L’omicidio di Alessandro Laperuta e Mohamed Nuvo, avvenuto in un appartamento al quarto piano in un palazzo di Melito, il 20 giugno 2016, destò scalpore per la ferocia dell’agguato che consegnò agli inquirenti una scena del crimine agghiacciante.
Quel duplice omicidio ha un unico mandante ed esecutore: si tratta di un 16enne ed è già considerato un elemento di spicco del clan camorristico Amato-Pagano. Si tratta del figlio di un boss detenuto da tempo, mentre la madre è stata arrestata nei mesi scorsi essendo considerata la reggente della cosca.
I carabinieri hanno arrestato il giovane a Melito, per aver ideato e organizzato un anno fa, appena 15enne, l’omicidio di due affiliati al suo clan «per dare l’esempio», insieme a 2 complici maggiorenni.
La misura emessa dal gip presso il Tribunale per i minorenni di Napoli gli contesta il reato di omicidio aggravato da finalità mafiose e di detenzione e porto illegale di armi da guerra.
Il ragazzo, avrebbero accertato i militari dell’Arma, è mandante e autore del duplice omicidio di Alessandro Laperuta e Mohamed Nuvo, voluto per punire iniziative troppo autonome delle vittime, non confacenti alla strategia del gruppo camorristico.
La mattina del duplice omicidio le forze dell’ordine chiamarono i pompieri perché un’abitazione al quarto piano di un palazzo in via Giulio Cesare a Melito era chiusa dall’interno. Nell’ingresso era agonizzante Alessandro Laperuta, 32 anni, il proprietario della casa. Sul ballatoio, disteso a terra in una pozza di sangue, c’era invece Mohamed Nuvo, 30 anni, originario della Tunisia che era stato ucciso con un colpo di pistola alla testa.
Nella tarda serata all’ospedale si presentò un 15enne con un cognome «pesante» negli ambienti criminali, con una ferita da arma da fuoco all’addome, ma il proiettile non aveva leso alcun organo vitale. Sarebbe lui, secondo quanto emerso dalle indagini, il mandante e l’autore del duplice agguato, ordinato per dare una lezione agli altri “fuoriusciti” della cosca i quali, approfittando del momento difficile affrontato dal clan che doveva fare i conti con una scissione interna tra i Riccio e Pagano e con gli ergastoli ai capiclan, cercavano autonomia nella gestione della remunerativa piazza di spaccio nota come la «219» a Melito.