La Corte di assise di appello di Napoli, in secondo appello, evita l’ergastolo per due boss di Ercolano. 30 anni a Pietro Papale e 20 a Ciro Montella: questa la pena inflitta ai mandanti dell’omicidio del 26enne Giorgio Battaglia, ucciso durante la faida tra il clan Ascione- Papale da un lato ed il clan Birra dall’altro. Un agguato maturato in pieno giorno, alle 15, in Piazza Pugliano ad Ercolano nel marzo del 2009, voluto per replicare all’omicidio di Salvatore Oliviero, un uomo del clan Ascione-Papale freddato nel 2001 davanti al “King Bar” di via Panoramica ad Ercolano. Esecutore materiale di questo omicidio fu proprio Battaglia, andato incontro ad analoga sorte, 8 anni dopo, per volere del clan rivale.
In primo grado per i due imputati, la direzione distrettuale antimafia aveva invocato l’ergastolo, ma nel maggio del 2016, il Giudice dell’udienza preliminare – dott. Rosa de Ruggiero – ritenne di condannare all’ergastolo solo Montella, assolvendo a sorpresa Papale, in accoglimento delle argomentazioni formulate dall’avvocato Dario Vannetiello.
Ragion per cui, l’accusa propose appello, impugnazione che è stata oggi condivisa dalla Corte di assise di appello, seppur la condanna inflitta al Papale è stata quella di trenta anni di reclusione, diversa da quella dell’ergastolo richiesta in primo grado dalla Procura Antimafia.
Mentre venti anni di reclusione sono stati inflitti a Ciro Montella il quale, difeso dall’avvocato Giuseppe Ricciulli, è stato ritenuto meritevole delle attenuanti generiche alla luce della recente confessione del delitto da lui effettuata lo scorso 26 ottobre.
Niente “fine pena mai”, quindi, per i due boss seppur condannati per omicidio con la aggravante mafiosa, ergastolo evitato anche grazie alle esclusioni, decise dalla Corte di assise di appello, sia dell’aggravante dei motivi abietti e futili inizialmente contestata, sia della clandestinità dell’arma utilizzata per l’omicidio.
I due boss evitano, dunque, l’ergastolo, atteso che in futuro potranno cumulare la pena inflitta per tale omicidio con altre condanne già divenute irrevocabili a loro carico, con il rilevante effetto che la pena totale comunque non potrà mai superare in totale gli anni 30 di reclusione.
In ogni caso, per Pietro Papale si tratta ancora di un processo tutto da giocare innanzi alla Corte di cassazione, sia perché costui non ha confessato, sia perché comunque vi sono state due decisioni difformi tra primo e secondo grado di giudizio.
Ma vi è una ulteriore circostanza che di fatto fa ritenere ancora incerta la condanna inflitta a Papale.
Infatti, laddove, come già invocato con fermezza e con penetranti ragioni giuridiche dall’avvocato Dario Vannetiello, verrà dalla Corte Costituzionale in futuro dichiarata l’illegittimità della nuova norma, l’ art. 603 co. 3 bis del codice di procedura penale (che ha consentito, successivamente alla assoluzione dell’imputato in sede di giudizio abbreviato, alla Procura Generale di esaminare durante il giudizio di secondo grado i pentiti Gaudino Ciro, Esposito Gaetano ed Esposito Andrea), l’annullamento della sentenza di condanna di Papale appare quasi inevitabile, con conseguente definitiva assoluzione di costui.
La battaglia giuridica portata avanti dalla difesa del boss Pietro Papale continua e pare proprio non destinata a fermarsi, ove la prima, ma non l’unica, mossa dell’avvocato Dario Vannetiello sarà senz’altro quella di proporre ricorso per cassazione non appena saranno note le motivazioni della sentenza di appello.
Vi è un’unica certezza: i due boss hanno evitato l’ergastolo; il resto è ancora da scrivere.