Ne hanno aggredito un altro. Rischia di diventare una moda, un costume recepito come “normale” e “da mettere in conto” se si vuole esercitare una professione che, nel bene e soprattutto nel male, incarna uno dei beni più preziosi di una società civile: il diritto all’informazione.
Protagonista dell’ennesimo attentato alla libertà di stampa, il giornalista Nello Trocchia, aggredito mentre stava realizzando un servizio sulla mafia foggiana per la trasmissione di Rai 2 “Nemo”. La troupe della Rai era arrivata a Vieste per realizzare un approfondimento sul caso di Omar Trotta, il 31enne ucciso all’interno del suo locale nella cittadina del Gargano, ma non gli è stato reso possibile.
“Come annunciato in una nota diramata dalla redazione del programma condotto da Enrico Lucci, Trocchia ha riportato un trauma contusivo facciale ed escoriazioni ed è stato curato al pronto soccorso di Vieste”.
In vista del ritorno su Rai 2 di Nemo il prossimo settembre, il giornalista Nello Trocchia “aggredito con il film maker Riccardo Cremona“ si trovava a Vieste per approfondire l’inchiesta sull’omicidio del pregiudicato Trotta, ucciso con colpi di pistola all’interno del suo ristorante per motivi legati, probabilmente, alla mafia foggiana. Curato presso il pronto soccorso della cittadina, il giornalista ha voluto rassicurare tutti sul suo stato di salute con un post su Facebook.
Nel suo post, nelle sue parole, c’è tutto il dramma di una categoria che quotidianamente si misura con problematiche che, molto spesso, l’opinione pubblica ignora o che non recepisce appieno. La crisi dell’editoria che si traduce in stipendi da fame e contratti da precari, le minacce, le aggressioni, le querele temerarie che sanno far più male delle percosse, perchè colpiscono sul nervo più scoperto: le finanze di un cronista che vuole raccontare quello che non premia e che non porta gloria nè introiti di prestigio, ma solo rogne e sventure.
La verità .
Un lusso sempre più pregiato in un Paese che si atteggia a società civile e democratica, ma che, di fatto, palesa ampie lacune nel garantire la libertà, sotto diverse forme, e il volto tumefatto di Nello Trocchia testimonia quanto ci sia ancora da fare per salvaguardare un diritto che dovrebbe apparire incrollabile, agli occhi di una cittadinanza evidentemente non educata al rispetto del diritto all’informazione, meno che mai capace di comprendere il valore del lavoro di chi mette a repentaglio la propria incolumità per illuminare le zone grigie, le terre di nessuno, i territori in balia della criminalità , del malaffare e della cattiva politica.
Tantissimi i giornalisti sotto scorta o che vivono in condizioni di forte restrizione, monitorati e tutelati dalle forze dell’ordine.
E’ una guerra silenziosa che si consuma nell’indifferenza della collettività , quella dei cronisti che hanno ancora voglia di raccontare le verità . Un terreno pieno di insidie e il post dell’ultimo guerriero “azzoppato sul fronte di guerra” lo spiega bene: “Vi ringrazio assai per la vicinanza e l’affetto. – si legge nel post pubblicato su facebook da Nello Trocchia – E’ passato lo spavento e sto meglio, passa tutto. Sul posto c’era una sola telecamera, la nostra, e, invece, dovremmo illuminare a giorno quello che succede nel foggiano. Un omicidio ogni dieci giorni dallo scorso aprile, è spaventoso, come la ferocia e l’aggressività di chi vive in questa quotidiana violenza. Stavo facendo il mio dovere come lo fanno decine di colleghi in terra di mafia. Io non faccio niente di speciale, io sono solo un cronista, e, credetemi, l’elenco è lungo di quelli che vengono aggrediti, intimiditi. Persone che stimo e apprezzo e, come già successo in passato, se ho un attimo per fermarmi e condividere una riflessione è giusto allargarla a loro. A chi è pagato da fame, a chi è solo quando viene intimidito, a chi racconta in questi territori. Un collega, l’altro giorno, mi disse che con 700 euro al mese e quattro querele fisse all’anno era in procinto di abbandonare la professione. Meno siamo a raccontare e più siamo soli. Un quadro desolante che fa comodo a molti. Ogni potere, da quello criminale a quello politico a quello imprenditoriale, lavora per ridurre gli spazi di libertà . Le aggressioni, le intimidazioni e le querele temerarie fanno un male diverso. Le ho conosciute tutte e hanno lo stesso scopo: spegnere il racconto.
Ieri guardavo l’immensità di questo mare, pensavo al mio sud che amo profondamente. Mi atterrisce l’idea di lasciarlo a chi spara in pieno centro alle 3 del pomeriggio, di lasciarlo ai criminali. Ed è solo per questo che ancora resta voglia di continuare a raccontare perchè sono nato in un posto sventrato da politica criminale e malavita e appare ancora inaccettabile, ai miei occhi, abituarsi all’idea che alla fine vincano loro.”