Napoli, 26 maggio 2009 – Petru Birladeanu, cittadino rom di nazionalità rumena, era un suonatore di organetto attivo, in particolare, nella ferrovia Cumana che parte dal quartiere Montesanto di Napoli.
Tutti i viaggiatori lo conoscevano: un musicista, una persona gentile che proponeva la sua arte per pochi spiccioli, sempre accompagnato da sua moglie. Quel martedì sera, un commando di 8 persone su quattro motociclette attraversa via Pignasecca fino alla stazione della Cumana. Sparano in aria, all’impazzata per mettere a segno una “stesa”, pratica che tanto va di moda tra gli interpreti della camorra.
È l’ennesimo scontro per il territorio che vedrebbe gli affiliati del clan Sarno di Ponticelli cercare di terrorizzare chi pensa di sostenere il ritorno su piazza del vecchio boss Mariano, appena scarcerato. Petru forse neanche era a conoscenza di quanto stesse accadendo in quel territorio, sul versante camorristico.
Alla stazione della Cumana di Montesanto, quel giorno, diversi colpi sono sparati ad altezza uomo, tra la folla che scappa. Forse i killer hanno avvistato qualche gregario del clan avversario, forse sparano contro i vetri della casa di qualche rivale.
Un ragazzo di 14 anni viene colpito alla spalla e si salva la vita per una pura e fortuita casualità. Petru è meno fortunato: le videocamere della Cumana lo riprendono mentre scappa e cerca rifugio come tanti altri dentro la stazione. Il braccio intorno al collo della sua compagna, un istintivo gesto di protezione. Ma una volta dentro si accascia: un proiettile gli è entrato sotto l’ascella bucando cuore e polmoni. Gli lascia sul corpo uno strano segno come di arma da taglio che inizialmente confonderà anche i medici. Ma Petru altro non è che l’ennesima vittima innocente della criminalità. L’ennesima vita che accidentalmente intercetta la scia di un proiettile esploso dal braccio armato della criminalità organizzata. Muore dopo mezzora di agonia, complici i ritardi dei soccorsi, la cui corsa, probabilmente, è stata ostruita anche dal caos insorto lungo tutta la strada. Malgrado l’Ospedale Pellegrini fosse proprio lì, a 500 metri.
Petri muore così, a 33 anni, tra le lacrime della compagna e l’indifferenza dei passanti.
Seppure sia morto da innocente, come tantissime altre vittime della camorra, uccise da proiettili vaganti, la città non condivide la stessa commozione che accompagna il feretro di una vittima innocente della criminalità.
Nessuna fiaccolata, nessun funerale ufficiale, nessun intervento istituzionale né messaggi di cordoglio e vicinanza alla sua compagna. Petru non è stato una notizia da prima pagina né ha mai trovato ampio spazio nei servizi di testa dei tg, se non dentro la più complessiva e impigrita retorica sul consueto far west napoletano.
La giustizia, però, almeno quella, ha fatto il suo corso: tre ergastoli per l’uccisione di Petru Birlandeanu sono stati chiesti dal pm Michele Del Prete nel corso del processo nei confronti di Marco Ricci e Maurizio e Salvatore Forte, accusati di essere gli autori dell’omicidio musicista romeno.
Ricci e i due Forte, cugini tra loro, facevano parte del gruppo di otto killer che, partiti dal quartiere di Ponticelli, dove era ancora egemone il clan Sarno, scorrazzarono sparando per le strade di Montesanto in segno di disprezzo nei confronti del boss rivale Marco Mariano, da poco scarcerato.
I responsabili della morte di Petru, sono stati condannati a trent’anni di reclusione.