Quella di Olid Sardar, è una storia che nasce in Bangladesh e rifiorisce in Italia. E’ la storia di un ragazzo che all’età di 16 anni ha lasciato il suo Paese e la sua famiglia per avventurarsi nella ricerca di un futuro migliore.
E’ un ragazzo come tanti, Olid, un po’ “strano” agli occhi dei suoi coetanei napoletani, perché parla sempre a voce bassa e non mangia il maiale, perché la sua religione glielo vieta e se, a sua insaputa, involontariamente qualcuno glielo serve in tavola, allora depura il suo corpo dal peccato praticando il digiuno per due giorni.
Olid, oggi, ha 18 anni, a gennaio del 2015 è iniziata la sua vita italiana, al culmine di un viaggio pieno di tappe e difficoltà.
Partito dal Bangladesh è giunto in India in treno, dopo 3-4 giorni è ripartito in pullman verso il Pakistan. Lì ha trascorso circa 3 giorni in una casa dove venivano raccolte le persone che dovevano affrontare “il viaggio”. Olid arriva a condividere quella stanza con 30-40 persone. Dopodichè, un pullman lo conduce in Afghanistan, poi con una piccola automobile arriva in Turchia.
Dopo una settimana, inizia l’ultimo step di un viaggio durato all’incirca un mese e Olid sale su una nave diretta al porto di Bari: “Era una nave grande”, precisa Olid.
Una nave che approda su una spiaggia del capoluogo pugliese, lontano dai controlli della polizia.
“Ho trascorso un paio di giorni a Bari, non conoscevo nessuno. Fui avvicinato da una persona che mi convinse che in Italia per vivere meglio dovevo venire a Napoli”: inizia così l’avventura all’ombra del Vesuvio di Olid.
Dopo un primo periodo trascorso a Napoli, si è trasferito nella casa famiglia dei Salesiani a Torre Annunziata.
Quali sono i ricordi più brutti che hai del viaggio?
“La difficoltà di comunicare quando le persone che avevo intorno parlavano delle lingue che non conoscevo: l’indiano e il pakistano li parlavo, ma l’afgano no, quindi avevo paura che potessero dirsi cose che era meglio che sentissi e sapessi anche io. Negli altri paesi, durante i giorni d’attesa prima di ripartire, potevo uscire, mentre in Afghanistan sono stato costretto a rimanere in casa per tutto il tempo, per i problemi di Stato che ci sono lì, oltre che per la guerra. Ho avuto un po’ paura perché non ero mai andato via di casa, sono sempre stato accanto ai miei genitori.”
Perché hai deciso di partire?
“Mia madre fa la casalinga, mio padre è un contadino, sono il primogenito di quattro figli. E’ stata una scelta condivisa con i miei genitori, dopo la mia bocciatura, non mi ero molto applicato nello studio. Quindi, i miei genitori hanno deciso di pagarmi il viaggio per l’Italia. Un viaggio costato più di 4.000 euro, perché mia madre sapeva che in Libia c’era la guerra e quindi ha pagato di più per non espormi a quel pericolo e mettermi in condizione di affrontare un tragitto più sicuro.”
C’è stato un momento in cui hai pensato di non riuscire ad arrivare in Italia?
“Non avevo questa paura, perché mia madre ha pagato delle persone che conoscono suo fratello. Quella persona ha preso i soldi, mentre un’altra ha organizzato il viaggio. Ho avuto paura solo in Afghanistan, dove sono rimasto chiuso in una stanza per una settimana. Sulla nave c’erano persone che parlavano bengalese o inglese e ci facevamo forza a vicenda.”
Mentre, invece, quando sei arrivato in Italia, hai mai avuto paura?
“Solo quando i responsabili della comunità mi ha portato dalla polizia per regolarizzare la mia posizione, perché ho temuto che dicessero che non ero a posto con i documenti e mi rispedissero al mio Paese.”
Sei stato vittima di episodi di razzismo?
“Si. Prima di trasferirmi a Torre Annunziata, quando vivevo nei pressi della stazione Centrale di Napoli. Il pomeriggio, quando mi recavo in moschea a pregare, venivo preso di mira dai ragazzini. Si trattava di un gruppo di bambini piccoli, di 10-11 anni, non di più, mi insultavano per il colore della pelle, anche in presenza delle loro madri. Mi davano pugni e schiaffi, a turno. E le madri non dicevano niente.
Mentre una mattina, mentre stavo andando a scuola, sono stato avvicinato da tre ragazzi in motorino che mi hanno circondato. Parlavano in napoletano e non capivo cosa si dicessero. Mi misero le mani addosso, allora ho capito che cercavano soldi e il cellulare, volevano rapinarmi. Istintivamente ho spinto il ragazzo che stava cercando di derubarmi e sono fuggito. Non mi ero accorto che mi avevano accoltellato ad una spalla. Dopo una decina di minuti, toccandomi la spalla, ho sentito che le dita erano appiccicose: erano sporche di sangue. Tirando su la maglietta, vidi “il buco” dal quale usciva il sangue.”
Olid mostra la cicatrice che quel brutto episodio gli ha scolpito sulla pelle e racconta la paura che ritorna a galla tutte le volte che, mentre cammina per strada, sente il rumore di uno scooter che si avvicina.
Ad agosto del 2016, arriva la svolta nella vita di Olid, una svolta che si chiama “Pizzeria Lucignolo dei Fratelli Prisco”. Un locale avviato, frequentato e molto noto a Boscotrecase: “Quell’estate, mentre ero ad Agropoli con la casa-famiglia dei Salesiani, uno dei responsabili fu contattato telefonicamente da Giacomo Prisco della Pizzeria Lucignolo di Boscotrecase. Giacomo stava cercando una persona da assumere e quando mi fu chiesto se me la sentivo di andare a lavorare da loro, non mi feci sfuggire quell’opportunità: abbandonai subito la vacanza per tornare a Torre Annunziata e cogliere al volo quell’occasione.”
Inizia ad agosto del 2016 la nuova vita di Olid, accolto dalla famiglia Prisco che lo tratta come un figlio e gli permette di costruirsi un futuro. I sacrifici e i sogni di Olid prendono così materialmente forma, anche se l’incarico che gli viene assegnato inizialmente gli sta sempre più stretto.
“Quando ero in Bangladesh aiutavo mia madre in cucina, mi è sempre piaciuto tanto cucinare. All’inizio, lavoravo come aiuto cuoco, ma seppure fossi grato alla famiglia Prisco per quell’opportunità, sentivo che quello non era il mio posto.” Così, Olid, mostrando un coraggio tutt’altro che scontato, va dritto al problema e mette la famiglia Prisco davanti a un bivio: “se non posso lavorare come aiuto pizzaiolo accanto a Giovanni, vado via.”
Una presa di posizione ferma e decisa che il giovane pizzaiolo di casa Prisco ha voluto premiare, per quanto è rimasto positivamente impressionato da quella forte determinazione manifestata da Olid e che rappresenta l’arma principale da impugnare per raggiungere degli obiettivi nella vita.
Iniziano così un nuovo lavoro e una nuova vita per Olid e per tutto lo staff della pizzeria Prisco. Olid lavora gomito a gomito con Giovanni Prisco, giovane e talentuoso pizzaiolo napoletano che insegna al 18enne bengalese tutto quello che c’è da sapere sull’antica arte dell’oro bianco. Olid studia e fa suoi i movimenti di Giovanni, oltre che i consigli e le indicazioni e affina una tecnica che lo porta a sviluppare dimestichezza e padronanza del mestiere, attingendo esperienza dall’intramontabile principio “sbagliando s’impara”, come dimostrano le bruciature rimediate per aver impugnato la pala per infornare le pizze nel modo sbagliato.
“Giovanni mi ha aiutato e mi aiuta a fare tutto: a leggere e scrivere in italiano, anche se capita ancora che qualche volta sbaglio a leggere le comande e faccio la pizza sbagliata! Non posso che ringraziare Giacomo per l’opportunità che mi ha dato, se quel giorno non avesse chiamato il suo amico in comunità non li avrei mai incontrati. Non è da tutti avere la sensibilità di pensare di aiutare dei ragazzi come me offrendogli un lavoro. Ringrazio allo stesso modo Giovanni e i loro genitori che mi trattano come un fratello piccolo.
Sono circondato da brave persone che mi fanno sentire un membro della famiglia. Usciamo insieme, trascorriamo anche il tempo libero insieme e mi aiutano a risolvere i problemi, mi aiutano in tutti i modi, anche adesso mi stanno dando una mano a trovare casa, perché devo lasciare la casa-famiglia.”
Come comunichi con la tua famiglia?
“Ci sentiamo al telefono circa 3 volte in una settimana. L’ultima videochiamata risale a 6 mesi fa, purtroppo in Bangladesh la copertura internet è scarsa.
Mi manca molto la mia famiglia, anche perché siamo cresciuti uniti e legati, l’unico aspetto triste della mia vita in Italia è questo. Anche se qui ho trovato degli amici che per me sono come una famiglia e questo mi aiuta a sentire di meno la loro mancanza. Quando resto solo, di notte, nel letto e anche il lunedì che è il mio giorno di riposo, perché il locale è chiuso, non voglio mai restare solo perché avverto di più la loro mancanza. Divento molto triste quando sono solo. Gli unici giorni tristi che ho vissuto in Italia sono quelli in cui sono solo.”
Come immagini il tuo futuro?
“Non riesco a immaginarlo, sto aspettando il permesso di soggiorno definitivo, al momento ho solo quello per lavorare, quando sarò un cittadino italiano, deciderò cosa vorrò fare. Posso dire con certezza che la prima cosa che farò sarà andare a casa a riabbracciare la mia famiglia, perché so che poi potrò ritornare senza problemi e difficoltà in Italia. Il lavoro dei miei sogni è questo: voglio fare il pizzaiolo.”