Quella di Vincenzo Veneruso è la storia di un ragazzo di 24 anni come tanti, con un coraggio e una determinazione che appartengono a pochi. Quella di Vincenzo è una vita segnata da una passione: la danza. Una passione alla quale Vincenzo ha dedicato anima e corpo e sulla quale ha puntato tutto, tant’è vero che ha voluto che diventasse il suo lavoro, anche se in Italia, la nazione con la più alta percentuali di cervelli e talenti in fuga, le ambizioni di Vincenzo non hanno trovato una collocazione dignitosa.
“Ho iniziato a studiare danza all’età di 13 anni in una scuola di Portici, – racconta Vincenzo – anche se la passione per la danza risale a molto tempo prima, solo che mio padre, vuoi per un motivo o per un altro, non voleva, ma alla fine si è arreso e il 13 settembre 2006 mi diede quei 20 euro che mi permisero di iscrivermi alla scuola di Danza.
Non c’è un motivo preciso che mi ha spinto a fare danza, volevo solo ballare, desideravo essere un tutt’uno con la musica e per poterlo fare dovevo imparare il suo linguaggio, in tutte le sue declinazioni.
Prima di fare danza, per accontentare mio padre, facevo podistica a livello agonistico e calcio. Un autentico strazio, ogni giorno di calcetto era una vera tortura, mi prendevano in giro per quanto fossi incapace a giocare, per quanto fossi “diverso”, ricordo ancora gli sguardi di disprezzo che mi rivolgevano i ragazzini che giocavano con me. La persona che mi ha spinto a coltivare la mia passione per la danza è stata mia sorella Anna che, ribelle dalla nascita, pensava a come iscrivermi a danza all’insaputa dei miei genitori. E’ stata lei a darmi le prime lezioni di danza, eppure non l’ho mai ringraziata!
Ho frequentato la scuola di Danza di Portici per quasi 3 anni. Sono stati anni difficili, perché fin da subito mi resi conto che il mio fisico non era “adatto” per la danza classica: rigido e poco elastico, basso ed estremamente esile e quindi studiavo tutti i giorni, mi esercitavo a casa, a scuola. Ho letteralmente massacrato il mio corpo. A 15 anni feci l’audizione presso la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli e con mia grande sorpresa, la superai. Una volta lì, mi resi conto di quanto la mia tecnica fosse scarsa, avevo studiato danza solo per 3 anni e mi trovavo con ragazzi che avevano più del doppio (se non il triplo) dei miei anni di studio Accademico e più che benestanti: beneficiavano del supporto delle “mamme taxi”, vestiti con capi firmati dalla testa ai piedi, sempre a smanettare con cellulari ultramoderni e che possedevano tutti i beni materiali che desiderano gli adolescenti, ma io, figlio di nessuno, senza una lira in tasca, non provavo invidia per loro, perchè avevo tutto quello che desideravo: studiare danza nel posto migliore che il mio territorio mi potesse offrire. Mangiavo nell’R2, durante il tragitto per raggiungere il San Carlo, tornavo a casa la sera alle 21, mangiavo e andavo a dormire: questa è stata la mia vita per tutti gli anni in cui ho studiato al San carlo.
In quel periodo ho avuto modo di lavorare con il Corpo di Ballo del Teatro San Carlo in diverse produzioni e ho partecipato presso il Bolshoi Ballet Academy a Mosca al premio “Jia Ruskaja” con le scuole di danza più prestigiose del Mondo, ma soprattutto ho avuto modo di ammirare dal vivo molti dei ballerini che fino a quel momento avevo potuto ammirare solo in video.
Nel Giugno 2015 mi sono diplomato al San Carlo, e poco dopo Michel Odin nella rivista francese “La Danse” mi ha dedicato una recensione meravigliosa. Una volta diplomato, ti ritrovi catapultato nel mondo esterno dove se ti vuoi allenare devi pagare e nel frattempo devi prepararti per le audizioni. Insomma, una volta finita la scuola perdi ogni sorta di garanzia. Carico di aspettative e sogni, iniziai a fare le audizioni in Italia per lavorare nei corpi di ballo. Ho fatto l’audizione all’Arena di Verona, al Teatro San Carlo di Napoli e al Teatro Massimo di Palermo, eravamo sempre gli stessi a presentarci, ero solo un numero che si era aggiunto al gruppo dei ballerini italiani, ma i posti di lavoro disponibili erano sempre gli stessi. Venivo scartato ad ogni audizione, non arrivavo nemmeno a completarle, mi facevano fuori quasi subito. I miei amici dicevano che era normale, che funzionava così! Solo che i miei amici avevano all’incirca 30 anni e io ero un 22enne che non sapeva nè voleva sopprimere le sue ambizioni.”
Vincenzo spiega che il precariato in Italia esiste anche e soprattutto in questa professione, di cui nessuno parla, ma che tutti applaudono con gli occhi pregni di ammirazione e fascino quando si ritrovano ad ammirarne la maestria comodamente seduti in platea. Per i ballerini non esiste il contratto a tempo indeterminato, per lavorare nei principali teatri italiani è necessario superare un’audizione per entrare in una graduatoria che comprende non più di 15-20 posti. Se il ballerino supera questo step, entra a far parte di una sorta di lista e, una volta utilizzati “gli stabili”, ovvero, i ballerini assunti dal teatro, vengono convocate le persone in graduatoria. Per tutti i ballerini classici italiani i posti a disposizione nei teatri sono gli stessi, mentre il numero di ballerini aumenta di anno in anno. Una timida forma di tutela esiste: se un ballerino riesce a lavorare 78 giorni l’anno per 3 anni consecutivi presso lo stesso teatro, quindi superando l’audizione ogni anno, guadagna una buona posizione, conquista “l’articolo 1”, ovvero, una sorta di precedenza in graduatoria.
Non è tutto oro quello che luccica, dunque, e le esperienze amare maturate da Vincenzo in Italia lo confermano: “quando non c’è contratto non c’è guadagno, quindi devi allenarti tu a tue spese. Nei musical ci sono una serie di regole da seguire: in produzioni in cui c’è un personaggio famoso, quello che deve guadagnare e trarre il massimo beneficio dallo spettacolo è solo il “vip” in questione, non i ballerini, anche se hanno studiato per maturare delle competenze, cosa che molti personaggi dello spettacolo non hanno. I ballerini sono un contorno e vengono sottopagati, in media il guadagno è di 50-60 euro a spettacolo, le prove non sono pagate. Se cambia la produzione o il coreografo, i ballerini vengono fatti fuori, senza nessuna forma di tutela.”
Una condizione che disegna una prospettiva lavorativa frustrante per chi ha collezionato sacrifici per conquistare una posizione professionale eccelsa e che inizia a fare a pugni con le ambizioni di Vincenzo che non vuole rischiare che la sua grande occasione arrivi quando gli saranno già spuntati i capelli bianchi, o peggio, attaccare le mezze punte al chiodo, dopo una lunga vita trascorsa a calcare i palchi più quotati d’Italia nel segno degli stenti e della precarietà, con la perenne angoscia di non riuscire a pagare le bollette: “a maggio del 2016 promisi a me stesso che sarei andato via, dopo un’audizione in cui venni scartato subito, nonostante l’applauso di un membro della commissione al termine della mia esibizione. Quel giorno ho capito che in Italia qualcosa non funziona come dovrebbe. Così, a settembre dello stesso anno, è iniziata la mia avventura all’ombra della torre Eiffel. Anche in Francia il sistema per selezionare i ballerini è quello dell’audizione, ma lo stato francese conoscendo la situazione di perenne precariato di questa categoria ha introdotto l’“intermittence du spectacle”: l’aiuto di ritorno al lavoro, ovvero, se per un anno lavori per più di 507 ore, per tutto l’anno successivo, per ogni giorno in cui non lavori, hai diritto a un minimo di 49 euro al giorno. Lo scorso anno, se in un mese facevo 3 spettacoli e lavoravo per 25-28 giorni ed ero “disoccupato solo per 2 giorni”, mi veniva pagato lo stipendio e quei 2 giorni in cui non lavoravo, mi venivano coperti dallo Stato frnacese. Un’utopia in Italia. Anche gli eventi privati in Francia vengono pagati regolarmente, non esiste il lavoro nero, in Italia invece a un ballerino conviene fare più spettacoli, pur rinunciando ai contributi per guadagnare di più. Lo stato francese riconosce la figura del ballerino come mestiere e l’arte come lavoro. In Italia regna una grande indifferenza nei confronti degli artisti, in Francia è stato istituito un regime ad hoc che tiene conto della situazione lavorativa diversa alla quale sono costretti i ballerini che non posso lavorare 12 mesi all’anno, perché sarebbe estremamente logorante per il fisico, ma anche nei periodi in cui si lavora di meno dobbiamo comunque pagare le tasse e l’affitto e vivere come una persone normali. In Francia, se sei inquadrato come ballerino, non puoi fare altri tipi di lavori, ad esempio il ballerino di giorno e il cameriere di sera. Qui in Francia la mia professione è riconosciuta e posso fare solo lavori nell’ambito artistico, perchè lo stato francese mi paga per farmi fare il ballerino.”
Come molto spesso accade, la strada da percorrere all’inizio è in salita per Vincenzo: “L’integrazione non è stata facile, non parlavo il francese ed è stato complicato entrare nel sistema di lavoro e nello stile di ballo francese, qui il concetto di danza è diverso. La solitudine diventa la tua migliore amica, perchè se non parli, non hai amici e se non hai amici, te ne stai da solo a casa. Purtroppo a me è capitato di non essere stato subito capito, sono stato letteralmente martirizzato da coreografi e produttori, poi, un giorno, gli animi si sono surriscaldati e al termini di un’accesa discussione hanno capito che pur di tenermi il lavoro avrei subito e tollerato qualsiasi cosa, perchè quella era la mia grande occasione e non ci avrei rinunciato. Da quel giorno tutto è cambiato.”
Torneresti in Italia?
“Se mi venisse assicurato un guadagno minore, ma con le stesse condizioni di lavoro che ho in Francia, tornerei di corsa. Qui piove, fa freddo, la gente è fredda, si mangia un altro tipo di cibo, distante anni luce dalla nostra cultura culinaria, così come ben diverso è lo stile di vita. Mi manca molto la mia città, ma la mia non è stata una scelta voluta per fare un’esperienza all’estero, ma obbligata. Mi sono ritrovato a 22 anni a fare i lavori più disparati: l’insegnate, il ballerino in giro per i teatri di Roma e Napoli, sono andato a lavorare in una grotta come ballerino a nero e se la produzione un giorno decideva di sbattermi fuori, non potevo più pagare l’affitto. Non mi sento un martire, la mia è stata una presa di coscienza lucida: l‘Italia non cambia e non cambierà ancora, non volevo fare la fame, volevo una vita dignitosa e qui ci sono riuscito. Adesso lavoro in una compagnia che si chiama “Chicos Mambo”, direttore, regista e coreografo è Philippe Lafeuille e lo spettacolo che si chiama “Tutu” porta in scena una vera e propria parodia del ballo, in tuttel e sue sfaccettature. Prossimamente andremo a Cuba in tournée, prossimamente anche in Australia.
Da settembre ad ottobre del 2016, nel giro di un solo mese, la mia vita è cambiata radicalmente: posso permettermi una vacanza, posso progettare di tornare a casa quando voglio, senza preoccuparmi di quanto costa il biglietto dell’aereo e comprare un bel regalo ai miei genitori: tutti cose che prima non potevo fare . Vivo molto più serenamente, perchè quando entri nel giro, ti rendi conto che non è poi così difficile lavorare, una volta che dimostri di essere un ballerino bravo, serio e capace. Tant’è vero che già sono arrivate altre proposte di lavoro e questo mi fa sentire meglio, perché so che non rischio di finire per strada: il mondo è tanto grande e pieno di occasioni di lavoro, perché mi devo rinchiudere nel mio piccolo paese in Italia?”
Hai qualche rimpianto?
“Ho abbandonato l’Università, nonostante avessi la media del 28, pur di fare quello che ho sempre voluto fare: il ballerino. Il mio unico rimpianto è non essere riuscito ancora a laurearmi.”
Cosa vuoi dire ai ballerini italiani che si trovano nella stessa condizione che hai vissuto anche tu, prima di trasferirti in Francia?
“Andate via! Se avete la fortuna di trovare un buon lavoro inquadrato in Italia, allora vale la pena di restare, ma se la situazione diventa ingestibile, non aspettate, approfittate del fatto di essere giovani e pieni di voglia di lavorare. Mio padre, oggi, è il mio primo fan, è orgogliosissimo di me e anche io sono fiero di me. Nessuno mi ha regalato nulla, nemmeno madre natura che mi ha dato un corpo inadatto per ballare, con sacrifici e duro lavoro l’ho modificato, mi sono distrutto le anche e i piedi, non mi sono mai risparmiato e adesso mi sento appagato e gratificato: una soddisfazione, un’emozione che auguro di vivere a tutti i ragazzi che condividono la mia stessa passione per la danza.”
Foto: Chiara Pisani e Federica Capo