Ha un nome, un cognome e una storia il corpo ritrovato avvolto in una coperta, una settimana fa, a Forcella.
Non si tratta di una ragazza, come, in prima battuta, è stato diramato dai media, ma di Simone, un giovane ragazzo transessuale FtM.
Un’anima fragile, poetica e girovaga quella di Simone che, non di rado, si allontanava per diversi giorni, non lasciando traccia di sé agli amici dell’associazione Arcigay di Napoli. Spariva anche per diversi mesi, Simone, perso nei suoi viaggi e nei suoi incontri, e poi ricompariva improvvisamente con il suo sguardo “triste e allegro al tempo stesso. – come riporta il sito “Gaynews” – con quel sorriso distante e tenerissimo che gli si dipingeva sul viso: il sorriso leggero di chi sa, per esperienza e preveggenza, la caducità delle fortune mortali.”
Per questa ragione, in queste settimane, chi conosceva la sua vocazione alla libertà e all’indipendenza e forse anche alla solitudine, non aveva reclamato la sua assenza.
Invece, casualmente, chi conosceva il giovane ha dovuto fare i conti con la triste sorpresa: sfogliando le pagine di cronaca di alcuni giorni fa e parlando con qualche amico che ne era già stato messo al corrente, i compagni d’Arcigay di Napoli hanno ricostruito il triste epilogo dell’esistenza di Simo e hanno capito che quella “ragazza trovata morta a Forcella” di cui parlavano i media il 10 giugno scorso, altri non era che Simo.
Proprio lui, il giovane bohémien di origini rumene che erroneamente viene descritto come una “ragazza di origini asiatiche”.
«Della sua terra, di cui portava le radici nella sua indiscutibile bellezza, aveva tutto – così dichiara Daniela Lourdes Falanga, delegata alle politiche transessuali di Arcigay Napoli, -. Simone era un ragazzo pulito, dolce, incredibilmente buono, capace di organizzare i pensieri come fanno in pochi e viveva tristemente la precarietà del mondo, quella riservata ai sentimenti, al lavoro, ai progetti emotivi. Non lo seguivo solamente nel suo percorso di transizione. Ne ero l’amica e veniva a cercarmi sempre, insieme a Carmen, per avere un consiglio, per confidarci le sue peripezie esistenziali, i suoi indugi, le sue passioni. Era delicato come può esserlo chi crede nella bellezza del tutto e non trova speranza, ed era nomade per vocazione, per fede, per questa disperata necessità. Adottato e cresciuto in Italia, non abbandonava il pensiero che fosse rumeno tanto che, sorridendo, si definiva addirittura zingaro e lo era del tutto in quell’orgoglio, la cui consistenza riconosco, faccio mia persino nella militanza. Rimaniamo sconvolti, interdetti, in un pianto che non trova risposta, io, Carmen, Ilario, Rosa, Daniele e tutte le persone che lo conoscevamo intimamente, nel suo abbraccio stretto, lungo, di gratitudine».
Una vicenda maturata tra l’indifferenza generale e archiviata, troppo presto, nel medesimo clima.