Ciro Guarente, 35 anni, originario di San Giorgio a Cremano. In Marina Militare dal 2003, nel 2015 Guarente sottocapo di prima classe che presta servizio come cuoco militare, guadagna le luci della ribalta, dopo la partecipazione a un gay pride a seguito del quale avrebbe esternato il suo orientamento gay. Un outing avvenuto durante la manifestazione Miss Trans Italia Over, Re e Regina gay e che gli è valso il declassamento a ruolo di semplice civile, trasferito in un ufficio a Roma.
Attivo sui social, soprattutto all’interno delle community Lgbt virtuali, con alcuni pseudonimi: «Grinder boy» o Lino.
Un’adolescenza segnata da una lunga relazione con una ragazza di Ponticelli, lo stesso quartiere in cui ha deposto quello che restava del corpo di quello che stimava essere il suo rivale. E’ tra le mura della periferia orientale di Napoli, quindi, che nasce e giunge al culmine la vita sentimentale di un 35enne qualunque, balzato agli onori della cronaca per essersi reso autore di un delitto trai più efferati e crudeli di sempre.
Dopo la relazione eterosessuale, durata per diversi anni, l’uomo ha dovuto fare i conti con la sua vera identità sessuale: in tanti, all’indomani del feroce omicidio, raccontano che quel ragazzo, gracile ed apparentemente innocuo, abbia lasciato la sua ragazza dell’epoca fuggendo con un uomo. Secondo quanto riferito da diverse persone, vicine alla famiglia Guarente, si sarebbe trattato di un prete che avrebbe svestito l’abito talare per vivere quella relazione e, proprio per mettere a tacere quella che in questi contesti viene definita “una doppia vergogna”, la famiglia avrebbe cercato di nascondere la vera identità sessuale di Ciro. Un segreto conosciuto e chiacchierato da tutte le persone che vivono in quel rione, il Lotto 10, in cui abitano anche i genitori del 35enne e che ha scelto di nascondere proprio lì i resti del giovane che ha fatto a pezzi, forte, probabilmente, di quella stessa protezione di cui ha beneficiato per tanti anni.
Aveva calcolato tutto, probabilmente, Ciro, fin dal 7 luglio, il giorno in cui Vincenzo è sparito. Eppure, non aveva fatto i conti con la caprbietà di Heven Grimaldi, la sua compagna di origine polacca, 26 anni, diploma di liceo linguistico, 26 anni, l’altra vittima di quel massacro.
Linciata dall’opinione pubblica che punta il dito contro di lei e l’accusa di essere la complice del suo compagno, Heven, in realtà, è l’altra vita distrutta da quell’efferato delitto: attraverso i social, la 26enne chiarisce innanzitutto di essere stata «totalmente all’oscuro» del delitto.
«Sono rientrata a Napoli da Bari la mattina del giorno 8 ad ora di pranzo in treno ed aspettavo Vincenzo in stazione. Al mio rientro in casa non ho trovato né Vincenzo né i suoi effetti personali: sconvolta dalla sua assenza ho subito allertato la madre con la quale mi sono recata al comando di carabinieri per denunciarne la scomparsa. L’artefice del terrificante omicidio, ovvero Ciro Guarente, mi ha da subito prestato il suo falso conforto per lo choc e il dolore provato a seguito della scomparsa di Vincenzo. Mi ha ingannata fino all’ultimo momento e dato che in casa mancavano gli indumenti e le valigie di Vincenzo, nei primi giorni ho sospettato che nonostante fosse assurdo si potesse trattare di un suo allontanamento volontario. Qualunque movimento o sospetto mosso nei confronti di questa assurda scomparsa mi veniva declinato da Ciro che continuava imperterrito a sostenere che Vincenzo era andato via voltando le spalle a tutti». Non solo. «Mi intimidiva, diceva di non essere permanentemente in ansia per la sua scomparsa. Chiedeva contro la mia volontà di starmi vicina per confortarmi mostrandosi la persona più tranquilla e normale al mondo nonostante avesse compiuto un atto così crudele. Ha iniziato dopo circa una settimana a manifestare atteggiamenti insoliti nei confronti di Vincenzo e della sua scomparsa volendomi convincere che fosse andato via con un uomo ricco e tante altre storie assurde».
Ma nel frattempo i dubbi di Heven su questo strano allontanamento aumentano: assieme al presidente dell’Arcigay di Napoli denuncia così, ancora, la scomparsa ai carabinieri: stavolta però lo fa adombrando sospetti sul suo compagno e facendo scattare l’indagine. Ora c’è solo dolore: «Ho perso in una sola tragedia le due persone più importanti della mia vita, il mio migliore amico e fratello, il mio fidanzato con il quale ho trascorso 7 lunghi anni della mia esistenza, la mia casa, la mia vita».
Heven aveva chiesto ai vicini e ai tappezzieri che hanno il negozio sotto casa, se avessero visto Vincenzo nei giorni precedenti. Alcuni avevano affermato di aver visto il ragazzo andare via con delle valigie, per cui i carabinieri avevano ritenuto che l’allontanamento fosse volontario e non avevano effettuato ricerche.
La ragazza ha però continuato a cercare informazioni e dopo qualche giorno, alcuni inquilini del palazzo le hanno rivelato di essersi confusi e di aver visto Ciro uscire dall’appartamento con delle valigie e non Vincenzo.
A quek punto Heven si reca all’arcigay di Napoli e con l’aiuto dell’associazione depone spontaneamente e iniziano così le ricerche di Vicenzo.
I carabinieri interrogano Ciro che alla fine confessa di aver ucciso Vincenzo in preda ad un raptus di gelosia. Guarente viene inoltre incastrato dalle telecamere di uno studio privato di fronte casa della Grimaldi ad Aversa, dove Vincenzo viveva da quando aveva deciso di lasciare casa dei suoi genitori per vivere senza condizionamenti la sua sessualità.
Il filmato acquisito dai carabinieri ritrae Ciro uscire dall’abitazione con delle valige e poi trascinare un grande sacco nero, dove probabilmente era occultato il corpo senza vita di Vincenzo.
Il lungo post di Heven Grimaldi spiega come Vincenzo fosse un fratello per lei e di come da tempo vivesse a casa sua. “Io ho sempre aiutato Vincenzo in qualunque modo mi è stato possibile, soprattutto nell’ultimo periodo dove a seguito di un feroce litigio in famiglia ho prelevato Vincenzo portandolo in pronto soccorso per poi tenerlo a vivere con me, ho provveduto a lui economicamente, gli ho lasciato la mia auto, mi sono curata di lui con tutti i mezzi a disposizione perché Vincenzo era la mia vita, vita che ora non ho più. Ho perso in una sola tragedia le 2 persone più importanti della mia vita, il mio migliore amico e fratello, il mio fidanzato con il quale ho trascorso 7 lunghi anni della mia esistenza, la mia casa, la mia vita. quindi siete pregati di non accusarmi per alcun motivo, ripeto che se è stata fatta giustizia è solo grazie al mio incontro con carabinieri dove ho sollecitato le indagini.”
Heven era fidanzata con Ciro da 7 lunghi anni e molti hanno ipotizzato un suo coinvolgimento nella vicenda. Ciro durante l’interrogatorio ha spiegato di non avere intenzione di uccidere il ragazzo, che durante una colluttazione ha perso l’equilibrio sbattendo contro un mobile appuntito.
In base a ciò che dice Guarente il ragazzo sarebbe morto sul colpo e a quel punto avrebbe deciso di far sparire i suoi effetti personali e di occultare il cadavere.
Una versione che non convince gli inquirenti per molti motivi: la testa di Vincenzo -oltre ad un braccio – non è stata ritrovata nel lugubre nascondiglio in cui Ciro si è disfatto dei suoi resti. L’unica parte del corpo che poteva appurare la veridicità della sua versione dei fatti.
Lo ha fatto a pezzi, lo ha sciolto nell’acido per renderne difficile l’identificazione, qualora, a distanza di tempo, qualcuno avesse ritrovato quei reperti, lo ha trasportato in quel garage, preso in affitto dal 7 al 9 luglio in via Edoardo Scarpetta, all’interno di un garage abusivo. Ha nascosto quei resti in un cunicolo e li ha coperti con rifiuti e cemento. Bastava, secondo Ciro, per cancellare per sempre quel rivale in amore nel quale identificava una seria minaccia per il suo rapporto. Intimava ad Heven di non parlarne più, di dimenticarlo. Voleva convincerla che Vincenzo le avesse voltato le spalle, senza lasciarle neanche una riga, né una spiegazione. Le imponeva di dimenticarlo e di non chiedere più di lui, ancor più, di smettere di cercarlo, lui che sapeva benissimo dove lo aveva riposto. Millantava una fuga con un uomo facoltoso che sosteneva di aver conosciuto, ma Heven non gli ha creduto e non ha smesso di cercare la verità, di cercare Vincenzo.
Probabilmente, Guarente ha atteso di restare solo in casa con Vincenzo, dal quale era ossessionato. Non comprendeva né tollerava quel legame a filo doppio con Heven che concepiva una cosa sua, solo sua. Seppure, come la stessa Heven ha chiarito, tra lei e Vincenzo intercorresse un’amicizia fraterna, il suo compagno era accecato da quella gelosia e dalla smania di possesso. Ha ucciso il 25enne, ma non lo ha fatto a pezzi nell’appartamento di Heven, forse perché temeva di lasciare troppe tracce “difficili” da cancellare. L’unico dato certo è quello fornito dalle immagini della videocamera posta di fronte all’ingresso del palazzo in cui abita Heven.
Quello che è accaduto in quella casa e dopo che Guarente ha caricato il cadavere e gli oggetti personali di Vincenzo in auto, è avvolto in una nube di mistero che solo l’assassino può dissolvere.
Perché ha voluto fare a pezzi il corpo del giovane? Perché ha scelto di nasconderlo in quella sede, quando possiede una casa a Licola? Perché ha riferito agli inquirenti di aver occultato il cadavere in mare? Guarente ha fatto tutto da solo o ha beneficiato della complicità di qualcuno? I genitori sapevano a quale uso doveva essere destinato quel box, preso in affitto lo stesso giorno in cui Vincenzo è sparito?
Tanti gli interrogativi da districare intorno ad una vicenda raccapricciante.
L’unico aspetto che emerge da uno dei delitti più crudeli della storia dell’umanità è che Guarente ha fatto a pezzi tante vite, nel fare a pezzi la vita di Vincenzo, l’amico del cuore della sua fidanzata.