Un mistero che si protrae dallo scorso luglio e che fin qui ha prodotto ingenti danni alla scala 10 dei nuovi edifici di edilizia popolare nei quali vivono le famiglie del “vecchio” Rione De Gasperi di Ponticelli alle quali il Comune di Napoli ha assegnato un nuovo alloggio.
Famiglie ritenute fortunate e privilegiate da chi è rimasto nel “vecchio” Rione De Gasperi. Due rioni, due realtà distinte, ma non distanti, in quanto separate solo da una strada, via Angelo Camillo De Meis. Inferno e paradiso, degrado e riscatto, due facce della stessa medaglia, una di fronte all’altra. Eppure, la perenne vicinanza con quel passato così precario e segnato da quella condizione forzata di disagio imposta dalla fatiscenza di quei palazzi, non basta per ricordare a chi ha avuto la fortuna di fuggire dal rione, quanto sia ambita quella sistemazione e quanto sia importante farne tesoro per migliorare la qualità della propria vita.
Nella scala 10 del nuovo Rione De Gasperi, infatti, è assodato che sia stato assegnato un alloggio a qualcuno che non ha saputo sfruttare positivamente quell’opportunità e da mesi si diverte ad appiccare incendi, provocando considerevoli danni all’edificio e mettendo seriamente a repentaglio la vita degli altri condomini.
Nell’edificio quasi completamente abitato da persone anziane, il “raptus incendiario” dell’inquilino piromane si è manifestato lo scorso luglio, in seguito ad una banale lite condominiale insorta tra donne, scaturita da gelosie, invidie e rancori.
Le scritte, piene di ingiurie ed insulti, apparse sui muri di diversi piani, rivolte ad una delle due protagoniste della lite, che ha denunciato anche un’aggressione che avrebbe subito da parte di un uomo e una donna che non è riuscita ad identificare, i vari raid incendiari che si alternano da mesi e che nelle ultime settimane sono diventati un pericolo all’ordine del giorno: questo è quanto sta accadendo nella scala 10.
Una settimana fa, durante la tarda serata di sabato 4 novembre, il fuoco è divampato in un attimo, gettando nel panico le famiglie che vivono nell’edificio e che si vedevano impossibilitate a fuggire, complici le fiamme che avevano mandato in cortocircuito l’impianto elettrico e le fitte colonne di fumo nero che hanno allarmato anche i condomini degli altri palazzi che si sono riversati in cortile, in attesa dei soccorsi, cercando di aiutare a mettersi in salvo le persone rimaste prigioniere di quell’incubo.
L’ascensore è stato preso di mira più volte: non solo incendiato, l’artefice di questi atti vandalici si è divertito anche a staccare i pulsanti per versare dell’acido prima di appiccare il fuoco. I contatori elettrici sono stati cosparsi di acido, oltre che incendiati.
Gli androni di quasi tutti i piani dell’edificio hanno accolto raid incendiari appiccati con tecniche rudimentali.
Fogli di giornale ammassati ed incendiati, accanto alle pareti e/o dopo aver cosparso il pavimento di acido.
Mentre molti abitanti del palazzo puntano il dito contro una ragazza affetta da problemi psichici e costretta a fare uso di psicofarmaci che vive al quarto piano della suddetta palazzina, gli studi degli esperti in piromania sbugiardano questa tesi e aprono tutt’altri scenari investigativi che trovano riscontro nei dati in possesso dei vigili del fuoco e degli inquirenti che lavorano per far luce sulla vicenda.
Secondo le fonti investigative che indagano per trarre in arresto l’artefice di ripetuti reati di piromania che hanno messo a repentaglio dozzine di vite, la persona che ha appiccato quegli incendi “non può essere definita un piromane, perché quest’ultimo appicca incendi e resta a guardare lo spettacolo, in questo caso siamo davanti ad una figura che secondo studi condotti dall’Fbi americana viene definita “l’incendiario per profitto”: ovvero, una persona che agisce per motivi personali e che studia e definisce accuratamente il suo piano. In genere, opera a tarda sera o il primo mattino ed abbandona la scena il prima possibile” tutte caratteristiche che, in effetti, rispecchiano il modo di agire dell’individuo che da mesi si diverte a seminare terrore tra gli anziani condomini della palazzina.
Inoltre, secondo gli esperti, ad agire è una persona che ha precedenti penali o che è cresciuta in un contesto malavitoso, non a caso, il fuoco è uno dei segnali più utilizzati dalla camorra per intimidire e spaventare.
In effetti, una delle famiglie coinvolte nella lite all’origine di tutto ha un cognome che a Ponticelli è sinonimo di malavita: Cito. Così come ribadito e sottolineato dalle “solite” minacce che una donna appartenente alla suddetta famiglia mi ha rivolto mentre ero sul posto per effettuare delle riprese: “Ti faccio lo strappamento, se ti permetti di fare il nome della famiglia Cito e se scrivi che c’è la camorra di mezzo”, questo è quanto, in sintesi e tradotto in italiano, quella donna, identificata come “Mariarca”, ha urlato dal citofono quando le è stata segnalata la mia presenza all’esterno del palazzo.
Proprio la presenza all’interno del palazzo di componenti della famiglia Cito, finita nel mirino del clan De Micco quando “l’aspirante boss” Emanuele Cito – attualmente detenuto in carcere – ha cercato di fondare un’organizzazione criminale tutta sua, unitamente a un parente dei Sarno, poteva lasciare spazio alla pista della vendetta a sfondo camorristico, ma tutti i condomini e anche gli inquirenti concordano su un aspetto: non c’è la firma della camorra su quegli incendi, è una “questione interna”. Gli inquirenti spiegano che la camorra si avvale di espedienti ben più espliciti: “basta ricordare l’incendio appiccato alla porta di casa della madre del collaboratore di giustizia Raffaele Cirella, nell’ambito della “vendetta contro i parenti dei pentiti dei Sarno”. La camorra lancia messaggi molto più espliciti, qui siamo davanti a una situazione completamente diversa.”
Sulla stessa lunghezza d’onda i vigili del fuoco che specificano quanto segue: “Una persona ignorante in materia e che a differenza del piromane non si forma una cultura, non sa che anche quando vengono appiccati gli incendi, esattamente come accade quando si commette un omicidio, si lasciano delle tracce. Nel caso di questi incendi seriali, abbiamo ragione di credere che le persone coinvolte nell’azione siano almeno due, ovvero, mentre una appicca il fuoco, l’altra fa la guardia e se vedesse arrivare qualcuno, quel qualcuno non noterebbe niente di strano, se non due persone che vivono in quel palazzo e che chiacchierano del più e del meno, per assurdo, si metterebbero forse a commentare l’accaduto proprio per allontanare i sospetti. Si tratta di due persone molto affiatate, quindi due parenti o due amiche che si fidano l’una dell’altra e che non si tradirebbero mai.
Un meccanismo di difesa che si attiva automaticamente in questi casi, per allontanare i sospetti è quello di accusare altre persone e arrivare perfino a sporgere denunce e riferire di aver visto altri in atteggiamenti sospetti prima di qualche episodio incendiario.“
Il movente che emerge dalle indagini al vaglio degli inquirenti è il seguente: “Per raggiungere uno scopo personale, due o più persone hanno deciso di allearsi per mettere a segno una sequenza di eventi incendiari, forti del fatto che potessero beneficiare dell’alibi fornito dalla presenza di una persona affetta da problemi psichici all’interno dello stesso edificio, ma possiamo escludere con certezza che quella ragazza è completamente estranea ai fatti.
Cogliamo l’occasione per invitare le persone autrici di questi incendi dolosi a costituirsi per alleggerire la loro posizione davanti alla legge. Il codice penale non prevede sconti per chi si rende autore di simili crimini, soprattutto se mettono a repentaglio l’incolumità di terze persone, non solo per il pericolo rappresentato dal fuoco, ma anche per i fumi che le stesse sono costrette a respirare: si rischia di trascorrere un bel po’ di anni in carcere e faremo in modo di assicurare a breve alla giustizia le persone responsabili di questi incresciosi episodi nella scala 10 del nuovo Rione De Gasperi. Sappiamo per certo che tra gli inquilini del palazzo ci sono persone che hanno assistito agli incendi o che possiedono informazioni preziose per incastrare “la coppia” o “la famiglia” responsabile e sicuramente non collaborano per paura, forti del vincolo di parentela di queste ultime con esponenti della malavita locale, ma ricordiamo anche a loro che il favoreggiamento è un reato e che coprire le malefatte di questi criminali vuol dire rischiare di morire, se il prossimo incendio che appiccheranno non verrà spento in tempo.”