Il 5 settembre del 2010, ad Acciaroli, frazione del comune di Pollica, veniva ucciso il sindaco Angelo Vassallo, mentre percorreva la strada che lo riconduceva a casa, a bordo della sua auto. Lungo il suo cammino incontrò un killer che gli esplose contro nove colpi di pistola, sparati a distanza ravvicinata e con efferata ferocia. Un omicidio che risuonò come un fulmine a ciel sereno tra colline e coste del quieto comune cilentano e che ha irreversibilmente segnato la coscienza della comunità di cui Vassallo era primo cittadino.
Un delitto avvolto nel mistero, fin dalle prime battute, non solo per il fatto che Vassallo fosse idolatrato dai suoi concittadini, complice quel passato da pescatore che gli conferì quella austera umiltà che seppe conservare anche quando conquistò la fascia tricolore.
Grazie al suo operato e per merito della sua politica, Acciaroli, frazione balneare del suo comune, è diventata un autentico fiore all’occhiello del turismo cilentano. Una politica incentrata sul rispetto e la prioritaria attenzione ai temi ambientali e sul fermo ostruzionismo dei tentativi di speculazione edilizia e, infine, in seguito all’indomabile decollo al quale andò incontro la movida durante quella che fu la sua ultima estate, anche volta al contrasto dello spaccio di droga.
Durante quell’estate, il contrasto dell’attività di spaccio fu il vero cruccio di Vassallo: inutili e inascoltate le continue ed incessanti richieste al comando di Salerno, affinchè inviassero pattuglie aggiuntive volte a rafforzare i controlli lungo le coste acciarolesi, seppur consapevole di non disporre dell’autorità necessaria per fermare gli spacciatori, in più di una circostanza, Vassallo si parò contro questi ultimi, sfidandoli a muso duro e per tutta l’estate fece scintille con Bruno Umberto Damiani, detto “il brasiliano”, allo stato attuale, unico indagato per l’omicidio di Vassallo e a capo della piazza di spaccio più quotata di Acciaroli, durante quell’estate. Proprio Damiani, in più circostanze, minacciò di morte il sindaco di Pollica e sfoggiava una condotta volta a palesare il disprezzo e il diniego delle regole imposte dall’amministrazione Vassallo: scorrazzava a bordo della sua imponente moto nelle aree pedonali e per giunta senza casco, così che potesse essere facilmente riconoscibile nei filmati del sistema di sorveglianza che attenzionano la strada.
Per questa ragione, fin dall’inizio, gli inquirenti hanno collocato al centro della scena Bruno Umberto Damiani, considerato implicato nel traffico di droga, seppure l’esame dello stub al quale fu sottoposto, diede esito negativo. Dopodichè “il brasiliano” volò in Colombia e proprio questa condotta è, ad avviso degli inquirenti, una delle principali prove del suo coinvolgimento nell’omicidio.
Un delitto maturato per mettere a tacere il primo cittadino di Pollica, per fare in modo che non rivelasse quella verità “scomoda” che aveva scoperto, suo malgrado, come aveva rivelato alle persone che gli erano vicine, durante quelli che, oggi, sappiamo essere stati i suoi ultimi giorni di vita: «Ho scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire» aveva confidato lo stesso Vassallo a qualche amico di cui si fidava, ma non ha riferito dettagli più precisi, né tra i suoi documenti personali, gli inquirenti hanno rinvenuto qualche elemento utile ad orientare verso qualche direzione quella frase.
Una verità che potrebbe incastonarsi nel traffico internazionale di droga che dalla Calabria giungeva fino al basso Lazio, trasportando gli stupefacenti nelle cassette del pesce. Un business che portava la firma della ‘ndrangheta calabrese e che è emerso in seguito alla cattura del boss Franco Muto, classe 1940, indicato dalla magistratura come uno dei dieci boss più potenti della ‘ndrangheta, detto anche Ciccio “ù luongu”, conosciuto negli ambienti come il “Re del pesce”. Un appellativo che gli deriva dal monopolio della gestione, per oltre 30anni, del traffico e del commercio del pesce che veniva smistato dal porto di Cetraro e distribuito da Amantea (Cs) a Lagonegro (Pz) e lungo la costa tirrenica cosentina e del basso Cilento.
Vassallo, suo malgrado, era a capo di un comune dove, fin dagli anni ’90, era consolidata l’alleanza tra la ‘ndrangheta calabrese, capeggiata dai Muto, e la camorra napoletana, personificata dal clan Mazzarella di San Giovanni a Teduccio e che in seguito al declino di questi ultimi, per merito di omicidi ed arresti, unitamente al soggiorno forzato di Muto nella zona di Sala Consilina, vide il controllo degli affari illeciti nella zona del Cilento, passare nelle mani dei clan di Torre del Greco e Secondigliano. Un business che non si limita allo spaccio di droga, ma che vede la camorra affondare le mani anche nei ranghi dell’imprenditoria locale, rilevando attività commerciali, abilmente intestate a prestanomi.
Del resto, il business della droga traghettata sulle coste cilentane attraverso le cassette del pesce è stato sgominato anche e soprattutto grazie ad una denuncia che Vassallo firmò nel corso dell’estate del 2010 e che ha indicato la strada da seguire agli inquirenti.
Potrebbe essere la scoperta di quella prova tangibile del sodalizio criminale tra ‘ndrangheta e camorra, “la verità scomoda” di cui Vassallo fece parola con le persone a lui vicine? E quella denuncia potrebbe aver sancito la condanna a morte del sindaco-pescatore?
L’unica cosa certa è che la sera del 5 settembre 2010, Vassallo si era allontanato improvvisamente, come se avesse un appuntamento e non aveva imboccato la strada che era solito percorrere per rincasare. In verità, negli ultimi tempi, Vassallo cercò di “cambiare le sue abitudini”, non percorreva le strade abituali, come se non volesse dare riferimenti spazio-temporali utili a qualcuno.
Quel qualcuno che, probabilmente, era ad attenderlo, quella sera, lungo quella strada, poco distante dalla sua abitazione.
E’ morto così Angelo Vassallo: seduto al volante della sua Audi, a poche centinaia di metri da casa. Aveva il finestrino del lato guida abbassato, il freno a mano tirato e il cellulare ancora in pugno.
Segnali che lasciano presagire che Vassallo conosceva chi si è poi rivelato il suo omicida e si è fermato per interloquire con lui. Non ha rilevato in quella presenza una minaccia e questo infittisce il mistero intorno alla sua morte.
La scena del crimine, inspiegabilmente, viene occultata da dozzine di persone che si recano sul posto e toccano la vettura, fumano, gettando le cicche delle sigarette ovunque, inquinando, seppur involontariamente, il reperimento di prove utili alla rapida ricostruzione della dinamica dell’omicidio. Solo dopo diverse ore, gli inquirenti giungeranno sulla scena del crimine per svolgere i rilievi di prassi. Un ritardo, tanto sospetto quanto colpevole, che appare il primo grave handicap destinato a compromettere il buon esito delle indagini.
Anomalia alla quale si addiziona quella che segna la condotta del colonnello Caiazzo e del suo collaboratore Luigi Molaro che conducono le indagini esibendo un’autonoma ed irrituale condotta, acquisendo fra l’altro le immagini di una telecamera collocata in un negozio sul porto di Acciaroli.
Questi comportamenti, uniti ai rapporti di amicizia tra l’ufficiale e i fratelli Palladino, noti e facoltosi imprenditori di Acciaroli, avevano dato adito a dubbi, accuse e sospetti. Tant’è vero che, per prassi, i due vengono iscritti nel registro degli indagati, ma testimonianze, intercettazioni telefoniche e ambientali, indagini telematiche e bancarie non hanno consentito di ottenere riscontri né conferme. I due vengono scagionati da ogni accusa.
A figurare nel registro degli indagati, fino a pochi giorni fa, era solo il nome di Damiani che, una volta espletata la pratica dell’estradizione, durante un lungo interrogatorio ha perfino negato di conoscere Vassallo, mentre ha asserito di essere un buon amico di quello che un tempo era il fidanzato della figlia del sindaco ucciso.
Qualche giorno fa, secondo quanto trapela da alcuni quotidiani locali, dai risultati di alcuni esami effettuati dalla Procura, sarebbe stato isolato il Dna appartenente all’autore dell’omicidio di Vassallo.
A ridosso dell’alba del settimo anniversario dell’omicidio del sindaco di Pollica, dunque, gli inquirenti sarebbero giunti alla svolta risolutiva, proprio quando, apparentemente, le indagini sembravano convergere verso un punto morto e la ricerca della verità compromessa.
Secondo le indiscrezioni trapelate, vi sarebbe più di un soggetto attenzionato.
Nei giorni scorsi la Procura di Salerno ha affidato ai carabinieri del Ris l’incarico di effettuare il test del Dna su 94 persone, fra abitanti di Acciaroli (frazione di Pollica), conoscenti del primo cittadino e altri, compreso chi ha posseduto, anche legalmente, una pistola compatibile con la calibro 9 baby Tanfoglio utilizzata per l’omicidio e mai ritrovata.
Proprio dai risultati del test del Dna sarebbe stato isolato quello appartenente all’autore dell’omicidio del sindaco di Pollica.
Le indagini, al momento, proseguono nel massimo riserbo. Tuttavia è trapelato che il cerchio si sia stretto intorno a poche persone che operano proprio nell’area circostante Pollica e che a breve saranno ascoltate dalle forze dell’ordine.
Intanto, anche quest’anno, a Pollica, dal 3 al 5 settembre, i ragazzi di Libera Bologna hanno promosso una serie di eventi ed iniziative per ricordare il sindaco pescatore nei giorni in cui si celebrerà il settimo anniversario della sua scomparsa.
Installazione di targhe commemorative, proiezioni di filmati, presentazioni di libri, dibattiti e la consueta fiaccolata che avrà luogo dopo la messa commemorativa e che dalla chiesa di Acciaroli giungerà fino al luogo in cui è stato ucciso Angelo Vassallo, dove verrà installata una targa commemorativa.
Anche quest’anno, invece, l’associazione “Angelo Vassallo sindaco-pescatore”, istituita da Dario, fratello del sindaco di Pollica, ricorderà Angelo lontano da Pollica. La settima cerimonia commemorativa indetta dall’associazione insorta in memoria di Vassallo e degli ideali politici da lui promossi ed osservati, avrà luogo a Rosolina, in provincia di Rovigo.