Esattamente un anno dopo le minacce di morte ricevute dalla mamma del boss dei Barbudos, Raffaele Cepparulo, alle quali fecero eco quelle della malavita locale, sono tornata nel Lotto O di Ponticelli per dare voce e spazio alla battaglia che le madri del rione – e non solo – stanno portando avanti da diversi mesi.
Una visita abbondantemente preannunciata e ritardata da una lecita incertezza: vedendomi impossibilitata ad accedere liberamente tra i grigi palazzi del rione, posso recarmi “da sola” al nido o devo attendere che mi venga assegnata un “accompagnatore in divisa”?
Le madri del rione hanno velocizzato i tempi, proponendosi come primo, vero e grande esempio di “scorta civile”. Un segnale di forte attaccamento alla legalità che rilancia il desiderio di legalità che anima la loro battaglia, affinché il nido riapra quanto prima.
Il 30 giugno termineranno i fondi Pac che sovvenzionano il nido e nulla vi è di certo in merito al futuro al quale andrà incontro il presidio nato due anni fa in una “terra di nessuno”.
L’assessore Palmieri ha assicurato che il nido riaprirà, ma non è stata in grado di indicare una data certa alle madri, tant‘è vero che mentre è in corso la “caccia ai fondi”, le iscrizioni per il prossimo anno sono state aperte.
Dove verranno dirottati i bambini, se il nido non riaprirà a settembre?
Questa la domanda che pongono le madri, senza fin qui aver ricevuto risposta dagli addetti ai lavori.
La mia visita al nido si riproponeva di testimoniare supporto e vicinanza alle madri e alla loro battaglia, ma soprattutto intendevo ritrarre il nido, in quanto struttura curata e ben tenuta, per permettere a tutti di vedere quanto è verde quell’isola felice che giace in un rione fin troppo degradato. Lo avevo abbondantemente preannunciato al direttore del nido che non intendevo filmare i bambini, neanche offuscandone il volto. Direttore, tra l’altro, con il quale sono in costante contatto da quando, lo scorso dicembre, il nido fu oggetto di “attenzioni speciali” da parte della malavita notturna. Incursioni notturne, raid vandalici, con consequenziali danni alla struttura che ne ritardarono la riapertura.
Tuttavia, mi sono vista clamorosamente ed inspiegabilmente sbarrare la strada da una scusa pretestuosa: manca l’autorizzazione del “capo dei capi”, ovvero, la persona che più di ogni altra ha voce in capitolo in quella sede. Un’altra dirigente, in sostanza. Tutti sapevano che in data venerdì 16 giugno mi sarei recata in quella sede per svolgere il mio lavoro, ma hanno atteso che arrivassi sul posto per avanzare questa richiesta. Nessuno, prima di quel momento, mi aveva specificato che era necessario attivare un iter burocratico per riprendere le pareti di un edificio di proprietà del comune.
Sarebbe opportuno, a questo punto, verificare che fossero provvisti della medesima autorizzazione anche i tanti giornalisti che si sono recati al nido, nel corso di questi anni, quando vi giungevano in visita il sindaco de Magistris e i suoi assessori.
Una scortesia che offende le madri dei bambini del nido, non la sottoscritta. Molte di loro hanno saltato il lavoro per presenziare all’incontro. Tutte hanno rinunciato a qualcosa per essere lì, perché, per loro, non c’è niente di più importante del futuro dei loro figli.
A testimonianza del vivo desiderio di far valere i diritti dei loro bambini, le madri hanno voluto comunque far sentire la loro voce, all’esterno del nido, consegnando un’immagine ben più eloquente di quanto c’è ancora da fare per eludere le barriere “tra dentro e fuori” e non di certo per loro demerito.