Irruento lo scatto d’orgoglio dei ponticellesi che da giorni affannano a prendere le distanze dall’efferato omicidio compiuto da Ciro Guarente, il 35enne impiegato civile della marina militare che ha ucciso e fatto a pezzi il corpo del 25enne Vincenzo Ruggiero per poi occultarne i resti all’interno di un garage preso in affitto proprio tra i degradati palazzoni del rione “Lotto 10” di Ponticelli che, all’occorrenza, si tramuta in “L’otto 10″ nei tag e nel gergo da utilizzare sui social.
Un delitto che non si consuma tra le mura del quartiere, costantemente noto per vicende di cronaca ed efferati delitti di camorra che, ad onor del vero, raramente hanno palesato la stessa ferocia che il 35enne ha riversato sul corpo di quello che credeva essere l’amante della sua compagna, la transessuale Heven Grimaldi, ma questo non sottrae né aggiunge nulla alla realtà dei fatti. Su entrambi i fronti.
Perché Guarente ha scelto di occultare i resti del giovane che aveva fatto a pezzi, nel rione popolare in cui vive la sua famiglia, seppure lui, non abiti più lì da anni?
Per quanto i ponticellesi fatichino ad ammetterlo, è innegabile che Guarente, tra le mura di uno dei tanti rioni-bunker, ha individuato l’alibi di ferro per provare quantomeno a farla franca.
A distanza di tempo dall’omicidio, sarebbe stato difficile percorrere rapidamente la pista investigativa che portava dritto tra le braccia del 35enne impiegato civile della marina militare. In prima battuta, gli inquirenti avrebbero dato priorità all’omicidio di stampo camorristico e probabilmente non a caso Ruggiero ha trucidato quel corpo con “modalità mafiose”, come hanno asserito gli inquirenti, forse proprio per simulare un delitto di camorra.
Non sarebbe né il primo né l’ultimo corpo disciolto nell’acido o cementificato, rinvenuto a distanza di tempo, tra i relitti di quel quartiere sempre più degradato. Basta ricordare i cadaveri rinvenuti durante i lavori che hanno portato alla nascita dell’Ospedale del Mare, per comprendere che Guarente intendeva beneficiare dell’escamotage involontariamente fornito dalla camorra, in certe terre di camorra, anche quando non è la camorra a scrivere i copioni e a dettare i tempi e le battute.
Il “Lotto 10”: i media nazionali non sanno nemmeno che si chiama così quel rione pregno di caos e degrado, uno dei tanti che si ammassano lungo le lingue d’asfalto del quartiere napoletano più esteso ed affollato. Uno di quei rioni in cui si vive di espedienti, scorciatoie, peripezie e sotterfugi e il fatto che Guarente abbia preso in affitto un box ricavato abusivamente dagli spazi che, nel rispetto delle norme antisismiche non dovrebbero essere cementificati, consegna la fotografia più nitida della realtà che si respira in quei luoghi. Accanto al vano sottoposto a sequestro giudiziario, un autolavaggio abusivo.
Tutt’intorno, case, garage, verande, box, cantine, scantinati, negozi, ricavati servendosi dello stesso espediente e nel rispetto del “pure noi dobbiamo campare”, quel principio osservato e rispettato dai residenti in zona, ma anche dai tutori della legge che, ancora una volta, sbattono in faccia all’Italia l’incapacità di contenere il fenomeno dell’abusivismo, in tutte le sue forme, nelle terre in cui va in scena l’illegalità. Perché a fare da sfondo all’efferato omicidio del giovane 25enne, c’è questo. Un rione in cui “la serenata” del cantante neomelodico del momento è l’evento più atteso e partecipato e dove vendere di tutto, dal cibo ai detersivi, senza trascurare gli abiti contraffatti, all’interno di chioschi e vani ricavati abusivamente, è all’ordine del giorno e avviene alla luce del sole, al pari dei raggiri e degli escamotage, utili a “rubare” acqua e corrente elettrica.
Anche nel Lotto 10, come in tutti gli altri rioni popolari, sarebbe opportuno verificare quante famiglie versano il dovuto e doveroso affitto mensile nelle casse del comune di Napoli. Anche qui, come accade in tutti gli altri rioni popolari, migliaia di famiglie hanno maturato milioni di debiti con l’amministrazione, accumulando di anni in anni, affitti arretrati, non pagando affitti che oscillano tra un minimo di 5 e un massimo di 100 euro – o poco più – al mese.
Anche qui, come accade in tutti gli altri rioni popolari, si versano, puntualmente nelle tasche della camorra i 10 euro mensili, quando l’impresa di pulizia appaltata dal clan per ripulire i palazzi, bussa alle porte dei condomini.
A modo suo, anche il “Lotto 10” è un bunker.
Meno celebre e più silenzioso, perché lì si fanno “i fatti”.
Diverse le figure contigue ai cartelli criminali del quartiere che vivono e talvolta si rifugiano in quel rione, reduci di clan decapitati da arresti ed omicidi, ma anche i “soldati” dei De Micco, il clan di “Bodo”, quello che allo stato attuale detiene lo scettro del potere criminale nel quartiere. Non a caso, proprio in quel rione, lo scorso novembre, si è consumato in strada, l’ultimo agguato volto a ridimensionare l’egemonia del clan De Micco: 15 colpi di pistola esplosi in pieno giorno, contro il 40enne Luigi De Micco, – stimato essere il reggente del clan, in seguito agli arresti di spessore messi a segno tra le fila della famiglia che tiene sotto scacco la malavita ponticellese – e il 23enne Antonio Autore, figlio di Ferdinando, un pezzo grosso, uno di quelli che ha fatto la storia della “vecchia camorra” lungo le strade dell’hinterland napoletano e adesso “è ospite dello Stato”, come si è soliti dire in quelle realtà, governate da leggi autonome e distaccate dal “nostro” Stato, delle quali “il nostro Stato” si ricorda solo quando si spara.
O quando accade “qualcosa di pesante”. Proprio com’è accaduto domenica scorsa, in seguito al ritrovamento del cadavere del 25enne.
Ruggiero non ha di certo ottenuto il beneplacito della camorra per occultare il cadavere del giovane “in terra loro”, ma ha beneficiato della copertura di qualcuno che sapeva e lo ha aiutato o che quantomeno lo ha coperto. Su questo aspetto vi sono davvero pochi dubbi, effettuando un’analisi introspettiva del contesto.
Complice l’isolamento dal centro abitato, vicino, eppur così difficilmente raggiungibile a piedi, complice quel fiume d’asfalto a doppia corsia e a doppio senso di marcia che prende il nome di “via Argine”. Tutt’intorno, attività commerciali e quel trambusto che in un attimo si tramuta in omertà, tipico, peculiare e distintivo delle terre di camorra, dove il sole ci entra di sbieco. E mai a gamba tesa.
Per capire come si vive in quei luoghi, basta leggere i nomi delle strade che squarciano il rione: via Fausto Coppi, via Eugenio Montale, via Vittorio Alfieri, via Luigi Pirandello, via Eduardo Scarpetta. Quante delle persone che vivono in quel rione sanno chi sono le personalità che danno il nome alle strade della loro quotidianità?
La chiave di tutto è lì, solo lì, sempre lì: l’ignoranza.
Quella che rende conniventi ed omertosi, quando l’omicidio è di stampo mafioso. Quella che porta a sghignazzare e a praticare dell’ironia di cattivo gusto, quando a morire è un omosessuale, ucciso da un altro omosessuale.
Già, perché tra i gradassi del quartiere, del Lotto 10 e degli altri rioni, in cui se porti lo scooterone senza casco e impenni quando vedi le guardie “sei uno buono”, sta accadendo anche questo.
Sui social, per strada, nelle afose chiacchiere da bar di basso rango, l’efferato omicidio di Vincenzo viene definito “femminellicidio”. E non c’è bisogno di proporre l’etimologia della parola per comprenderne il senso vergognoso, gretto, ignorante della coniazione di un termine, frutto della rozzezza che spadroneggia in quei rioni, lungo quelle vie lambite dalla malavita e dal degrado e che di edificante hanno solo i nomi, per l’appunto.
I ponticellesi s’indignano delle etichette che gli vengono affrancate dai tg e dalla stampa nazionale, perché, stavolta, il delitto non si è consumato a Ponticelli e non reputano di meritare le vessazioni e le mortificazioni riconducibili allo scriteriato gesto di un omicida: ma hanno mai provato a guardare il loro quartiere con gli occhi di un cronista, distaccandosi dai confini territoriali?
Il risultato è catastrofico e non per chi cavalca dei luoghi comuni, ma per chi, a ridosso di quella scena del crimine si ritrova a confrontarsi con ragazzi di 20 anni che faticano ad esprimersi in italiano o che pensano che emulare gli eroi di Gomorra sia il miglior biglietto da visita da esibire a favore di telecamera. Palazzi fatiscenti, contornati da illegalità, illecito, contraffazione e mortificazione delle più basilari regole di civiltà, amor proprio e senso del decoro.
In quei rioni, la legalità non esiste e, se esiste, è costretta a cedere il passo a tutt’altre dinamiche.
Rifugiarsi dietro l’alibi parzialmente valido dell’assenza dello Stato e della mancanza di controllo sul territorio, propinando la frase “Ponticelli è anche altro”, vuol dire proporre la puntuale etichetta, sterile e qualunquista, che non getta né acqua né benzina sul fuoco, ma mostra solo l’ennesimo plebiscito di curiosi, raggomitolati intorno all’ennesima scena del crimine e che non sa fare altro che stare a guardare.