Rischia di accadere ancora e nuovamente a Napoli, la città del calore e dell’accoglienza per antonomasia, che troppo spesso, al cospetto dei drammi che hanno per protagonisti i suoi stessi figli, mostra una severità intransigente e perfino un’ignoranza che sa essere pericolosa.
Dopo aver subito un trauma che probabilmente la segnerà per tutta la vita, la 15enne di Posillipo, vittima di un branco di minorenni che ha abusato di lei in pieno giorno sull’affollatissimo scoglione di Marechiaro, adesso è in balia degli squali che pullulano sul web.
La giovane studentessa era al mare, per trascorrere una domenica qualunque, una domenica come questa, all’insegna dello svago e della spensieratezza. In compagnia di un gruppo di amici, si adagiano lungo le coste lambite dal mare della rinomata Marechiaro. A loro si aggregano tre ragazzi, uno di Forcella, due di Capodichino, con i quali la giovane aveva un amico in comune. I tre la adescano offrendogli una bibita, scambiano quattro chiacchiere e poi le porgono il tranello rivelatosi fatale per la giovane che non avrebbe mai potuto prevedere quello che di lì a poco sarebbe accaduto: un pretesto banale, come quello di cercare refrigerio in una zona d’ombra, in realtà è il tranello che i tre tendono alla giovane per appartarsi con lei e dare luogo a quello che doveva essere uno stupro di gruppo. I tre la palpano, ma solo il ragazzo di Forcella riesce a stuprarla, tenendole il volto schiacciato contro una parete di pietra.
Neanche una donna navigata avrebbe potuto mettersi in salvo, intercettando anzitempo il piano del branco. Nessuno mai potrebbe immaginare che tre ragazzini possano pensare di mettere a segno uno stupro di gruppo in un luogo tanto affollato e alla luce del sole, per giunta, come una spiaggia d’estate di domenica mattina.
Invece è successo ad un’adolescente nel fiore degli anni che ha già pagato ad un salatissimo prezzo quella spontaneità figlia legittima della capacità di fidarsi della buona fede del prossimo senza malizia né indugi. Quella che avrà perso per sempre, perché niente sarà mai più uguale a prima. Niente. Mai più.
Una vicenda che con il sopraggiungere dei dettagli che continuano ad emergere, diventa sempre più agghiacciante.
La 15enne ha avuto la fora e il coraggio di indagare per conto suo su facebook ed è riuscita a risalire all’identità dei suoi aggressori che, nel frattempo, continuavano a postare foto, frasi e sorrisi “da estate”, forse perfino ignari della gravità del reato commesso.
Gli inquirenti, inoltre, starebbero dando la caccia a due testimoni che, impassibili, hanno assistito alla scena. Si tratta di due minorenni che quasi sicuramente sono testimoni oculari della prima fase delle molestie. Forse incapaci di recepire quei gesti come “sbagliati”, questa vicenda, tra le tante cose, consegna un monito severo ai genitori e agli educatori, in senso più ampio: una percezione distorta ed alterata, a tratti più che perversa e malata, del sesso.
E poi ci sono loro; i bulli da tastiera, la forma d’ignoranza e di finto perbenismo più becera, anche stavolta non perdono l’occasione ed infieriscono pesantemente contro la giovane, rea “di fingere di essere una vittima”: questa, in sostanza, una delle accuse che il web scaglia contro la 15enne, da quando è stata diramata la vicenda.
La posillipina che vede in quel branco di “plebei” giunti dalla Napoli popolare un ulteriore elemento di trasgressione che rende ancor più appetitosa “la scappatella di gruppo”: così il web dipinge una vittima del branco e dei luoghi comuni, dell’ignoranza e del linguaggio dell’odio che fa e mai si pente, neanche quando spinge il bersaglio delle critiche e degli insulti a togliersi la vita pur di sottrarsi a quel linciaggio impietoso.
E’ successo a Tiziana Cantone, meno di un anno fa: la giovane ha scelto di morire soffocandosi con un foulard in uno scantinato, pur di zittire quell’inferno di insulti che da mesi tampinava la sua vita, da quando in rete furono diramati alcuni video che la ritraevano mentre intratteneva rapporti sessuali con diversi partner. Tiziana, seppur consenziente al momento del rapporti sessuali, è rimasta vittima di un altro ingranaggio, lo stesso che, per certi versi, pericolosamente si sta innescando anche al cospetto di quest’ultima vicenda di cronaca e che mostra quanto perversa e distorta sia l’ideologia sociale quando di mezzo c’è il sesso, in barba all’emancipazione che dovrebbe contraddistinguere a 360° il terzo millennio.
Tutti pronti a correre dietro alle perversioni più distorte e trasgressive, a patto che non si venga a sapere e non venga violata l’immagine che gli altri hanno di noi.
Così si arriva a praticare indulgenza nei confronti degli aguzzini e a puntare il dito contro la vittima: anche questo è un triste copione che si ripete per creare un inverosimile alibi morale a difesa e tutela della “supremazia maschile”.
“Una bravata”: in tanti hanno definito così quella mattanza. In tanti hanno mosso accuse inverosimili alla giovane e parole irripetibili.
Posillipo = ricchezza: questa associazione di elementi, gioca la partita più pensante nel concorrere a determinare l’impietoso giudizio di coloro che hanno ribaltato il fronte, collocando la vittima di una violenza sessuale sul banco degli imputati
Quella ragazzina di 15 anni, non sta pagando solo le conseguenze psico-fisiche della violenza di tre orchi, ma anche quelle sortite dallo stereotipo che incarna nell’immaginario di una certa frangia di opinione pubblica: quella che vive nella Napoli bene, tra il verde della collina e l’azzurro del mare, circondata da ville signorili e in quel benessere che difficilmente si rileva altrove, non solo addentrandosi tra vicoli e periferie del capoluogo campano, ma anche in altre città, sopraffatte dalla crisi ed incupite dalla povertà. A quella giovane, il cyberbullismo sta facendo pagare anche lo scomodo di essere ricca in una società esasperata dall’incertezza e dagli stenti.
Come se essere ricchi sia una colpa, come se vivere a Posillipo necessariamente esponga al pericolo di uno stupro, come se possono essere propinati degli alibi a delle bestie senza coda che meritano di essere condannate, non per il quartiere dal quale provengono, ma per il reato che hanno commesso.