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Video – Il tributo del mondo neomelodico a Speziale e alla malavita

Luciana Esposito di Luciana Esposito
14 Agosto, 2017
in In evidenza, News
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2a17831b72fa5beb2ea4d1d4495621d8_mgzoomIl 3 maggio 2014 la più cieca e becera forma di violenza ha scritto una delle pagine più feroci della storia del calcio italiano: poche ore prima del fischio d’inizio della partita di calcio valida per la designazione della Coppa Italia, tra Napoli e Fiorentina, all’esterno dello Stadio Olimpico – l’impianto sportivo nel quale si disputava l’incontro – un giovane tifoso napoletano viene raggiunto da un colpo d’arma da fuoco, esploso da un ex ultrà romanista, già noto alle forze dell’ordine e che, pertanto, non avrebbe dovuto trovarsi lì, in quel luogo, a quell’ora, proprio quel giorno. Le ferite riportate da Ciro Esposito in quei concitati momenti si rivelano mortali, dopo 52 giorni di agonia trascorsi in un letto dell’ospedale Gemelli di Roma. Altri due tifosi napoletani vengono feriti in maniera più lieve dai colpi di pistola esplosi da Daniele De Santis: Gennaro Fioretti ad una spalla, Alfonso Esposito ad una mano, mentre l’ultrà romanista viene brutalmente pesato da un gruppo di tifosi napoletani.

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Quello che è accaduto all’interno dello stadio, invece, è stato documentato dai media di tutto il mondo: il capo-ultrà del Napoli, Gennaro De Tommaso, soprannominato “Genny ‘a carogna”, inscena una fantomatica “trattativa” con il capitano del Napoli Marek Hamsik ed alcuni esponenti federali, nel volersi accertare che il giovane Ciro Esposito fosse ancora in vita, diversamente, secondo i supporters partenopei, non avrebbe avuto senso disputare quell’incontro. A finire nel mirino dei media di tutto il mondo è soprattutto la scritta gialla che spicca sula t-shirt nera indossata da De Tommaso: “Speziale Libero”.

Antonino Speziale è un giovane giocatore di rugby, proveniente da una famiglia di operai (padre operaio, madre casalinga), incensurato, accusato di essere il responsabile della morte dell’ispettore capo di polizia Filippo Raciti, maturata nell’ambito degli “scontri di Catania”: episodi di guerriglia urbana scoppiati il 2 febbraio 2007 a Catania tra le forze dell’ordine e un gruppo di circa 250 ultras catanesi, al termine dell’incontro di calcio tra la squadra locale e il Palermo.

La causa della morte di Raciti  fu la rottura del fegato causata da un corpo contundente. Vani furono i soccorsi ed il ricovero immediato all’Ospedale “Garibaldi”: l’uomo morì dopo tre quarti d’ora di agonia, per arresto cardiaco.

Una dinamica compatibile con la prima confessione rilasciata da Speziale dopo il fermo. Il giovane, che all’epoca dei fatti aveva 17 anni, confessò di avere partecipato allo scontro con la polizia e di avere “colpito un agente con una sbarra di ferro spingendolo a mo’ di ariete”.

Gli esponenti delle tifoserie organizzate di tutta Italia hanno sempre perorato la causa dell’ultrà catanese, urlando a gran voce la sua innocenza, ma in un contesto concitato come la finale di Coppa Italia disputatasi a Roma nel maggio del 2014, quella scritta, su quella t-shirt, indossata da quell’ultrà, scatenò un’autentica polemica, culminata in un pesante daspo a carico del De Tommaso che, di recente, è balzato nuovamente agli onori della cronaca, in quanto risultato a capo di un traffico internazionale di stupefacenti.

Seppure artefici di reati conclamati ed efferati, gli ultrà vengono considerati “dei martiri” in balia degli emissari dello Stato e diventano degli “eroi” quando raggirano le regole o “infliggono una lezione” agli uomini in divisa, ai tutori delle leggi di uno Stato che agli occhi di chi delinque appare il nemico numero uno da osteggiare.

Mentre, forti del medesimo principio, gli ultrà romanisti e gli esponenti della medesima categoria di altre città che sposano quelle ideologie violente ed estremiste, esultano per la riduzione di pena a carico di Daniele De Santis per l’omicidio di Ciro Esposito, tra le mura di Catania il verbo della violenza contro “i servi dello Stato” trova spazio tra le note di uno spartito musicale.

Ancora una volta, il cantante neomelodico Niko Pandetta sposa e spalleggia ideologie malavitose: il cantante catanese, già noto alle forze dell’ordine, è solito dedicare canzoni a “zio Turi”, il boss mafioso Salvatore Cappello, attualmente detenuto al 41 bis. In verità, fonti vicine al cantante rivelano che sia proprio “Zio Turi” dal carcere a servirsi del giovane per comunicare con il mondo esterno, attraverso le sue canzoni, inviando così messaggi di affiliazione che inneggiano all’omertà e all’onore che condannano aspramente “i pentiti”, quindi la scelta di collaborare con la giustizia, rinnegando il sistema mafioso.  A rafforzare la credibilità e la “reputazione” di Pandetta nell’ambito del connubio “neomelodico-malavita” contribuiscono anche le featuring e “i live” improvvisati sui social in compagnia di cantanti neomelodici partenopei notoriamente vicini ai contesti camorristici e che con estrema disinvoltura interpretano brani che inneggiano alla camorra e che spaziano dall’esaltazione della figura del boss alla narrazione delle “pene” della latitanza, fino alla dura condanna verso “i pentiti”.

I testi di Pandetta sono un autentico tributo alla malavita, ma in uno dei videoclip pubblicati di recente, il cantante si è spinto ben oltre: “Simme nuje”, questo il titolo del brano che elogia, racconta ed esalta la vita dei ragazzi di strada che crescono nel rispetto delle regole della malavita, nel quale, in più frangenti, alle spalle del cantante, appare proprio quella scritta, riprodotta a caratteri cubitali: “Speziale Libero”.

La reazione degli “adepti” di Pandetta e del “sistema” è facilmente prevedibile, basta spulciare i messaggi in coda al video su youtube per rendersi conto di quanto sia esaltante per “i martiri dello Stato” la visione di quel graffito: “Speziale e Genny – Gennaro De Tommaso – liberi”, “libertà per gli ultrà”, “verità per gli ultrà”.

Il dato che risalta all’occhio è un paradosso, l’ennesimo, inverosimile e clamoroso che non di rado si fa spazio tra le pagine della politica italiana: a Gennaro De Tommaso viene inflitto un daspo per una frase che ha innescato un autentico calderone mediatico, in quanto ritenuta istigatrice di odio e violenza, riportata sulla t-shirt che indossava a favore di telecamera, ma non si provvede a censurare un video che ha già collezionato quasi 2 milioni di visualizzazioni, in cui troneggia la medesima frase, con l’aggravante che viene inserita in un contesto in cui si inneggia apertamente alla malavita.

 

 

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