San Giuseppe Vesuviano (Napoli), 15 novembre 1995 – Gioacchino Costanzo è un bambino di appena diciotto mesi. Quel giorno, si trovava in auto con il convivente della nonna, un pregiudicato venditore di sigarette di contrabbando. L’uomo si serviva del bambino come “scudo”, era convinto che andandosene in giro con il piccolo, i rivali non avrebbero mai messo in pericolo la sua vita, ma così non fu. Morirono entrambi, per mano di qualcuno senza scrupoli, sotto una pioggia di proiettili.
Gioacchino aveva dei lunghi boccoli biondi, un orecchino al lobo sinistro, due grandi occhi verdi. E’ figlio di un operaio che lavora in Toscana e di una donna minuta, Maria Prosperi che, avendo gli operai in casa per lavori di ristrutturazione, decide di affidarlo momentaneamente a sua madre.
Per questa ragione, il piccolo Gioacchino viene ammazzato come il peggiore dei boss, fulminato da una pallottola che gli squarcia la guancia e gli si conficca nel cervello, uccidendolo all’istante. Alle 10.30 di quella soleggiata mattina di novembre, i suoi grandi occhi verdi rimangono aperti, spalancati e la tutina bianca, si tinge di rosso in un attimo.
Il bambino si trovava insieme a Giuseppe Averaimo, camorrista e compagno della nonna Rosa, anch’egli rimasto ucciso nell’agguato. Quest’ultimo spesso portava il bambino con sé, nella station wagon che parcheggiava al solito incrocio strategico per vendere sigarette di contrabbando.
Nel dicembre del 2002, i killer che uccisero il piccolo Gioacchino Costanzo sono stati condannati all’ergastolo. Il massimo della pena è stato inflitto a Vincenzo Esposito, ritenuto l’esecutore materiale, e a Nicola Mocerino, mentre a 22 anni è stato condannato Saverio Castaldo, componente del commando, il quale ha evitato l’ ergastolo per aver collaborato con la giustizia.