poliziotti del commissariato di Ponticelli ha riferito di essere stato avvicinato in via Mario Palermo, all’esterno di un circolo ricreativo nel rione Conocal, da uno sconosciuto che, con il volto coperto da uno scaldacollo e un giubbotto di colore nero, ha mirato un’arma da fuoco alle gambe per poi esplodere un colpo che è entrato e uscito dalla coscia destra, ha sfiorato la sinistra e ha terminato la propria corsa contro un’auto parcheggiata in strada. Un chiaro raid intimidatorio sul quale sono in corso le indagini della polizia.
Silvio Rigotti, il padre del giovane, venne arrestato nell’operazione “Delenda” che nel giungo del 2016 decapitò il clan D’Amico, rivali storici del clan De Micco, con l’esecuzione di 94 ordinanze di custodia cautelare in carcere.
Silvio Rigotti era il cognato Flavio Salzano, ucciso il 30 agosto 2016, mentre era latitante, proprio perché riuscì a sfuggire al maxi-blitz. I due gestivano una piazza di spaccio nel Rione Conocal e dopo la morte di Annunziata D’Amico, avvenuta nell’ottobre del 2015, avrebbero deciso di passare dalla parte dei “Bodo”. Salzano era riuscito a conquistare un ruolo di spessore all’interno del clan De Micco.
Dopo il blitz maturato a marzo del 2015 e che portò all’arresto di 52 persone, nel Rione Conocal e nelle intenzioni di Salzano, si rompe qualcosa: comincia a passare parte del ricavato delle piazze di spaccio agli acerrimi rivali del clan De Micco, venendo meno a quel diniego di pagare il pizzo “ai Bodo” che nell’ottobre del 2015 costa perfino la vita ad Annunziata D’Amico, la “donna-boss” reggente del clan di famiglia, in seguito all’arresto dei fratelli Antonio e Giuseppe.
Fu proprio “la passillona”, Annunziata D’Amico – così come trapela dalle intercettazioni – a scoprire che Salzano stava venendo meno a quell’imposizione che rappresentava la pietra miliare sulla quale si basavano le fondamenta del clan, come la stessa Annunziata spiega: “O’ Bodo int’ a casa mia nun mett’ nisciuna legge” – “Il Bodo”, ovvero Marco De Micco, reggente dell’omonimo clan, in casa mia non impone alcuna legge – ragion per cui, non pagare al clan rivale la tangente che intendeva estorcere sulle piazze di spaccio, rappresentava un motivo di orgoglio, oltre che un segnale di forza che voleva lasciar trasparire la fiera volontà di non piegarsi alla “legge del più forte”, perché i De Micco, anche agevolati dal colpo inferto al clan rivale rimaneggiato da quegli arresti, stavano guadagnando terreno e stavano diventando più forti dei D’Amico.
Salzano, forse, lo aveva fiutato e animato dal desiderio di vivere una “carriera in ascesa” non voleva inimicarsi quella squadriglia di giovani, cattivi e pronti a tutto. Quando “la passillona” scopre la manovra occulta di Salzano lo caccia di casa e dal rione. In questo momento di difficoltà, Salzano viene aiutato proprio da alcune leve dei De Micco. Ma dopo qualche tempo anche i rapporti con i nuovi alleati si incrinano, fino al violento agguato in cui i sogni di gloria di Salzano vengono definitivamente stroncati.
Salzano, la sera in cui venne ucciso, fu attirato in una trappola da qualcuno di cui si fidava, tant’è vero che i colpi sono stati esplosi a distanza ravvicinata, forse, addirittura in auto, da qualcuno che era tranquillamente seduto accanto a lui.
Salzano, quella sera, ha incontrato qualcuno che lo conosceva bene e di cui si fidava.
Flavio Salzano è stato giustiziato dai D’Amico, per vendicarsi del tradimento rifilato al clan quando il giovane è passato tra le fila dei De Micco o è stato ucciso da questi ultimi per un regolamento di conti interno al clan dei “Bodo”?
Tuttavia, l’ipotesi più accreditata, legata all’omicidio Salzano, sembra essere quella associata a una “voce di popolo” secondo la quale il giovane, stanco e sfiancato dalla latitanza, stesse pensando di compiere l’ultimo e definitivo tradimento, rinnegando la camorra e iniziando a collaborare con la giustizia.
Seppure non vi sia alcun dato certo in grado di confermare che effettivamente Salzano avesse maturato questa decisone, i De Micco non potevano lasciare spazio ad incertezze ed indugi e hanno deciso di intervenire stroncando sul nascere qualsiasi possibile pericolo che avrebbe potuto comportare guai seri per il clan.
I Bodo, in effetti, erano particolarmente allarmati, in quanto, seppure Salzano fosse entrato a far parte del clan da poco tempo, era a conoscenza di recenti fatti che avrebbero potuto sancire il tracollo definitivo dell’organizzazione criminale, proprio nel momento in cui i De Micco erano riusciti a conquistare il controllo totale del quartiere sul versante malavitoso.
La risposta a questa domanda, potrebbe concorrere a far luce sul movente che ha portato alla gambizzazione del giovane Rigotti la notte scorsa e legittima l’introduzione di un’ipotesi: il giovane può aver subito un agguato intimidatorio per inviare un “avvertimento” al padre?