Vincenzo Ruggiero, 25 anni, di Parete, attivista Lgbt, viveva apertamente la sua omosessualità. Era un ragazzo bello e solare, Vincenzo. Quella bellezza, qualche anno fa, lo ha portato a vincere il concorso di bellezza Mister Gay.
Lavorava come commesso nello store di Carpisa nel Centro Commerciale Campania di Marcianise, ma anche come modello. La vita di un ragazzo normale, aggravata dalle difficoltà che franano addosso ai “diversi” in una società ancora troppo restia a recepire e percepire l’omosessualità come fattore non discriminante né discriminatorio e alle quali la sua immagine non è risparmiata, nemmeno da morto.
Quelle difficoltà che ha ben raccontato la sua amica più cara, Heven Grimaldi, la giovane transessuale legata sentimentalmente all’omicida di Vincenzo, nel lungo post pubblicato sui social, in seguito all’atroce scoperta che ha svelato la verità in merito alla sparizione del suo amico e coinquilino. Ultimamente Vincenzo non se la passava bene.
«Ho sempre aiutato Vincenzo in qualunque modo mi è stato possibile, soprattutto nell’ultimo periodo dove a seguito di un feroce litigio in famiglia ho prelevato Vincenzo portandolo in pronto soccorso per poi tenendolo a vivere con me. Ho provveduto a lui economicamente, gli ho lasciato la mia auto, mi sono curata di lui con tutti i mezzi a disposizione perché Vincenzo era la mia vita, vita che ora non ho più» .Heven gli ha teso una mano, dunque, nel momento del bisogno, ma per il 25enne di Parete proprio quel legame così forte e complice con l’amica si è rivelato fatale agli occhi del suo aguzzino.
Chi lo conosceva bene racconta che quando Vincenzo è sparito nessuno ha creduto che si trattasse di un allontanamento volontario.
Aveva un buon lavoro con un contratto a tempo indeterminato, tanti amici e una famiglia che lo ha sempre supportato, non aveva nessun motivo per scappare, soprattutto lasciando nel dolore e nell’apprensione i propri cari.
#VincenzoRuggiero #SiamoVincenzo#MiChiamavoVincenzo: questi gli hashtag lanciati dalla comunità LGBT, di cui il giovane era un attivista e dagli amici di Vincenzo, per sedare gli insulti omofobi e i titoli discriminatori che impropriamente i media stanno utilizzando, definendo il suo un “delitto gay”, solo perché ha per protagonisti due omosessuali.
“Il suo nome e la sua persona continuano a essere uccisi da una stampa INFAME e INADEGUATA, specchio di una società non ci rispetta né da vivi né da morti. Nei fatti e nelle parole. #stopomofobia #stoptransfobia #LGBTQi
“Siamo persone non individui da etichettare. Siamo persone non oggetti di titoli sensazionalistici per ottenere più click. Siamo persone non mezzi per suscitare la curiosità morbosa d’una collettività eteronormata. Siamo persone con un nome, che ricorda il nostro essere unico e irripetibile, non un gay, un/una trans, una lesbica di cui non fare specificamente menzione. Siamo Vincenzo non altri perché con lui siamo morti tutti e con lui siamo stati doppiamente uccisi da media che continuano a fare scempio delle nostre vite, dei nostri sentimenti, di noi stessi. Ciao, Vince’: tu continuerai a vivere in noi e a lottare con noi per sempre!”
Questo il post diramato sui social da un caro amico della vittima e che ha dato il via ad un’autentica campagna di sensibilizzazione virtuale, nel rispetto della memoria di una vittima di un brutale omicidio, della sua identità sessuale e delle medesime persone che ne condividono lo status.
Anche l’assassino, nei giorni del delitto, aveva scritto un post sui social: “Perchè dovrei scusarmi per il mostro che sono diventato? Nessuno si è mai scusato con me per avermi fatto questo”. Accanto, la foto di Joker, antieroe di Batman. Parole che, oggi, concorrono ad imbruttire il macabro omicidio di cui si è reso autore.
Durante la giornata di lunedì 31 luglio, ascoltato dagli inquirenti, Ciro Guarente, l’assassino del 25enne Vincenzo Ruggiero, si è avvalso della facoltà di non rispondere, lui, proprio lui che potrebbe chiarire i numerosi punti interrogativi che tuttora gravitano intorno alla vicenda.
Intanto, si scava nella sua vita privata ed emergono dettagli utili a ricostruire il profilo psicologico di Ciro Guarente, il 35enne autore di un delitto di una ferocia senza precedenti.
Emergono nuovi inquietanti risvolti sulla vita privata di Ciro Guarente. L’uomo aveva una doppia personalità. Di giorno impiegato civile della marina militare e sexy boy di notte. Il 35enne era molto attivo sui social gay con alcuni pseudonomi: “Grinder Boy” o “Lino” e si esibiva da drag queen mettendo a disposizione il suo corpo su siti porno per incontri omosessuali. Su questi portali, dove si accede solo previa registrazione, si possono trovare ancora sue foto hot.
La ricerca del piacere e della trasgressione vissuti come un’ossessione insana e compulsiva, il desiderio di spingersi sempre oltre, senza, però, rinunciare all’amore vero, quello che Ciro provava per la giovane trans polacca con la quale aveva una relazione da 7 anni e della quale era morbosamente geloso. Un’ossessione, piuttosto che un sentimento, quella che Ciro nutriva per Heven, tant’è vero che con Vincenzo aveva già avuto una lite, prima di mettere a segno il suo piano di morte.
Pochi dubbi, ormai, insorgono in merito al fatto che si sia trattato di un delitto premeditato e pianificato nei minimi dettagli.
Il garage preso in affitto poche ore prima di uccidere il giovane, proprio nei giorni in cui Heven era a Bari e quindi l’appartamento di Aversa era abitato solo da Vicenzo, quel coinquilino scomodo di cui Guarente aveva deciso di liberarsi.
La sera del 7 luglio, Guarente ha atteso che Vincenzo facesse ritorno a casa, per colpirlo con una mazza o una zappa alla testa. Dopodichè ha fatto a pezzi il corpo del giovane, lo ha tagliato in due metà esatte con una motosega, proprio all’altezza dell’ombelico per agevolare il trasporto del cadavere nel garage che aveva preso in affitto nelle ore antecedenti in via Scarpetta, arteria cruciale del Rione “Lotto 10” di Ponticelli.
Forse, proprio perché non riusciva a riporre i resti del cadavere in un’unica valigia ha tagliato il braccio sinistro e la testa – non rinvenuti all’interno della nicchia improvvisata nel garage – e li ha occultati in un’altra valigia che, verosimilmente, ripercorrendo la versione fornita dallo stesso 35enne agli inquirenti poco prima del ritrovamento del corpo, potrebbe aver gettato nel mare di Licola, insieme agli effetti personali del giovane, per simularne l’allontanamento volontario.
Perchè Guarente ha indicato agli inquirenti il luogo in cui aveva occultato solo parte dei resti del giovane, non menzionando il box preso in affitto a Ponticelli? Ha cercato di coprire o proteggere qualcuno?
Una vicenda intorno alla quale si delineano dettagli sempre più inquietanti.
Ha nascosto il corpo seguendo “una modalità mafiosa”, secondo la Procura di Napoli Nord: resti vivisezionati e disciolti nell’acido, poi gettati in una fossa, insieme ad indumenti e rifiuti, ricoperti dal cemento.
La modalità d’esecuzione dell’omicidio è simile, molto simile, a quella del film “Non aprite quella porta” del regista Tobe Hooper. Analogo l’uso della motosega, analoghe le modalità di sezionamento del corpo.
Lo ha ucciso e poi lo ha fatto a pezzi, senza pietà, con una motosega. Omicidio premeditato, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere: questi i reati che pendono sul capo del 35enne, contro il quale la famiglia Ruggiero punta il dito senza pietà, chiedendo agli inquirenti di far luce sulla vicenda affinchè sia resa giustizia alla vita di Vincenzo, barbaramente trucidata dalla furia omicida di Guarente. I familiari della vittima, inoltre, dichiarano di essere convinti che Guarente sia stato aiutato da qualcuno nel mettere a segno il suo piano di morte e dichiarano la volontà di costituirsi parte civile in un ipotetico processo.
Aveva fatto a pezzi un ragazzo e pochi giorni dopo ha partecipato al matrimonio di Alessia Cinquegrana, la prima sposa-trans della storia a convogliare a nozze, come se nulla fosse.
Rideva, ballava, brindava e ha perfino dedicato una canzone agli sposi. Infastidito dalle domande su Vincenzo, alle quali rispondeva in maniera evasiva, stroncando sul nascere l’argomento, nei giorni in cui le indagini spaziavano a tutto campo per far luce intorno alla sparizione del giovane, Guarente, l’aguzzino del 25enne, si era recato perfino in visita a casa di sua madre.