Aversa, 30 luglio 2001 – Nella piazza di Aversa, Giovanni Tonziello, tabaccaio di 45 anni, viene ucciso dai rapinatori ai quali tentava di sfuggire. È morto sotto gli occhi del figlio, un ragazzino di 10 anni, che nonostante il terrore e lo sgomento è riuscito a dare l’allarme con il telefonino.
Un proiettile gli ha perforato l’addome. L’auto senza controllo, è andata schiantarsi contro la scultura del Cristo in croce, al centro della piazza.
I banditi intendevano quasi certamente impossessarsi delle casse di sigarette che poco prima il commerciante aveva prelevato nella sede del Monopolio dei tabacchi. Quando, affiancato dalla moto dei rapinatori, si è visto puntare la pistola, come per istinto Tonziello ha spinto sul pedale dell’acceleratore. Un gesto che ha innescato la furiosa risposta degli aggressori. Chi ha sparato voleva forse spaventare la vittima costringendola a fermarsi, forse non intendeva uccidere.
Un delitto che infoltisce l’elenco delle vittime innocenti, due commercianti uccisi in meno di una settimana, entrambi titolari di una tabaccheria.
Giovanni Tonziello lascia due figli: Vincenzo, 10 anni, il ragazzino che era con lui quando è stato ammazzato, e Angela, studentessa di 17 anni. Era il secondo di 7 figli (5 maschi e 2 femmine) e apparteneva ad una modesta famiglia di agricoltori di Trentola Ducenta, il paesino del Casertano alle porte di Aversa, dove in via Roma da diversi anni aveva aperto una tabaccheria. Era appena tornato da una breve vacanza, trascorsa a Sperlonga, sul litorale laziale. Doveva riaprire la tabaccheria e per questo motivo si era recato ad Aversa per fare il rifornimento di sigarette. Come spesso accadeva, si era fatto accompagnare dal piccolo Vincenzo, che sedeva al suo fianco a bordo della Golf bianca. Dopo aver caricato nel bagagliaio e sui sedili posteriori sei casse di sigarette, si stava avviando verso il negozio. L’aggressione è avvenuta a una cinquantina di metri di distanza dal deposito del Monopolio. I due banditi, in sella alla moto, probabilmente avevano dei complici nascosti nella zona a bordo di un’auto sulla quale avrebbero dovuto caricare il bottino, del valore di 15 milioni di lire. Alla vista dei rapinatori il tabaccaio ha provato a fuggire, ma è stato affiancato dalla moto e colpito da un proiettile che gli ha attraversato l’addome da parte a parte. Quando si sono accorti di aver ferito l’uomo mortalmente, i malviventi si sono allontanati a tutta velocità senza prendere nulla. In piazza a quell’ora c’era poca gente, ma chi c’era si è allontanato o ha riferito ai carabinieri di non aver visto nulla o, comunque, di non essere in grado di riconoscere i banditi. Tra i pochi elementi in possesso degli investigatori l’età degli aggressori: descritti entrambi come molto giovani. Sicuramente non dei professionisti, ma tuttavia gente dalla pistola facile.
E’ crollato dopo due ore, l’assassino di Giovanni Tonziello, il tabaccaio di Trentola Ducenta ucciso ad Aversa nel corso di un tentativo di rapina. Ha ammesso la sua colpa, dopo aver negato ogni addebito, Giuseppe Tomassone, 21 anni, pregiudicato. Alla fine ha gettato la spugna: «Sì, l’ho ucciso io. Ma non volevo. Sono stato costretto: si è chinato sul cruscotto dell’auto e stava prendendo un oggetto nero. Ho mirato alle gambe». Non si scompone, è quasi gelido. Ha confessato solo quando i carabinieri gli fanno sentire una sua dichiarazione intercettata da una cimice, in caserma. «Ha reagito, e io ho sparato», ha raccontato a un altro pregiudicato chiamato come teste al Comando Provinciale di Caserta. Nella stessa notte di giovedì nei suoi confronti è stato firmato un decreto di fermo. Convalidato nel pomeriggio di ieri dal gip, dopo mezz’ ora di interrogatorio. E’ stato lui, Giuseppe Tomassone, a sparare, a 30 metri d alla sua casa, in piazza Savignano, mentre altri due complici erano su uno scooter, pronti a portare a termine il colpo. Si erano appostati lì: Tomassone, arma in pugno, doveva fermare la «Golf» bianca su cui viaggiava il tabaccaio in compagnia del figlio e che portava il carico di sigarette appena ritirate dal monopolio di Aversa. Valore: 15 milioni.
I rapinatori hanno agito a volto scoperto, con baldanza, contando forse sul silenzio di alcuni testimoni (ma uno di loro ha visto, ed è uscito dal muro di omertà). Hanno fatto poi sparire lo scooter, bruciandolo, e la pistola, una calibro 9, un’arma in dotazione alle forze dell’ ordine.
Testimonianze, più di cento perquisizioni, controlli a tappeto predisposti dal prefetto Carlo Schiraldi, intercettazioni ambientali: c’ è stato uno sforzo investigativo notevole, dopo l’ omicidio per chiudere il cerchio attorno agli autori. Una famiglia perbene, quella di Giuseppe Tomassone: il padre Antonio, è dipendente del Comune di Napoli, la madre casalinga, l’ altro figlio calzolaio. Come Giuseppe, che lavora in una piccola fabbrica di scarpe di Aversa, un diploma di terza media, ma con alle spalle già alcuni precedenti: resistenza a pubblico ufficiale, seguito da un perdono giudiziale; uno scippo, poi patteggiato. Alcune settimane in cella, e poi la scarcerazione, un mese fa. «E’ innocente», dice la madre. «Ve ne accorgerete quando arresteranno i veri assassini». Davanti al gip, Giuseppe Tomassone ha chiesto scusa ai parenti della vittima. «Non voglio vendette, ma non posso perdonare», ha risposto il fratello del tabaccaio ucciso, Patrizio Tonziello.